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LA VIA DELLA SETE

Per raggiungere Khiva propendo come tutti per il volo della Uzbekistan Airways, acquistato all’ultimo momento quando ho preso definitivamente atto della reale distanza dalla capitale. E meno male che l’aeroporto di Urgench è in funzione, perché molto di frequente soccombe di fronte alle elevatissime temperature estive. Per più di un’ora sotto il velivolo scorre un monotono deserto, sostituito da un paesaggio meno arido soltanto quando appaiono le anse dell'Amu Darya.
Nel cuore della vecchia Khiva, cittadella color sabbia raccolta tra alte mura d’argilla, il mite Murat accoglie i clienti nell’abitazione tradizionale di proprietà della sua famiglia: con molta gentilezza mi fornisce tutte le informazioni utili per visitare questa città-museo, ad esempio dove sono gli ATM. Come, gli ATM? E funzionano? Penso a tutti i contanti che mi sono portata, nonché ai dollari faticosamente cambiati in Italia. “Tutte queste facilitazioni – prosegue compitamente Murat – fanno parte del programma politico del nuovo Presidente Mirziyoyev, che per nostra fortuna ha introdotto molte misure per incentivare il turismo. Tra l’altro il 15 luglio – sabato prossimo, fra tre giorni! – entra in vigore il visto elettronico per i cittadini di diversi paesi europei come l’Italia, si può fare online e costa soli 20 euro.” E io che ne ho spesi 120, di euro, tra visto ed emolumenti destinati all’agenzia romana di pratiche consolari, senza che le fonti ufficiali su cui mi sono informata ne sapessero niente, mi sento ulteriormente beffata.
Il sole tramonta su Khiva, il calore accumulato si sprigiona dalle strade, i ragazzi giocano a pallone tra le mura secolari, le maioliche turchesi del minareto mozzo di Kalta Minor scintillano, gli ultimi turisti che visitano la torre di guardia di Kuhna Ark sono neri contro il cielo arancione. Nella terrazza di questo piacevole caffè spira un venticello quasi fresco, la birra Sarbast è gelida, gli shashlik riempiono l’aria di un profumo invitante. Sono felice.
Al ristorante all’aperto appena fuori dalla porta ovest c’è una festa di compleanno: le invitate siedono tutte insieme con i bambini, mentre i maschi occupano un tavolo a parte. Grondo sudore mentre ballo con loro, il viso è lucido nelle decine di foto che insistono per scattarci a vicenda, rifiuto a malincuore il cibo che mi offrono e allora mi riempiono una busta di uva, susine, dolci e una grande pagnotta piatta. Eccolo qua il famoso pane uzbeko, decorato con quel tipico strumento dotato di aghi di ferro: i disegni tondeggianti (simili a quelli che ornano le facciate degli edifici) probabilmente simboleggiano il sole fin dai tempi dell’antica religione zoroastriana.
Khiva esisteva già nell’Ottavo secolo come stazione commerciale lungo la via della seta, ma divenne capitale del Khanato omonimo solo dopo che la capitale della Corasmia, Konye-Urgench (oggi in Turkmenistan), fu distrutta da Tamerlano. Per circa tre secoli fu famosa grazie al suo mercato degli schiavi, procurati dalle tribù kazake e turkmene del deserto e della steppa, finché nel 1873 fu conquistata dai russi e una cinquantina di anni dopo inglobata nell'Uzbekistan.
Oggi per visitare il patrimonio dell’umanità dell’Itchan Kala museum reserve bisogna acquistare un biglietto cumulativo che costa 10000 Sum (circa 12 euro). La cinta muraria, le scuole islamiche, i palazzi e i minareti (ma anche le case basse di argilla essiccata, ancora abitate) in buona parte non sono così antichi come potrebbe sembrare e anche gli interventi di restauro più massicci sono piuttosto recenti: risalgono infatti agli ultimi anni dell'Unione Sovietica. In ogni caso le piastrelle decorate, i soffitti di legno, le cupole, il legno e il marmo finemente intagliati rappresentano uno spettacolo senza tempo.
I dipinti presenti nei numerosi spazi museali danno un’idea di come doveva apparire questa città ai tempi della Via della seta, affollata di commercianti che indossavano i cappelli di lana di pecora e i caftani con la fantasia tipica uzbeka, con le anguste stradine stipate di cammelli e cavalli, i meloni e le albicocche, le ceramiche e i coltelli in vendita, i rigogliosi giardini di cui oggi non c’è più traccia. I tavolini in legno, i tappeti, i vasi, le anfore, le monete, gli abiti esposti nelle teche aggiungono altri dettagli allo splendido passato della mitica Corasmia, mentre gli attuali souvenir di cui la cittadina è infestata sono in gran parte inguardabile paccottiglia di fattura cinese.
I "cafè" sono luoghi ameni dotati di wifi dove si mangia decentemente a prezzi abbastanza onesti, ma vale la pena avventurarsi fuori dalle mura di questa riserva per turisti e provare un ristorante nella Khiva nuova. Nonostante sia più difficile comunicare con il personale, il menu è ricco di fotografie di piatti e dunque non è difficile ordinare dei saporiti lagman (noodle) al sugo a prezzi decisamente più uzbechi; inoltre è possibile scegliere un tavolo interamente circondato da una pesante tenda dove si può mangiare in completa privacy.

Racconto di viaggio "CANTO NOTTURNO DI UNA TURISTA ERRANTE"