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Palmira: su palme nane e propilei canditi

Arrivo a Palmira, il sito archeologico siriano per eccellenza: già prefiguro negozietti polverosi, gruppi organizzati, prezzi salati e molti hotel. A posto, sono tutti qui: gli spagnoli, i francesi, i tedeschi, i romani e chissà chi altro, in bilico sulla cresta ai piedi del castello, frustati da un vento gelido, ad aspettare il tramonto. Siamo arrivati in anticipo per lo spettacolo, e inoltre a me sembra di averlo già visto: lo stesso cielo che diventa sempre più arancione, le rocce che si liberano lentamente della luce accumulata, le macchine fotografiche pronte al collo, lo scattare all'unisono per immortalare l'ultimo spicchietto. Fine, spettacolo terminato, tutti in massa verso i bus.
Per la cena ci vogliono alla tenda beduina: dopo il buffet, rigonfi di ceci, non è facile sopportare il balletto beduino e non possiamo far altro che scolarci una bottiglia di vino rosso (molto poco beduino in verità). Dando un'occhiata alle vetrine prima di andare a dormire, sembra proprio giunto il momento per vincere la gara dell'acquisto dell'oggetto più kitsch, ma tale tenzone non può proprio aver luogo in concomitanza con la fiera dell'acaro. Piuttosto, mi bevo un bicchiere di arac con gli autisti.
Sia il nome arabo di questa città (Tadmor, città dei datteri), sia quello romano (Palmira), ribadiscono un concetto inequivocabile: siamo in un'oasi fitta di palme. Qui c'era uno dei crocevia commerciali più importanti sulle rotte che collegavano l'Oriente all'Occidente, fino all'arrivo della mitica Zenobia. Bisogna sapere che nella seconda metà del Terzo Secolo, proprio quando la colonia romana di Palmira stava vivendo il suo periodo più prospero, la bella ed eroica Zenobia, la seconda moglie del re Odenato, assunse la reggenza dopo l'assassinio del marito. Colpita nell'orgoglio perché sospettata di uxoricidio, la regina diede battaglia ai legionari romani, invase l'Egitto e dichiarò la propria indipendenza da Roma. Ma poi fu sconfitta a sua volta dall'imperatore Aureliano, fu catturata presso l'Eufrate e portata a Roma, dove la fecero sfilare in catene d'oro. In seguito Palmira fu colonizzata dagli arabi e la maggior parte dei suoi edifici fu sepolta dalla sabbia. Le prime campagne di scavo furono eseguite negli anni Venti del Novecento e ancora adesso vengono estratti interessanti reperti.
Al mattino eccoci puntuali alle otto e mezzo insieme agli stessi spagnoli, francesi, romani, tedeschi e chi sa chi altro della sera prima, spazzolati da un vento drammatico e accecati dal deserto, incolonnati davanti alla torre di Elahbel (una camera funeraria di quattro piani, tipo un condominio di sarcofagi) e poi presso l'ipogeo dei tre fratelli, famoso per la statue sdraiate a cui sono state mozzate le teste (sui motivi come al solito non ci sono pareri univoci). Di fronte al tempio di Bel (il re degli dei) sfilano cammelli di rappresentanza tutti belli infiocchettati, che con le colonne e la hammada di sfondo creano una pittoresca iconografia, non a caso già piazzata da quelli della Lonely Planet sulla copertina della guida. Poi, attraversato l'arco monumentale, si entra nel grande colonnato, si costeggiano il tempio di Nabo e le terme, e si entra all'anfiteatro restaurato. Proseguendo lungo i due chilometri di colonne si raggiunge il tempio funebre e il palazzo di Zenobia.
L'azzurro intenso del cielo, la fortezza in lontananza, qualche spruzzo di verde tra i "propilei canditi" e le "palme nane" di cui parlava Montale, i cammelli giovani: tutto questo si riflette negli occhiali a specchio del cammelliere. «La luce della Siria può essere accecante di giorno» mi aveva messo in guardia il profetico Hisham. «Ti rovini gli occhi senza occhiali, your beautiful eyes.»

Racconto di viaggio "LA MIA SECONDA CASA. Settimana santa in Siria"

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