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APPUNTI PILIPINI

Esplorazione della Visayas Centrale

Vacanze di Natale uggiose nelle isole della Visayas centrale: Cebu, Panglao, Siquijor, Negros. Nondimeno un viaggio indimenticabile grazie al delizioso popolo filippino e al suo mondo lillipuziano popolato di galli, partite di basket, locali karaoke, mezzi pubblici strampalati.

«Le Filippine?» chiese una volta un generale americano. «Che cosa sono? Una qualche specie di sardine?»
 (Tiziano Terzani, "In Asia")

Il viaggio nelle Filippine comincia la mattina della vigilia di Natale quando, invece di sfinirmi di aperitivi a Bari vecchia, ero incolonnata al check-in della Cathay Pacific dell'aeroporto di Fiumicino, insieme a centinaia di filippini pimpanti che impugnavano carrelli carichi di valigie, misteriose scatole di cartone e alcuni panettoni e pandori, molti dei quali sarebbero arrivati a destinazione mezzi sfondati. In quel momento pensavo che i filippini immigrati all'estero se la tirassero di più rispetto ai filippini rimasti a casa loro, anche se poi ho scoperto che, poiché il popolo filippino è uno di quelli che se la tira di meno in assoluto a livello mondiale, anche i filippini emigrati non se la tirano poi tantissimo.
Sorvoliamo il mar Adriatico e il mar Nero, ma poco prima del Caspio mi addormento e quando mi sveglio è già buio. Il breve volo da Hong Kong a Manila lo trascorro in quel sonno profondo tipico dell'alta quota da cui mi sveglia la mia vicina che, all'apparire dei primi lembi delle sue isole natie, inizia a piangere dalla commozione. Io vorrei farla sedere al mio posto-finestrino, ma non si può perché è già accesa la cintura di sicurezza luminosa che segnala la fase di atterraggio, così lei mi racconta che quando si è trasferita in Italia ha dovuto abbandonare la sua figlioletta di soli tre mesi con il marito e oggi fa ritorno a casa dopo ben cinque anni di assenza. Entrambi dovrebbero essere là ad accoglierla, come cerca di accertarsi digitando qualcosa sul cellulare − anche se io penso che, secondo le più elementari norme di sicurezza, in volo dovrebbe tenerlo spento.

All'aeroporto internazionale di Manila, esco a fumare una sigaretta nell'aria satura di umidità e mi metto a conversare con un tassista della differenza tra taxi normale e taxi metered (che costa meno perché lo dividi con altri passeggeri). Poi lui mi interrompe delicatamente per informarmi che se non esco dall'aeroporto non potrò in alcun modo incontrare il mio amico e mi spiega che devo uscire seguendo le indicazioni dell'iniziale del cognome.
Le uscite sono due, come in certi corsi universitari: A-L da un lato ed M-Z dall'altro; seguendo ligiamente l'incanalamento contrassegnato dalle lettere M-Z mi rendo conto che in strada esistono presumibili 26 spazi simili a quei box auto presenti al piano interrato degli ipermercati (con i pilastrini di cemento pieni di segni di carrozzerie di auto che hanno sbagliato manovra), dove i passeggeri appena sbarcati si sistemano in attesa di essere riconosciuti dai loro parenti venuti a prenderli. Molti non tornano a casa da molti anni e magari sono invecchiati: infatti ho visto alcuni parenti che si chiedevano se il passeggero posizionato dentro il box con la lettera R fosse davvero la persona che aspettavano.
Dopo essere rimasta alcuni minuti impalata ad osservare questi movimenti, tra sgommate, clacson e continui quanto inutili fischi dei vigili, mi lascio alle spalle questo inusuale mercato dei parenti: a noi tutta questa storia dei cognomi non ci può essere di nessuna utilità, poiché il mio amico è più alto di minimo venti centimetri rispetto a tutti gli altri parenti e inoltre noi non ci vediamo da sole tre settimane e non credo di essere invecchiata tantissimo.
Mentre tutti gli ex-passeggeri insieme ai loro relativi parenti vanno a festeggiare la santa festività a casa propria, noi andiamo a mangiare in un ristorante indiano, che tanto a loro del Natale non interessa un cavolo. Manila City, una delle città più caotiche e congestionate del pianeta, oggi è innaturalmente tranquilla e silenziosa.

Seven thousand islands

Queste Filippine sono un arcipelago di circa settemila isole — di cui solo duemila abitate — che spunta fuori dall'Oceano Pacifico a sud della Cina. In questo mio breve viaggio, che mi ha visto razzolare nella regione delle Central Visayas, ne ho calpestate soltanto sette: quattro delle maggiori (Luzon, Cebu, Bohol e Negros), tre piccine (Panglao, Siquijor e Mactan) e purtroppo nessuna disabitata. La prima è la più facile: a Luzon sorge Manila con il suo aeroporto dedicato a Ninoy Aquino, il capo dell'opposizione a Marcos ucciso in un attentato voluto dal regime.
La seconda, Cebu, la sto per raggiungere con un volo pomeridiano acquistato su Internet. In attesa dell'imbarco nel pulitissimo bagno dell'aeroporto mi confronto con queste curatissime filippine che non fanno altro che spazzolarsi i capelli lisci e lucidi e specchiarsi con molta attenzione per verificare che tutti gli abiti e gli accessori siano perfetti, mentre io sono proprio un cesso dopo un autunno lavorativo tristissimo e un volo intercontinentale nel quale, a causa dello sfasamento di orario, non ho dormito a sufficienza.
Sbarchiamo al Cebu Airport che è già buio (il sole cala prima delle 18) e chiediamo informazioni sulle accommodation alla signora del desk apposito, la quale ci fa capire che l'isola di Mactan, su cui fisicamente l'aeroporto è situato, non fa assolutamente al caso nostro, in quanto è un covo di prestigiosi resort, lussuosi centri diving e spa da sogno molto poco filippini. Così prendiamo una stanza in una losca pensione di Cebu City, la seconda città più grande del Paese, nota per i suoi sofisticati night e bar dove, volendo, puoi conoscere una sfaccendata ragazza filippina e proporle di passare una settimana di vacanza al mare con te.

Panglao

Al mattino ci facciamo condurre al porto, con l'intenzione di raggiungere una qualche isola dotata di spiagge bianche e palme diagonali. Secondo il tabulato degli orari e il parere personale di alcuni personaggi interpellati sul posto (tra cui una coppia di missionari francescani di lingua spagnola), la meta più indicata è l'isola di Bohol, e in particolare la località di Panglao, anch'essa una piccola isola, collegata da due ponti alla città dove approda il traghetto. Ci sono altri turisti bianchi che attendono di partire alla volta della stessa isoletta, anche se loro hanno la Lonely Planet e hanno già sottolineato gli eventuali hotel dove alloggiare, mentre noi la guida non ce l'abbiamo.
Questi turisti francesi, inglesi, tedeschi, neozelandesi, sicuramente sono riusciti prima di noi ad accaparrarsi un posto per dormire, mentre noi mangiavamo spiedini di pollo alla brace, passeggiavamo scherzando con i ragazzini, davamo un'occhiata al mercato, e infine ci facevamo trasportare da un guidatore di triciclo poco operativo in una spiaggia che nemmeno noi conoscevamo. Fino a che, quando ormai stavano per calare le tenebre, ci ha dato un passaggio non richiesto un filippino sovrappeso americanizzato, che aveva affittato un pulmino privato e che ci ha offerto con molta prodigalità qualcosa di fresco da bere dal loro frigo bar portatile, mentre si sbaciucchiava con la sua fidanzata.

Alona Beach

Il californiano adottivo ci risolve il problema di dove andare, perché ci fa scendere nei pressi di Alona Beach, la spiaggia più rinomata. L'atmosfera è molto vacanziera e spensierata all'happy hour di questo locale sulla spiaggia con le lucine e le cameriere sorridenti. Il contesto è molto invitante, considerata anche la presenza di un arpista molto bravo che suona i pezzi dei Bon Jovi, ma purtroppo dobbiamo andare a cercare una camera – cosa che poi è risultata abbastanza agevole una volta allontanatici dalla spiaggia, perché abbiamo trovato un bellissimo cottage situato in un ampio giardino.
Per la cena sulla spiaggia sono allestiti buffet di pesce ancora crudo che su ordinazione viene grigliato. Noi scegliamo il posto meno tiroso, gestito da una specie di attrice di film di Quentin Tarantino un po' sfiorita e dall'espressione vagamente allusiva. Anche dopo le dieci è possibile proseguire la serata in un paio di bar che propongono musica dal vivo, anche se, ascoltando bene, ci si rende conto che il chitarrista e il cantante si sovrappongono ad una base tipo karaoke di noti pezzi come “Hotel California”, “Losing my religion”, “Carrie” degli Europe e molti dei Guns'n'Roses, che sono molto in auge tra i filippini nonostante il fatto che essi non possiedano nemmeno un briciolo della grinta giusta per eseguirli. Grazie a queste canzoni molto passionali, i due fidanzati francesi che da Cebu City praticamente non si rivolgevano la parola possono fare pace, ed anche la tedesca mastodontica con i capelli corti può trovare un partner, che si capiva era il suo obiettivo principale (e infatti lo trova subito).
A Panglao siamo rimasti tre notti, abbiamo mangiato più di una volta nel ristorante della finta attrice di Tarantino, che prepara degli ottimi noodles alle verdure, e abbiamo frequentato la spiaggia contigua, quasi vuota perché tutti sono in giro a fare diving, hopping, snorkeling ed altre attività che finiscono in -ing. Mi sono fatta fare un piacevolissimo massaggio sulla sabbia e ho anche guardato i fondali con la maschera, che sono ricchi di stelle marine blu elettrico oppure rosa con chiazze marroni.
Purtroppo il secondo giorno non ha fatto altro che piovere e questo è davvero troppo dopo che mi ero sciroppata più di tredici ore di volo. Allora il pomeriggio alle cinque ci siamo seduti al tavolo di questo minimarket-bar e abbiamo bevuto vino rosso fino a sera insieme a vari europei ed americani definitivamente trasferitisi qui nelle Filippine, e poi ci siamo spostati nel ristorante di fronte, dove abbiamo mangiato varie parti di pollo e maiale al barbecue spalmate con una salsa dolciastra accompagnate da riso scondito e abbiamo conosciuto vari gruppi di turisti cinesi e svizzeri e anche di filippini con i loro bambini molto teneri.

Bohol
Una popolazione di pelfetti pulitoli di case.
(Elio e le storie tese, "Pilipino rock")

All'interno dell'isola di Bohol sono presenti queste famosissime Chocolate Hills, che volendo si possono votare su internet per farle entrare tra le dieci meraviglie del mondo. Certi turisti stanziali a Panglao pagano circa 30 euro per andarci con un pulmino (di cui non riesco a immaginare la portata stratosferica di aria condizionata) in una gita organizzata che comprende anche la navigazione sul fiume di Loboc e la visita ad una scimmietta minuscola con gli occhi a palla di nome tarsio, che è l'attrazione faunistica del luogo.
L'alternativa è costituita dai jeepney, i pulmini pubblici ricavati dalle jeep americane allungate con dei pezzi di lamiera e decorate con disegni coloratissimi un po' lisergici e scritte inquietanti come, ad esempio, "God bless us". Per scendere è previsto un raffinato sistema di pugni sulla carrozzeria, seguiti a ruota da suoni codificati emessi dal bigliettaio, il quale viaggia attaccato sul predellino posteriore con le banconote dei passeggeri infilate tra le dita nel senso della lunghezza. Di norma tutti tendono a sedersi verso l'uscita per poter saltare giù al volo, così chi entra deve superare tutti i filippini seduti, che comunque non occupano tanto spazio. Le abitudini locali contemplano inoltre che le donne portino pressato sul viso un fazzoletto che le preservi dalla polvere e dallo smog, mentre gli uomini abbiano sempre a portata di mano un più rustico straccio che serve a molteplici scopi, tra i quali asciugarsi il sudore.
A Tagbilaran bisogna cambiare mezzo e salire su uno di quei pullman a lunga percorrenza, gialli e con tutte le finestre spalancate, dotati di sedili lillipuziani, tipici di questo Paese dove i divani in vendita sono minuscoli, i letti degli hotel di bassa categoria sono corti, persino i tovagliolini di carta sono grandi la metà, se non un quarto, dei nostri. Anche su questo pullman il bigliettaio provvede a passare da tutti i passeggeri, districandosi nell'ammasso di corpi, per chiedergli la destinazione e dargli il biglietto; dopo un po' fa da capo il giro per farsi pagare e infila le banconote tra le dita. Inoltre, dà manforte ai passeggeri che bussano sulla carrozzeria, con l'ausilio di un fischietto oppure urlando “Para!”, per dire fermati, e “Sige!”, per dire prosegui, praticamente in spagnolo, che è la lingua che a quanto pare più è rimasta nei loro dialetti.
Qui sopra, oltre al festone dorato che augura buon Natale e buon anno nuovo, c'è un sofisticato sistema per cui quando il conducente tiene premuto il freno, si accende una scritta luminosa rossa che recita, a nome di tutti noi, "Pray for us". Negli autobus, come d'altra parte nei bar, nei ristoranti, nei negozi, nei taxi, nei traghetti, c'è sempre la musica ad un volume altissimo e, dove è fisicamente possibile, anche un televisore che trasmette videoclip.

Chocolate Hills

Dopo aver attraversato una fittissima foresta pluviale, nei pressi delle prestigiose colline di cioccolato il bigliettaio ci fa scendere e subito siamo presi in carico da un motociclista che ci propone di accompagnarci al "complex". Questo fatto che sono tutti così gentili, che ci riservano i posti migliori, ci danno consigli disinteressati e non sono proprio capaci di ragionare in termini di tornaconto personale, da un lato è un commovente miracolo, quasi unico al mondo, dall'altro mi fa stare un po' in pena, perché lo sconfinamento nel servilismo è veramente dietro l'angolo.
Il "complex" è una rotonda di cemento sormontata da una tettoia, circondata da venditrici di gelato e massaggiatori ciechi, e abbellita dai manifesti della scimmietta dagli occhi a palla. Accanto vi è una articolata scalinata composta di 214 gradini che porta al punto panoramico, dal quale si possono vedere tutte queste centinaia di tette senza capezzolo che sono verdi nella stagione umida e marroni al termine di quella secca. Per questo motivo sono definite Chocolate Hills e nei manifesti pubblicitari che infestano il Paese le mostrano metà verdi e metà marroni, con un ben riuscito ritocco fotografico.
Al termine di questa visita, che ci ha visto entrare in acerrima competizione fotografica con i giapponesi e i coreani, una venditrice di gelati ci ha risolto il problema di abbandonare la location (dove stazionavano soltanto pulmini privati dotati di arie condizionate potentissime e schermi televisivi), mettendosi in comunicazione telefonica con un giovane parente dotato di motocicletta. Questi è venuto a prenderci, subito dopo abbiamo forato, è riuscito a procurarsi un altro scooter funzionante e ci ha depositati a Carmen, vicino ai venditori di botti di capodanno.

At the market

Mentre facciamo colazione con caffè e torta alle banane, si avvicina un vegliardo molto ansioso di scambiare due parole con noi. Saputo che cerchiamo un alloggio in città, ci comunica che non esistono pensioni, ma che può chiedere a una coppia di suoi amici di affittarci una stanza. Giunti in questa villa poco distante, facciamo conoscenza con i padroni di casa, stravaccati nel patio come due cani malati: lui posizionato su una specie di lettino ginecologico di legno, lei semisdraiata su una panchetta. La vecchia, appreso che non siamo una coppia sposata, si rifiuta categoricamente di accoglierci nella sua puritana magione e si chiude subito in un silenzio ricco di significato. A quanto pare le Filippine hanno preso molto seriamente i discutibili regolamenti interni della Chiesa cattolica: possono convivere solo se sono sposati, non possono divorziare né abortire.
Al nostro uomo dispiace tantissimo non aver potuto combinare l'affare; noi invece non ci preoccupiamo minimamente, poiché il motociclista di prima ci aveva consigliato un lodge a pochissimi chilometri dalla cittadina. Qui sembra di stare a casa, con la ciarliera tenutaria che ci spadella un ricco piatto di noodles alle verdure e ci cucina un paio di uova fritte per secondo. Nell'ampio giardino è in corso una movimentata festa delle medie che termina verso le dieci dopo numerosi tuffi in piscina e primi approcci sentimentali.
Al mercato di Carmen siamo l'attrazione del giorno: accorrono anche dai banchi più lontani e si immobilizzano con le braccia incrociate per guardare lo spettacolo di due italiani che comprano scarpe di plastica e DVD cinesi. Ci aggiriamo nel reparto pesce secco, frutta e verdura, dove le noci di cocco vengono svuotate da una specie di spremiagrumi elettrico gigante che trasforma il contenuto in farina. Tutti sono felici di sapere che siamo italiani perché hanno tanti amici che vivono nel nostro Paese.
Al ritorno siamo tentati di scendere al fiume Loboc per incontrare la celebre scimmietta, come tutti in coro ci avevano consigliato prima della partenza dell'autobus, ma la pioggia incessante ci fa desistere.

Siquijor

Nel traghetto diretto a Siquijor i film trasmessi, e da tutti seguiti con molta partecipazione, sono le solite americanate per cui il popolo filippino, del tutto succube degli Stati Uniti, impazzisce. L'aria condizionata raggiunge temperature polari e dunque non c'è da sorprendersi se la sera il mio amico soccombe ad una febbre con nevralgia tipica da “aircon”, da cui nemmeno io qualche giorno dopo resterò immune. A Siquijor si arriva molto tardi e i tricicli attendono gli ultimi passeggeri sbarcati. Essendo il 30 dicembre dovevamo aspettarci che i resort fossero tutti “puli buk”, ma grazie alla solerzia del guidatore di triciclo, che rivolta l'isola come un calzino per più di un'ora, riusciamo a trovare un alloggio in una guest house di proprietà tedesca, situata accanto all'ospedale (dove però tutti già dormono e non possiamo nemmeno comprare dell'acqua per prendere l'aspirina).
Per trascorrere in un posto più ameno il capodanno, vado alla ricerca di un hotel sulla spiaggia. Un ragazzo mi accompagna in moto, basta che gli pago la benzina (che vendono dentro alle bottiglie di coca-cola). In questo giro perlustrativo noto che l'isola è rigogliosa, piena di palme e gente che aggiusta tricicli o ripara le reti o fa volare aquiloni. Il primo resort è situato sulla spiaggia e dotato di un ottimo rapporto qualità-prezzo: peccato che i vicini sono dei tagliatori di alberi di cocco, nemmeno troppo esperti con la motosega.

Fireworks

Raggiunta la località di San Juan, sulla spiaggia incontriamo nell'ordine: un filippino con cittadinanza americana accompagnato da maiali e fidanzata, che ci propone di prendere in affitto una palafitta a due metri dal mare circondata da numerosi galli (opzione a elevato livello di rischio); una signora filippina, sposata con un tedesco, che ha a disposizione una stanza su un albero; un australiano vagamente somigliante a Topolino che ha terminato le camere ma che ci affitta uno scooter. A questo punto, provvisti di un mezzo privato, schivando i cadaveri di rane morte sulla strada, raggiungiamo un resort sulla spiaggia in cui ci sistemano in un enorme cottage a due piani, molto elegante.
Siamo invitati al buffet di Capodanno previsto per le otto; in effetti due giovani stanno arrostendo due maialini da latte allo spiedo lì fuori, e questa attività proseguirà per le due ore successive sotto una pioggia incessante, da cui si riparano con delle foglie di banano grandi come vassoi. Il buffet è molto appetitoso, se togliamo il misto di interiora di maiale piccante e il tipico piatto natalizio di pasta scotta condita con maionese e ananas. Gli invitati sono i numerosi parenti della moglie del boss (un giovane europeo occhialuto sempre sorridente) e Sudoku, il nostro vicino di cottage, un bianco sui settant'anni (inseparabile dal suo zainetto), la cui unica occupazione quotidiana era risolvere appassionanti rompicapo sul suo giornaletto. Gli altri due cottage sono occupati da coppie mercenarie euro-filippine, che non partecipano al buffet. A mezzanotte, quando i parenti maschi sono palesemente ubriachi, inizia la gara di botti e fuochi d'artificio sulla spiaggia: uscendo in strada la tentazione è di mettersi a strisciare sui gomiti, in quanto le esplosioni e il fumo, uniti alla vegetazione tropicale, hanno creato un molto verosimile effetto "Apocalypse Now".

New Year's Day

Il primo dell'anno, esplorando l'isola in moto, constato che i filippini festeggiano giocando a basket (sport nazionale nonostante l'altezza media sia di un metro e 50), o partecipando ai combattimenti di galli, che è uno dei loro passatempi preferiti, e infatti in tanti portano in braccio la loro amata bestiola, lucida e ben alimentata con mangimi energizzanti. Attraversata l'isola da ovest a est, sbuchiamo sulla bella spiaggia di Salagdoong, frequentata da filippini che bevono birra, fanno pic-nic, lanciano sassi nel mare, e mi guardano: scopro infatti che le donne filippine fanno il bagno completamente vestite, e anzi la maggioranza non lo fa proprio il bagno.
L'aperitivo lo prendiamo da un tedesco, anche lui sposato con una filippina (anche perché non si possono aprire attività commerciali senza un socio indigeno). Il tedesco è un mastodontico uomo alto più di due metri che fa una certa impressione perché mezzo polpaccio gli è stato mangiato da uno squalo, quando viveva in Australia. Per la cena invece torniamo dall'australiano John, sperando che non si accorga che il casco ci è rotolato giù dalla moto e si è tutto scheggiato. Qui i nostri commensali sono un italiano sosia di Alvaro Vitali in compagnia di una signorina filippina molto annoiata, e una coppia alternativa in cui lei è europea e lui filippino. Mentre attendiamo che ci griglino il pesce, assistiamo al video-karaoke, che è un'altra attività molto amata nel Paese: le canzoni prescelte sono sempre molto passionali, i video che le accompagnano invece come tematiche prediligono paesaggi marini pieni di palme e tramonti, donne seminude e appassionanti partite di basket.

Big waves

Il 2 gennaio i traghetti riprendono il loro quotidiano andirivieni dopo la pausa festiva, e finalmente possiamo lasciare Siquijor. I tre quarti d'ora di viaggio fino a Dumaguete sono indimenticabili: il mare è in tempesta, siamo tutti stipati con la porta ermeticamente chiusa e sudiamo copiosamente perché manca l'aria condizionata. La tragicità della situazione viene immediatamente sottolineata dai numerosi rosari che compaiono nelle mani delle filippine, e raggiunge picchi di insostenibilità durante i frequenti conati di vomito nelle retrovie.
Scesi sulla terraferma e ancora incapaci di mantenere una posizione stabile sulla banchina, dei toscani apparentemente poco turbati dall'esperienza ci propongono di seguirli a Moalboal (che si trova su un'altra isola, raggiungibile con un traghetto di soli 20 minuti) perché hanno saputo da "fonte attendibile" che da quella parte è bel tempo.
Nonostante il fatto che i toscani fossero boriosi e parlassero a voce troppo alta, facciamo finta di credere alle ottimistiche previsioni del tempo ma per una questione di attimi perdiamo il primo traghetto, mentre il successivo non riesce nemmeno ad attraccare, tanto le onde sono alte. Il poliziotto con cui mi metto a chiacchierare non riesce a capire la nostra preoccupazione per il mare grosso: secondo lui non c'è alcun pericolo di tifoni. A questo punto torniamo in noi e tiriamo un sospiro di sollievo.

Freedom

Ci dirigiamo via terra verso il nord dell'isola di Negros, percorrendo una strada costiera parallela alla dirimpettaia isola di Cebu, che raggiungeremo in traghetto quando le acque si saranno calmate. La scelta della località dove scendere dipende fondamentalmente dalle promesse nascoste nel nome. Scartata l'interessante Vallehermoso, non per motivi toponomastici ma perché troppo piccola e vicina, scendiamo a La Libertad, che non è male come premessa. Scendiamo nel buio più totale e percorriamo la piazza dove volti e attività in corso sono poco visibili e dunque, per un riflesso condizionato, probabilmente loschi. Dopo pochi minuti però ci ricordiamo che siamo nelle Filippine e quasi proviamo vergogna della nostra sensazione di insicurezza.
Un ragazzo ci propone di accompagnarci in un resort distante pochi chilometri, insieme ad un amico che guida un triciclo e ad altri due o tre sfaccendati che si appollaiano sul mezzo. Il lodge è enorme, ha i cottage di legno, la musica da discoteca e la piscina dove un ragazzo butta il cloro a mani nude. Il vento inclina le palme e alcuni poliziotti armati fino ai denti bevono birra e ridono. Si scopre che in questo resort spesso alloggiano i rappresentanti dell'ambasciata americana e per questo è richiesta la massima sicurezza. Per cena riusciamo a rimediare soltanto una coscia di pollo e del riso scondito, con un calcolo delle porzioni assolutamente filippino.
Al mattino fervono i preparativi per il ricevimento di matrimonio che avrà luogo di lì ad alcune ore. La signora dell'internet cafè è curiosa di sapere tutti i pettegolezzi, mentre attende con noi il bus per San Carlos; ne approfitta per raccontarci a sua volta dei suoi figli laureati e di suo marito che fa l'imprenditore in Florida, e di quella volta che andò a San Carlos per imbarcarsi per l'isola di Cebu, ma i traghetti non partirono e fu costretta a dormire in una pensione pulitissima e confortevole nella piazza principale.

San Carlos

Attraversando una valle piena di risaie terrazzate, si raggiunge Kanlaon, situata all'interno e in alta quota: il panorama è molto gradevole e beviamo un ottimo caffè insieme agli sfaccendati locali. Purtroppo non ci sono bancomat in zona, dunque dobbiamo ritornare sulla costa e fermarci a dormire a San Carlos, che appare quando terminano le piantagioni di canna da zucchero lungo la strada.
Questa city è molto tranquilla e la gente, come mi racconta la padrona dell'hotel, è più innocente, va a dormire presto e insomma si fa i cazzi suoi. Converso a lungo con la donna dopo cena, davanti a un tè, e lei mi racconta di questo marito australiano morto due anni fa, che è stata la più grande fortuna della sua vita: e ci credo, lui possedeva delle miniere d'oro in Papua Nuova Guinea. Poi hanno deciso di investire nella città di origine di lei, dove i suoi genitori si sono spezzati la schiena tutta una vita nelle piantagioni di canna da zucchero, e così lei si ritrova proprietaria di questo hotel, anche se le due figlie abitano a Brisbane e lei è costretta a fare avanti e dietro con l'Australia. La signora ci informa che durante la giornata i traghetti per Cebu Island non hanno effettuato servizio a causa delle solite big waves che implacabili impazzavano lungo le coste di quell'isola, e dunque ecco spiegato il motivo per cui le pensioni cittadine erano tutte “puli buk”!
La notte, a causa della febbre, ho affrontato un delirante carosello di galli, uccelli, zoccoli di legno, stereo e sgommate. Al mattino dobbiamo muoverci molto presto per assicurarci i biglietti, e per fortuna c'è il sole che scotta mentre siamo in coda presso la compagnia dei traghetti. In attesa di imbarcarci, ammazziamo il tempo di questa domenica mattina al mall, dove cerchiamo di fare qualche acquisto filippino, che è un'operazione molto difficile perché non c'è davvero niente da comprare.

The battle of Mactan
Appresso questa isola de Zubu ne era una, che se chiama Matan, la qual faceva lo porto, dove èramo. Il nome de la sua villa era Matan, li sui principali Zula e Cilapulapu.
(Antonio Pigafetta, "Relazione del primo viaggio intorno al mondo")

A Toledo, al centro della costa occidentale di Cebu, saliamo subito sul bus diretto al capoluogo e ci stipiamo sui sedili filippini, ascoltando i Bee Gees ad altissimo volume e mangiando una pannocchia bollita, che è uno dei cibi che vengono venduti sui bus insieme alle pallottole di riso lesso incartate nel cellofan e alle arachidi all'aglio. All'appressarsi della città il traffico diventa quello tipico dell'ora di punta. Fuori dal terminal saliamo sul taxi scelto per noi da una signorina che in cambio guadagna una moneta dal tassista (un vecchio signore che con una lentezza esasperante ci accompagna all'isola di Mactan).
In effetti Mactan è sempre quel covo di resort poco filippini che sapevamo dall'inizio, ma ha l'indubbia comodità che sopra ci sorge l'aeroporto e poi le vacanze di Natale sono finite (e anche le mie stanno per esaurirsi). E infatti trovare una sistemazione non prestigiosa non è affatto facile, finché non incontriamo il Lapu Lapu cottage. Il tedesco che lo gestisce ci manda dalla sua vicina, la quale ci affitta un appartamento intero e ci racconta di suo marito (il finanziatore dell'attività, per così dire), uno scozzese morto due anni prima per un brutto male. Lapu-Lapu invece sarebbe quel re che ebbe ad ammazzare Magellano, il quale come tutti sanno trovò la morte nelle Filippine mentre il suo equipaggio riuscì a tornare in Europa, compiendo la prima circumnavigazione del globo della storia. Il navigatore spagnolo fu ucciso proprio qui nella famosa battaglia di Mactan, come mi ha spiegato un navigatore di internet un po' paranoico, che guardava con grande entusiasmo alcuni video cruenti dedicati ai terroristi islamici. In onore dell'eroe nazionale, che aveva rifiutato di sottomettersi al nuovo re di Spagna Carlo V, su quest'isola è stata eretta una statua in bronzo alta quattro metri (non lontana dal mausoleo di Magellano) e inoltre la città principale, l'aeroporto e un pesce molto prelibato sono stati chiamati Lapu-Lapu.
Presso il tedesco possiamo cenare, in compagnia di diverse coppie composte da un tedesco maschio e una filippina femmina. I maschi bevono molta birra e ridono in maniera molto scenografica per far vedere che sono in vacanza e si divertono e dimostrare a tutti la sicurezza di sé, che in realtà gli manca totalmente, e la capacità di seduzione che hanno avuto nel conquistare quella ragazza, la quale si annoia platealmente e si vede lontano un miglio che preferirebbe di gran lunga essere altrove.

Damned aircon!

Si riaprono le scuole e noi esploriamo l'isola. È pieno di giapponesi e coreani, i quali hanno anche costruito degli orrendi alberghi di cemento sul mare, oltre a riempire l'isola di loro ristoranti, così i loro connazionali non devono sforzarsi di mangiare riso scondito e spezzatini filippini. Anche qui i turisti sono tutti intenti a svolgere attività che terminano in -ing e le spiagge sono tutte private, ma per fortuna conosciamo un filippino esuberante e allegro, che ci fa entrare gratis in una di esse. Durante il bagno vengo punta da un riccio (la cui spina mi verrà estratta dopo diversi giorni in Italia da un istruttore di Acquagym), per cui mi rifiuto categoricamente di rientrare in mare per guardare il fondale con la maschera.
Al pomeriggio abbandoniamo la spiaggia per andare a farci un massaggio. Nel primo centro molto lussuoso scopro che lo stesso massaggio può costare 27 dollari se sei un turista occidentale e 4 se invece sei uno normale. Nel secondo centro invece i prezzi sono filippini e il massaggio molto energico.

E venne l'ultimo giorno, in cui ebbi la malaugurata idea di lavarmi i capelli di mattina, senza pensare che avrei dovuto prendere un aereo, e che nelle sale d'attesa ci sarebbe stata un'aria condizionata spaventosa e che mi sarebbe venuta una nevralgia tremenda accompagnata da febbre alta. Tra volo interno, voli di ritorno e arrivo definitivo a casa mia mi attendevano 36 ore interminabili di dolore e bestemmie contro questa incomprensibile usanza di erogare aria condizionata assassina anche in località dove la temperatura esterna non supera i 28 gradi.
Nel volo di ritorno in Italia, invece di viaggiare in compagnia di centinaia di filippini pimpanti, mi ritrovo con molti cachemire indossati da italiani borghesi di ritorno da località esotiche, che non fanno altro che criticare le scelte del tour operator che, ad esempio, poteva inserire il pranzo in ristorante quel giorno a Saigon. E infatti applaudono all'atterraggio.

(dicembre 2008 - gennaio 2009)