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Ritorno a Praga: riflessioni sul turismo di massa

Praga non ci lascia più andare. Questa piccola madre ha gli artigli. Non c'è altro da fare che cedere. Per potersene liberare bisognerebbe darle fuoco da due lati, il Vyšehrad e il Hradčany.
(F. Kafka, "Lettera a Oskar Pollak", 1902)

Ritorno a Praga con una minuscola borsa delle dimensioni richieste da Wizz Air, al posto dell'ingombrante zaino con il quale, nell'agosto 1996, avevo preso il treno per Venezia, poi per Vienna, e infine quello diretto alla capitale della neonata Repubblica Ceca. L'appartamento stavolta l'ho prenotato su booking, mentre all'epoca alloggiavo in un casermone filosovietico adibito ad ostello (rintracciato tramite un volantino cartaceo) che costava poco più di diecimila lire a notte.
Il programma iniziale, 21 anni fa, prevedeva che il viaggio proseguisse a Budapest, ma Praga ci trattenne con i suoi kafkiani artigli per due settimane di passeggiate, letture, incontri e giovanile dolce far niente – e non ci lasciò andar via.
Erano altri tempi; non c'era la frenesia di visitare ogni cosa né il bisogno di condividere a tutti i costi esperienze ed immagini (le poche testimonianze che mi sono rimaste sono alcune fotografie analogiche, mosse e buie). E ovviamente ben pochi avevano il telefonino, mentre quest'estate è stato addirittura cancellato il roaming in tutta Europa. 
Praga era già una città molto visitata, ma di certo le cifre non avevano niente a che fare con i sei milioni di turisti che adesso la invadono annualmente. Il McDonald's e le altre catene di fast food avevano già aperto le loro filiali in centro, mentre i quartieri più periferici erano ancora genuini con i loro potraviny da cortina di ferro, le vecchie auto, gli arredi antiquati, gli scantinati fumosi e puzzolenti di fritto. Io – ad ogni modo – già invidiavo quelli che ci erano stati nell'89.
Praga ovviamente è sempre la stessa bellissima città, anche se ora bisogna cercare di non dare troppo peso alle file e agli esosi biglietti per visitare il castello e la cittadella ebraica, ai centri massaggi thailandesi e ai ristoranti vietnamiti, alle bolle di sapone e alle statue viventi, ai free walking tour in tutte le lingue, ai giri turistici in auto d'epoca, ai bastoni per i selfie, ai discorsi razzisti su quelli che vengono qui, rubano i nostri lavori e ci costringono a cambiare il nostro stile di vita.
Nei supermercati il latte non si vende più in busta e i potraviny aperti a tutte le ore sono gestiti da indiani o cinesi. La birra non costa più 600 lire ma in ogni caso un boccale da mezzo litro difficilmente supera i due euro: scende sempre come se fosse acqua, ma alle 9 di sera già molti barcollano e hanno bisogno di fare pipì (necessità per la quale la città è molto attrezzata). Invece delle mega mangiate di Pizza Hut oggi posso permettermi di spendere 10 euro per un goulash o un trancio di salmone, e persino per un petto d'oca con salsa di mirtilli, ma la digestione resta difficile. 
La metropolitana è più o meno la stessa, solo con qualche stazione che prima non c'era: le stesse scale mobili infinite e la stessa indimenticabile voce che ti avvisa che le porte si stanno chiudendo. E anche il clima non è cambiato: d'estate la pioggia è frequente e le temperature possono scendere parecchio.
Sono tornata al Castello e ho rivisto la Katedrala sv. Vita e la fotografatissima finestra protagonista della seconda Fenstersturz, da cui furono lanciati i consiglieri imperiali. Adesso ci sono i controlli con perquisizione all’ingresso e la viuzza d’oro è trafficatissima. Ho ritrovato quel muro dei giardini Wallenstein che mi era rimasto molto impresso. Malá Strana, il Ponte Carlo e la piazza della città vecchia sono affollatissimi ma sempre meravigliosi. Ed è inevitabile che guardando i muretti di Kampa affacciati sulla Vltava mi vengano in mente le "rabbiose spalmate di onde" di Ripellino.
Al quartiere ebraico ci sono tornata con una visita guidata in italiano e ho sentito di nuovo la storia del Golem e di Rabbi Löw, ma non sono entrata nuovamente nelle varie sinagoghe vecchie e nuove e spagnole né nel cimitero, visti i prezzi esorbitanti degli ingressi. Così come non sono salita sulla torre di Petrin (causa fila interminabile) né nel Museo di Kafka, che avevo visitato all’epoca anche se forse era situato altrove. Ho visitato per la prima volta la casa danzante, il muro di Lennon, la Galleria di arte moderna, e anche il Museo del comunismo che nel 1996 non esisteva, restandone però molto delusa: invece delle sale a forte impatto emotivo che mi aspettavo, la maggior parte dell’esposizione è costituita da pannelli di lunghi testi da leggere e oggetti e manifesti in molti casi già visti.
Sono tornata a Praga 7 e il portone è ancora là a far da guardia all'ostello socialista. Il quartiere è più o meno rimasto come un tempo: non ci sono hotel né centri massaggi thai. Nemmeno i turisti vengono fin qui a guardare le stupende facciate liberty dei palazzi. Qualche muro è stato ridipinto ma la strada resta più sporca di quelle del centro. Il nome è cambiato ma il posto lo riconosco: è una libreria-caffetteria dove avevo scovato due libri indispensabili per la tesi di laurea senza capo né coda che cercavo di scrivere. Si chiamava The Globe. Ci sono capitata per caso anche stavolta, ricordavo bene che si trovava ad angolo. La sala lettura è rimasta uguale con gli scaffali fino al soffitto pieni di libri suddivisi per provenienza, lingua, argomento. I divani e le poltrone sfondati sono gli stessi, solo in un angolo è stato introdotto un tavolino con due PC dove due ragazzi ascoltano musica o consultano i social.
Mauro è insieme a due amici a bere birra, è un ragazzo addirittura più giovane di quanto fossi io all'epoca e ha i capelli scuri ondulati, gli occhi luminosi e un bellissimo sorriso. I suoi amici inforcano le bici e vanno via dandosi appuntamento per dopo e io e Mauro senza alcun apparente motivo ci mettiamo a chiacchierare. Lui mi mostra i cataloghi di Mucha e Dalì che ha appena comprato, l'attrezzatura da arrampicata e il quadernino dove annota i suoi pensieri. Lui e i suoi amici viaggiano con l'inter-rail. La notizia mi sorprende e mi fa tornare alla mente il mio viaggio di tanti anni fa: la biografia di Nabokov e il Don Giovanni al teatro dei burattini, le serate fredde in Staromestske Namesti e la febbre, la birra nei pub periferici e Pulp Fiction in inglese con i sottotitoli in ceco, il buon soldato Svejk e Milan Kundera, Ripellino e Pizza Hut. Le facciate liberty sono illuminate dal sole del pomeriggio. Una vespa è annegata nell'ultimo sorso di birra. Mauro mi dice che il prossimo viaggio lo farà da solo.

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