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L'identità del Québec

Quasi tutto quello che sapevo a proposito del Canada lo avevo appreso dagli statunitensi, e in particolare da South Park. Non che mi aspettassi davvero che i canadesi avessero la testa a forma di sfera divisa a metà o che le ruote delle loro auto fossero quadrate, ma avevo pur sempre appreso − ad esempio − che in Canada ci sono più di due partiti politici, che si spendono molti soldi per il sistema sanitario, che le distanze si misurano in chilometri e le temperature in gradi Celsius, che il latte si vende in busta e non in cartone.
In merito ai soldi, avevo sentito dire che le banconote canadesi sembrano quelle del Monopoli, perché sono di plastica. Potete immaginare dunque la mia curiosità la prima volta che sono andata a prelevare al bancomat. Bene, fuori dall'apposita bocca sputasoldi ho visto accumularsi una sull'altra le facce della regina d'Inghilterra (con tanto di triplo giro di perle al collo) stampate su banconote in polimero flessibile, con inserto trasparente. Si trattava naturalmente delle banconote da 20 dollari, perché solo su questo taglio campeggia il viso di Elisabetta Seconda, circondato dalle immancabili foglie d'acero. Nonostante sapessi che la regina d'Inghilterra è il Capo di Stato della monarchia federale canadese, in quel momento la cosa mi è sembrata alquanto bizzarra, visto che ero circondata da persone che parlavano solo francese.
Per capire come si è arrivati a questo, bisogna risalire al 1763, quando le colonie francesi − fondate nel Seicento − passarono all'Inghilterra (che aveva appena vinto la Guerra dei sette anni). Per i poveri francofoni cominciò un periodo buio, in cui si rinchiusero un po' in se stessi (permettendo tra l'altro alla lingua francese quebecchese di mantenere quelle caratteristiche rétro che oggi fanno così ridere quegli snob dei francesi). Per un lungo periodo, nell'area dell'attuale Québec, furono i minoritari anglofoni a fare il bello e cattivo tempo e ad imporre la loro lingua.
Dobbiamo attendere gli anni Sessanta del Novecento per assistere alla leggendaria Révolution tranquille, quando i quebecchesi − oltre a dare un forte impulso alla laicizzazione dello Stato − dimostrarono di aver preso coscienza della dignità della propria lingua e iniziarono (spalleggiati nientepopodimeno che dal generale De Gaulle) a rivendicare i propri diritti.
Nel 1977 il Québec si dotò della gloriosa Legge 101, che riconobbe al francese il ruolo di unica lingua ufficiale della provincia, rendendola tra l'altro obbligatoria per tutti i nuovi immigrati. Finalmente a Montréal insegne, manifesti, cartelli stradali tornarono in francese (e, nel caso di scritte bilingui, venne stabilito che il testo in francese dovesse apparire per primo e in caratteri più grandi rispetto a quello in inglese).
Da allora la minoranza anglofona della provincia ha fatto registrare un continuo declino numerico e oggi rappresenta solo l'8% della popolazione provinciale: molti di loro non conoscono il francese, ma per vari motivi potrebbero essere obbligati ad impararlo (una sorta di vendetta storica che oggi va a tutto vantaggio degli insegnanti di francese). D'altra parte io, erroneamente, pensavo che entrando in un negozio e rivolgendomi in inglese, chiunque mi avrebbe capito, ma non sempre è stato così (nemmeno a Montréal, figuriamoci nella sperduta provincia). Insomma, una volta estromessa definitivamente la Chiesa cattolica dall'argomento, un idioma nato moltissimi secoli fa, a migliaia di chilometri di distanza, parrebbe oggi l'unico elemento distintivo dell'incerta identità quebecchese.
A partire dagli anni Ottanta, non paga dei notevoli successi, una parte dei quebecchesi ha iniziato a dedicarsi alla successiva missione: l'indipendenza. Finora due sono stati i referendum a cui la popolazione è stata sottoposta, e in entrambi i casi hanno vinto i contrari (la seconda volta, nel 1995, davvero per una manciata di voti). Se avremo pazienza forse ci ritenteranno (anche se la dedizione alla causa nel tempo si sta un po' intiepidendo) e così, nel futuro, dai bancomat quebecchesi magari non vedremo più sbucare la faccia di Elisabetta Seconda, su banconote di polipropilene sottile, trasparente e flessibile, ma forse Giovanna d'Arco (o addirittura Brigitte Bardot), ovviamente circondata dalle immancabili foglie d'acero.

Racconto di viaggio "IO MI RICORDO. QUÉBEC, UN PO' DI CANADA"