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LO STRETTO NECESSARIO

Andalusia e Gibilterra in solitaria

Siviglia - Cordova - Granada - Ronda - Algeciras e Tarifa - Gibilterra - Immagini

L'estate di circa 25 anni fa ricevetti una cartolina da una mia compagna di liceo. C'era scritto “Saluti dalla caldissima Annalisa”. O almeno, così mi sembrò di capire. Soltanto molti mesi dopo, riordinando il cassetto delle cartoline (allora ne ricevevo parecchie), mi accorsi che c'era scritto “Saluti dalla caldissima Andalusia”, che almeno aveva un senso visto che la mia amica non era una lap dancer.
In tutti questi anni ho sentito parlare molto dell'Andalusia, ma non ci sono mai andata, forse anche a causa di questa cartolina, e in particolare di quell'aggettivo, di grado superlativo assoluto.
Poi, nel mese di giugno 2013, grazie alla peraltro odiosa Ryanair, in un momento di debolezza ho acquistato un volo economico diretto Bari-Siviglia. A quel punto non potevo tirarmi indietro, nonostante i segnali minacciosi che mi inviava la pagina del meteo di Siviglia (38 gradi alle ore 22).

SIVIGLIA

Perepepèpepè!!! Anche questo volo Ryanair è arrivato in orario al piccolo aeroporto di Siviglia, capoluogo della comunità autonoma dell'Andalusia. Sembra ancora pomeriggio, ma sono le nove passate quando varco l'ingresso della pensione, deliziosamente andalusa con il suo impluvium tutto piastrellato nei colori del blu, la delicata fontana in pietra centrale e il grazioso portoncino in ferro battuto. Mi accoglie Raul, che solo in seguito scoprirò essere di origine cubana, ingannata dal vizio di mangiarsi tutte le "s" che i cubani condividono con gli andalusi. Dalla terrazza il cielo è rosso sangue dietro i tetti e le palme.
A pochi vicoli di distanza c'è la Carbonería, questo locale dove suonano il flamenco, locale che tutti si affrettano a dire che è "vero" e non turistico, ma tutti quelli che lo dicono sono turisti (pare che sia la fissazione di tutti i turisti dire che sono andati in posti non turistici e lamentarsi invece per quelli troppo turistici).
Boccali di birra e bicchieri di tinto de verano si ammucchiano sui tavoli di legno. Socializzo con questa ragazza spagnola con il nome di un'eroina di Donizetti e con il suo amico romano in visita: al termine del concerto la spumeggiante coppia mi guida tra le offerte culturali della notte sivigliana.

La mia prima meta mattutina la scelgo per il semplice motivo che me l'aveva consigliata la mia amica Giovanna: si tratta di Alameda de Hercules, una piazza che quasi cinquecento anni fa − prima dei lavori − veniva puntualmente inondata dal fiume Guadalquivir. La toponomastica cattolica (Plaza de Jesús de la Pasión, Plaza del Salvador, Las cuatros esquinas de s. Josè, Santa Barbara) mi conduce alla meta tra gli edifici bianchi, gialli e rossi del centro, le grate di ferro battuto nero, le tende di stuoia alle finestre e i teloni enormi che creano ombra sulle vie.
Io non ho capito cosa ci abbia trovato la mia amica in Alameda de Hercules, perché io alle 11 di mattina ci ho trovato una piazza più lunga che larga, due statue collocate su altissimi piedistalli (quella di Ercole, che secondo il mito ha fondato Siviglia, e quella di Giulio Cesare, che restaurò la città di Hispalis, come si chiamava all'epoca), diversi alberi, pochi passanti e delle fontane che partivano direttamente da terra. Poi, le numerose insegne di bar e locali notturni mi fanno dedurre che l'area è frequentata soprattutto di sera.
Proseguendo in direzione dei ponti costruiti in occasione dell'Expo del '92, e poi costeggiando il fiume, ritorno verso il centro. Siccome non voglio ammorbare il lettore con il continuo riferimento alle condizioni climatiche, non spiegherò il motivo delle tende di stuoia, né dei teloni né tanto meno degli impianti di irrigazione di cui sono forniti bar e ristoranti, che spruzzano acqua nebulizzata sui clienti ai tavoli. Né posso spiegare il motivo per cui due ore dopo devo sedermi a uno dei suddetti tavolini a bere un litro d'acqua e già che sto a spiluccare camarones e lumache (Hay caracoles! Annunciano con allegria numerosi locali in centro).

Alla cattedrale era tutta la mattina che ci giravo intorno, senza capire bene dove fosse l'entrata, ma allertata dalla famosa torre campanaria alta più di cento metri chiamata Giralda. Questo campanile stranamente familiare inizialmente non riesco a capire cosa mi ricorda, però poi leggo che mi ricorda il minareto della moschea della Kutubiyya di Marrakech, che fu preso come modello. Anche il termine Giralda mi diceva qualcosa e quello che mi diceva aveva a che fare con Cuba: una copia della statua che sta in cima al campanile si trova sulla torre del Castillo de la Real Fuerza dell'Avana, e mi sembra sia legata ad una leggenda di questa donna che spera di veder tornare il marito che però non tornerà mai più.

In ogni caso, la cattedrale di Siviglia è il terzo edificio religioso più grande al mondo. Le buie gigantesche navate in stile gotico sono cinque: in quella centrale (anche se nella lista delle navate più alte del mondo sta solo al tredicesimo posto) ci sono l'immenso coro barocco, l'altare maggiore e la Cappella reale (che però è chiusa per lavori). E infine c'è l'elaborata tomba di Cristóbal Colón, che rappresenta le quattro regioni storiche della Spagna che portano sulle braccia il catafalco dell'illustre navigatore. In merito alle spoglie di Colombo c'è una disputa aperta, perché esse hanno subito alcune disavventure e ora, per dirla in breve, non si sa se esse si trovino tutte qui a Siviglia, oppure davvero alcuni ossicini siano andati a finire nel monumento costruito appositamente nella Repubblica dominicana.
L'appuntamento è alle sei agli Alcázares Reales. Anche in questa vera e propria meraviglia di arte islamica mi sembra di essere tornata in Marocco, non a caso il primo nucleo di questo palazzo reale risale alla stessa dinastia almohade sotto la quale furono realizzati sia la kasba di Marrakech sia la moschea di Rabat (nonché la giralda/Kutubiyya di cui sopra). I lavori successivi seguirono i dettami dell'architettura mudejar (un mix di elementi islamici-cristiani che avevo già visto alla Aljafería di Saragozza) fino ad arrivare agli elementi gotici introdotti da Carlo V (quello che diceva che sul suo regno non tramontava mai il sole). Nella cappella della Casa de Contratación − location di un mitico incontro tra i re cattolici e Colombo appena tornato dall'America − c'è "La Madonna dei Navigatori", il più vecchio dipinto conosciuto il cui soggetto è la scoperta delle Americhe. Sia il palazzo sia gli immensi giardini sono così incantevoli che se non stai attento rischi di trascorrerci tutta la giornata.

Per la serata agguantiamo i biglietti gratuiti messi a disposizione dalla municipalità di Siviglia per assistere ad un concerto jazz, ospitato in una delle tantissime terrazze da cui si domina la città (e da cui la giralda è davvero vicinissima). Per finire Raul, mentre mi conduce in alcuni locali ad aria condizionata del centro, mi racconta alcune sue interessanti esperienze vissute all'università di ingegneria dell'Avana.
L'Arena de la Real Maestranza di Siviglia, dove si svolgono tuttora le corride, la visito sotto un sole cocente che rende l'enorme cerchio di terra battuta di un giallo abbacinante. Tutto intorno, i più di diecimila posti a sedere hanno prezzi diversi a seconda della presenza o no dell'ambitissima sombra. Il palco del Principe invece resta chiuso se non è presente nessun membro della famiglia reale. Visito il museo che ripercorre l'antichissima storia taurina di Siviglia, ma non mi lascio convincere ad acquistare un biglietto per lo spettacolo della sera.
La Torre dell'oro, che sorveglia il fiume Guadalquivir, risale ai soliti Almohadi; attualmente ospita il Museo Navale, che celebra la storia di Siviglia come porto fluviale, e che ho visitato per il solito motivo: la presenza dell'aria condizionata.

La meta successiva è il bellissimo Parco di María Luisa che, oltre ai giardini veri e propri, ospita alcune grandi opere risalenti all'Esposizione iberoamericana del 1929, in vista della quale furono costruiti i padiglioni espositivi. In particolare in questa occasione fu progettata e realizzata la meravigliosissima Plaza De España, un semicerchio grande circa 50.000 metri quadrati, al centro del quale ci sono un canale navigabile e una fontana. Con 42 gradi tutti i visitatori stanno rintanati sotto i portici o accanto alle ringhiere maiolicate gialle e blu (protette dagli alberi) e nessuno osa avvicinarsi alle panchine decorate con gli stemmi e le mappe delle province spagnole, realizzati in ceramica. Solo ardimentosi gruppetti di turisti dell'estremo oriente si avventurano sui quattro ponticelli, privi di ombra.

Quando riesco ad arrivare al museo delle belle arti lo trovo già cerrado, invece per fortuna il Centro Andaluso d'Arte Contemporanea non solo chiude tardi, ma anzi dalle 19 l'ingresso è gratuito. Attraverso dunque Calle Alfonso XII e Calle Laureano e raggiungo la Isla de la Cartuja, superando l'omonimo ponte. L'isola è compresa tra il canale intitolato ad Alfonso XIII ed il Guadalquivir vero e proprio, più periferico, ed è il quartiere ristrutturato in occasione dell'Expo del '92. A quel punto percorro il lunghissimo Camino de lo Descubrimientos e solo quando imbocco Avenida de Américo Vespucio posso dire di essere quasi arrivata. Il museo è ospitato nella monumentale certosa di Siviglia (che ospitò Colombo in varie occasioni), successivamente convertita in fabbrica di ceramiche e infine in Padiglione Reale dell'Esposizione Universale, che commemorava il quinto centenario della scoperta dell'America.
Sulla via del ritorno, tra grandi arterie di comunicazione e rotondoni deserti, moderni edifici e padiglioni, riesco a raggiungere il quartiere di Triana dove posso finalmente assaggiare il rabo di toro, un piatto adattissimo alle temperature di luglio: si tratta di succulenti bocconcini di grassissima coda dell'animale simbolo della Spagna, accompagnati da patate al forno.
La passeggiata digestiva sul lungofiume, lungi dal regalare un po' di refrigerio, avviene sotto una cappa di umidità stile foresta amazzonica. E anche nel Barrio de Santa Cruz, tra le pittoresche stradine, nonostante sia ormai passata la mezzanotte, non un alito di vento asciuga il sudore sulle facce sfatte dei turisti e dei camerieri.

CORDOVA

Il treno media distancia che collega Siviglia a Cordoba segue il corso del Guadalquivir, come si evince dal nome delle stazioni: Alcalà del Rio, Lora del Rio, Palma del Río, Almodóvar del Río. Esso procede silenzioso tra campi di pomodori, mais e alberi da frutto.
Non ero tanto convinta di inserire Cordova nel mio itinerario: la deviazione avrebbe messo tra me e Granada molti chilometri supplementari. Però non volevo rimpiangere di non aver visto coi miei occhi uno dei più importanti monumenti di tutta la Spagna. E infatti, dopo un rapido giretto tra i vicoli bianchi della Juderia, l'antico quartiere ebraico, entro subito nella Mezquita, alias cattedrale dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima, un tempo moschea (nel decimo secolo era il più grande edificio religioso del mondo musulmano) e, prima ancora degli arabi, chiesa visigota.
Il rinfrescante cortile degli aranci, la prospettiva di doppi archi a strisce bianche e rosse poggiati sulle infinite colonne, il mihrab con la sua porta tutta decorata a motivi floreali e calligrafie dorate, per non parlare delle finestre e porte cieche lungo le imponenti mura esterne, tutto ciò lascia incantati. Ma la vera unicità della Mezquita sta nel fatto che dentro alla moschea è stata costruita una chiesa cattolica. È vero che per farle posto hanno dovuto smantellare una inestimabile fetta dell'antico edificio e abbattere una fitta foresta di colonne, ma d'altra parte − se non fosse stata trasformata in chiesa − probabilmente sarebbe stata interamente devastata dai feroci paladini del cattolicesimo.

L'altro piatto forte di Cordova è l'Alcázar De Los Reyes Cristianos, il palazzo-fortezza dove alloggiavano i Re Cattolici quando, ai bei tempi della Reconquista, venivano in villeggiatura a Cordova. In seguito, cacciati via per sempre da Granada quegli antipatici degli arabi, Ferdinando e Isabella cedettero il palazzo alla Chiesa che giustamente lo convertì in un Tribunale del Santo Uffizio (sinonimo di solerzia e devozione per diversi secoli). Non dimentichiamoci però che nel frattempo Colombo era venuto proprio qui a elemosinare i soldi per la sua gloriosa impresa, e infatti un bellissimo gruppo di statue di pietra nel giardino raffigura il faccia a faccia tra i sovrani (riconoscibili dalla corona e dalla mantella di ermellino) e il navigatore (riconoscibile dalla fluente capigliatura e dallo sbarazzino soprabito indossato sui pratici leggings). I giardini sono la parte più interessante della visita: i cespugli potati e i prati fioriti si alternano alle fontane e ai serbatoi per l'acqua, creando l'habitat ideale per le temibili zanzare andaluse.
Ora, Cordova è una città ricca di storia dove ebbero i natali personaggi del calibro di Seneca, Averroè e Góngora; la Mezquita e l'Alcázar sono così ammirevoli che, come si suol dire, valgono il viaggio; e non sottovaluto nemmeno i patios delle vecchie case, le fontane circondate da aranci, la scenografica Plaza de la Corredera, il ponte romano sul Guadalquivir e il Museo del grande pittore Julio Romero de Torres. Però, mi perdonerete, il fatto è che a me non piacciono le cose troppo leccate, i muri troppo bianchi e i vasi di gerani troppo simmetrici, le botteghe artigiane troppo care e i negozietti troppo appiccicati uno all'altro, non mi piacciono i ristoranti turistici dove un piatto che altrove costa 3 euro te lo fanno pagare 8, non mi piacciono i quartieri in cui i bar non hanno il bancone e se ce l'hanno non c'è seduto nessuno, in cui i titolari degli esercizi commerciali sono così abituati agli stranieri da aver perso la curiosità nei loro confronti, e dove i locali notturni sono delle terrazze con le tende bianche svolazzanti e le luci fluo e la musica disco che inizia dopo la mezzanotte.

GRANADA

Da Cordova a Granada il paesaggio si apre, diventa collinare, giallo di girasoli e fitto di ordinati oliveti. Dopo quasi tre ore di autobus spunta la città, seduta ai piedi della Sierra Nevada.
Per visitare l'attrazione fondamentale di Granada (l'Alhambra) nei periodi caldi, è molto consigliabile prenotare in anticipo. La visita al Palazzo Nazaries infatti è contingentata, cioè ti danno un orario che devi puntigliosamente rispettare (inserendoti in una lunga fila). In estate chiaramente gli orari meno gettonati sono quelli a metà giornata quando la temperatura sale considerevolmente, quindi prima prenoti meglio è. Nel resto del complesso invece ci puoi stare quanto vuoi.

L'Alhambra è una cittadella fortificata, appollaiata sul colle della Sabika, fondata nel Tredicesimo secolo da Nazar il Rosso, sultano di Granada, e poi completata da suo figlio. Dopo la scoperta dell'America diventò il palazzo dei re castigliani, e ciò la salvò dall'oblio. La parte più antica è l'Alcazaba, la zona difensiva, dalle cui torri e giardini oggi si gode un meraviglioso panorama della città e della Sierra Nevada. Il piatto forte dell'architettura islamica mondiale è il Palazzo Nazaries, e in particolare il Salón de Comares e il Patio de Los Leones (i più fotografati in assoluto), mentre il Palazzo di Carlo V oggi è stato trasformato in albergo di lusso. All'estremità opposta, vicino alla biglietteria, c'è il Generalife, la residenza estiva dei sultani Nasridi, collegata all'Alhambra da un ponte e ricca di splendidi giardini fioriti, vialetti di cipressi, cortili, fontane e scorci romantici.
Con l'Alhambra posso vantarmi di aver completato l'album delle quattro più prestigiose testimonianze della presenza islamica in Spagna dall'VIII secolo al XIII secolo. Non dimentichiamo infatti che alla Giralda di Siviglia e alla Mezquita di Cordova, bisogna aggiungere l'Aljafería di Saragozza, che avevo appiccicato sull'album già diversi anni fa.

Cosa fanno i turisti a Granada oltre visitare l'Alhambra? Be', intanto si siedono ad uno dei mille tavolini del centro e smangiucchiano le tapas (che vengono offerte gratuitamente insieme alla bevanda), guardando l'Alhambra che dall'alto domina la città. Poi passeggiano in salita nell'arabeggiante quartiere Albaicín fino a raggiungere il Mirador di S. Nicolás, dal quale ammirano l'Alhambra più da vicino (all'ora del tramonto diventa molto chiaro il motivo del nome arabo al-Ḥamrā, ossia "la Rossa").
Quando proprio non ne possono più dell'Alhambra, riscendono verso il centro e provano l'ebbrezza di trovarsi in Marocco: molte belle sale da tè e venditori di tappeti e babbucce di pelle e odore di spezie, ma con una lievissima (e provvidenziale) differenza: gli immigrati si sono spagnolizzati e nessuno ti rompe i coglioni.
La sera poi i turisti assistono agli spettacoli di flamenco, con o senza ballerina (o, se sono fortunati, anche a dei concorsi di flamenco). Quando non ne possono più anche del flamenco, possono addirittura recarsi in uno dei bagni arabi, cantine rifatte in stile islamico con piscine, musica Buddha Bar e massaggio (non sono proprio economici ma a chi piace il genere rappresentano un'esperienza suggestiva). Ci sarebbero anche la cattedrale e la cappella reale, che custodisce i resti mortali dei Re Cattolici, e la casa di Garcia Lorca (che io, in ogni caso, ho trovato chiusa).

RONDA

Ronda è una delle più belle e antiche cittadine andaluse e, grazie alla sua posizione infrattata, fu l'ultima roccaforte araba a cadere nelle mani dei Re Cattolici. La sua fama è dovuta alla collocazione spettacolare di cui gode: si sviluppa sopra ad un roccione a strapiombo sulla pianura ed è spaccata a metà da una profondissima gola, alla base della quale scorre il torrente Guadalevin, sormontato dal vertiginoso ponte nuevo che collega i due nuclei della cittadina. Diversi illustri toreri, cantanti di flamenco, politici e scrittori ebbero i natali a Ronda, mentre più di un esimio artista straniero l'ha scelta nei secoli come musa ispiratrice.
Per motivi che non starò ora qui a dire, a Ronda non ho visitato niente, almeno fino all'ora del tramonto. Solo quando il sole ha cominciato a calare ho percorso la pedonale Carrera Espinel, ho costeggiato la più antica e grande plaza de Toros di tutta la Spagna, bianca di calce, e mi sono affacciata sullo strapiombo dal Mirador de la Espinela. La luce ormai scarseggiava quando ho attraversato il ponte nuevo, ammirando il profondo canyon sottostante e la campagna a perdita d'occhio. Si stavano accendendo i primi lampioni quando sono entrata nella ciudad, la parte antica di Ronda, passando la casa del Rey Moto, l'arco di Felipe V e i bagni arabi. Poi, dopo il Municipio, mi sono trovata sulla Cuesta de las Imágenes che ho percorso per raggiungere finalmente il quartiere di San Francisco. Era praticamente ora di cena quando mi sono seduta ad uno dei tavolini e mi sono rimpinzata di tapas, vicino alla porta di Almocabar che si apre imponente nel mezzo della muraglia araba.

Se non ho potuto approfondire come si deve l'offerta culturale di Ronda, invece sono diventata una specialista di tapas e ora posso dirvi tutto del salmorejo e del gazpacho, di caracoles, gambas e seppioline, dei montaditos, del lomo con pane e dei tramezzini al tonno, della cola de toro e del pisto di verdure, delle fritture di pesce, della carne al limone, di jamon, tortillas di patate, tartine all'avocado eccetera. Vista la mia esperienza, tutti qui a Ronda vogliono sapere se è vero quello che si dice su Granada, cioè che quando ordini una birra ti danno anche una tapa gratis. Ricevuta la risposta affermativa, mi chiedono quanto costa una birra laggiù, e appena scoprono che costa ben 2 euro, sono pronti a ribattere che è meglio lì a Ronda: è vero che la tapa non te la regalano, però la birra costa solo un euro.
Mentre ero alle prese con le tapas ho conosciuto Julie, una simpatica francese che vive a Granada e che, pur non avendo i miei stessi problemi con il caldo, è però una patita della movida. Non che Ronda brilli in quanto ad offerte per i nottambuli, ma tra una terrazza ed un bar, non è stato difficile tirare fin quasi all'alba.

Ora devo fare una confessione: l'ultima giornata a Ronda non l'ho trascorsa a Ronda, bensì in un posto dove non avrei mai messo piede se non ne avessi avuto davvero bisogno. Necessitando di un bagno refrigerante, ho preso una corriera per andare al mare; e si dà il caso che il mare più vicino fosse quello della Costa del Sol, anzi, più precisamente, quello della nota località balneare di nome Marbella (celebre per la speculazione edilizia). In realtà, poi non sono andata esattamente a Marbella, bensì − peggio ancora − nel cuore del turismo di lusso (quello dei campi da golf e dei negozi chic): Puerto Banús. A onor del vero, e a dispetto del mio pregiudizio, la spiaggia libera di Puerto Banús era molto larga e poco affollata, la temperatura era deliziosa, ho pagato solo 3 euro una birra al tavolino di un ristorante sulla spiaggia (nessuno, tra gli appassionati di tapas di Ronda, ci credeva che fosse così economica) e soprattutto, grazie a quei bagni così rinfrescanti, mi sono completamente ristabilita dalla mia virulenta reazione allergica (che era poi il motivo per cui non potevo espormi al sole).

ALGECIRAS E TARIFA

Dopo aver visitato lo stretto indispensabile di ogni viaggio in Andalusia che si rispetti, di fronte a me si aprivano le inevitabili prospettive della provincia di Cadice. Scegliere la meta precisa, in ogni caso, non è stato difficile: è bastato cercare sul meteo la località con la temperatura più bassa di tutta la provincia.
Eccomi dunque, dopo un tragitto tra gli ulivi ora sparpagliati e i bianchissimi villaggi, presso un basico hostel di Algeciras, dove l'esuberante Miguel mi sta illustrando con dovizia di particolari le offerte turistiche di Tarifa e di Gibilterra, la relativa logistica e i migliori tapas bar della città.
Algeciras si affaccia sullo Stretto di Gibilterra, piazzata sul bordo occidentale della grande baia chiusa ad est dall'omonima penisola. È il più grande porto di Spagna: da qui e da Tarifa i traghetti fanno la spola con il Marocco. Gli arabi la chiamarono "isola verde" e ancora oggi è piena di parchi e giardini. Il mio umore è euforico mentre passeggio tra le vie pulite dal vento e respiro la fresca aria di mare; la spiaggia è molto frequentata, nonostante le grosse imbarcazioni e navi-container che stazionano a poche decine di metri dalla costa.
Ho scelto proprio bene la mia meta, mi compiaccio mentre chiacchiero con una creatrice di bijoux nella sua bottega, prima di acquistare un bellissimo paio di orecchini. Forse era scritto da qualche parte che dovevo arrivare qui, mi sorprendo a ripetere di fronte ad un succulento piatto di trippa e poi mentre bevo una birra insieme a Cibeles, che ho conosciuto al bancone di un bar del centro.

La mattina raggiungo Tarifa, località rinomatissima nel mondo del surf grazie alla sua posizione che la rende praticamente sempre ventilata. Mi ero portata il costume perché avevo una mezza idea di fare un bagno al mare, pur temendo i temibili cavalloni che di certo avrebbero reso arduo il mio proposito. In realtà già dal momento della partenza il cielo si era seriamente annuvolato, congiurando contro l'eventualità di una gita piacevole, ma ciò che non avevo previsto era che, contrariamente ad ogni pronostico, non un filo di vento rallegrava i numerosi surfisti convenuti in città, i quali non potevano far altro che cazzeggiare nei bar o fare shopping nei raffinati negozietti alla moda, in attesa di tempi migliori. La lunghissima spiaggia aveva perso tutti i suoi colori (nonostante i numerosi costumi da bagno fluorescenti cercassero di sopperire) e anche la passeggiata nel grazioso centro storico, tutto pitturato di bianco, mi ha messo molta tristezza addosso.
L'unico brivido geografico l'ho provato quando ho visto il cartello con scritto "Mediterraneo" di fronte a quello con scritto "Atlantico" e ho letto che mi trovavo nel punto più meridionale d'Europa, dove i due mari si incontrano. Con quel clima malinconico, mi è passata la voglia di proseguire verso la Duna de Bolonia e me ne sono tornata alla base, decisa a raggiungere Gibilterra prima di quanto avessi preventivato.

GIBILTERRA

Quando chiedevo pareri su Gibilterra agli spagnoli, in genere restavano sul vago, oppure mi rispondevano alzando le spalle, come a voler dire che non ne valesse la pena, o al limite che non ne avevano la più pallida idea.
Ora, i motivi per cui una località ti rimane nel cuore più di altre sono innumerevoli, a volte basta esserci andati con la luce giusta o con la disposizione d'animo migliore, fatto sta che la visita di questa singolare penisola è stata la più grande sorpresa dell'intero viaggio, e forse devo dire grazie al campanilismo degli spagnoli se non avevo grandi aspettative (e alle nuvole di Tarifa se ci sono arrivata per tempo).

Gibraltar è territorio britannico sin dal 1700: per entrarci bisogna arrivare alla Línea De La Concepción e poi attraversare la dogana, passando accanto alle piste di decollo e atterraggio dell'aeroporto. Le cabine telefoniche, le cassette della posta, gli autobus, le insegne e i nomi delle vie, i negozi di Marks&Spencer e financo i bidoni dell'immondizia danno al visitatore la comprensibile impressione di stare in Inghilterra, ma poi basta entrare nel giardino botanico, ricco di fichi d'India, alberi del drago, palme e aloe, per essere catapultati in Africa. Nemmeno la lingua che si parla è molto utile per geolocalizzarsi, essendo un mix di spagnolo, inglese e dialetto ligure. E infine, come se non bastasse, Gibilterra è uno dei tanti paradisi fiscali esistenti al mondo, invaso da rivenditori di benzina, tabacchi e alcolici a buon mercato.

Al centro dell'area spicca la Rocca, un tempo conosciuta come una delle Colonne d'Ercole. Dalla sommità, raggiungibile comodamente con la funicolare, non solo si può ammirare un meraviglioso panorama di mare, coste e rocce, ma se si ha fortuna potrebbe spuntare dalla bruma l'altra colonna d'Ercole, il Jebel Musa marocchino. Sulla Rocca vivono i semi-selvaggi macachi, molto amanti degli scherzi ai turisti; i cartelli affissi ovunque raccomandano di non dare loro del cibo e di stare molto attenti ai propri beni, in quanto non è infrequente che una scimmia si appropri, ad esempio, di uno zaino, e in quel caso è molto difficile farselo ridare.
E infine, dopo aver attraversato tutta Gibilterra, eccomi nell'estremo lembo meridionale, l'Europa Point, dove una bianca moschea seduta sotto alla Rocca e un faro a strisce bianche e rosse si fronteggiano, assediati da un cielo bluissimo pieno di uccelli e dal mare che è ancora Mediterraneo, ma per un soffio.

(luglio 2013)

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