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THE TERMINAL

Viaggio in Giappone

Quando sono arrivata all’aeroporto Narita di Tokyo ho preso il treno della Keisei Railway insieme ad Alfredo, un italiano che avevo conosciuto all’aeroporto di Istanbul e che vive a Tokyo da tre anni. Alfredo a un certo punto mi ha detto che quel gruppo che stava seduto in fondo al vagone erano cinesi perché i giapponesi non parlano mai a voce così alta.
Appena uscita dalla stazione di Ueno ho trovato un grosso palo con un pulsante che serve per chiamare il taxi. Un minuto dopo averlo pigiato è comparsa una vettura nera con le tendine di pizzo ai finestrini, gli sportelli si sono aperti automaticamente e sono stata portata al mio hotel di Asakusa. Prima di andare via il tassista è corso a cercare qualcosa nel portabagagli e, tutto trafelato ma sorridente, mi ha regalato un ventaglio.
Quando esci da un aeroporto giapponese, pensi di uscire da un aeroporto ma in realtà continui a restare imprigionato in un altro gigantesco aeroporto che si chiama Giappone. Ad esempio all’ingresso di musei, parchi, centri commerciali, stazioni ecc. c’è sempre un cartello che ti spiega cosa puoi fare e cosa non puoi fare e anche se non sai il giapponese ci sono delle immagini esplicative. Quello che non puoi fare quasi da nessuna parte è fumare, nemmeno per strada, tranne nelle smoking area che sono posizionate ovunque. Queste aree fumatori fanno un po’ tristezza perché le persone stanno tutte in piedi e non si rivolgono nemmeno la parola e le puoi vedere benissimo perché non c’è nessun muro o a volte nemmeno il vetro. In moltissimi bar e ristoranti invece si può fumare quanto si vuole pure se sono al chiuso, anche perché ci sono degli impianti di condizionamento potentissimi, e se gli chiedi di alzare la temperatura loro ti dicono sì ma in realtà non la alzano manco per il cavolo.
I giapponesi poi si mettono in coda per praticamente ogni cosa, sono file lunghissime e ordinatissime come quelle agli imbarchi, formate da persone che non mostrano alcun segnale di impazienza e anzi sembrano proprio orgogliose di essere lì nella fila.

Tokyo 

Per il primo giorno a Tokyo avevo preso un appuntamento con una guida che parla italiano. Secondo l’accordo io avrei usufruito gratuitamente del servizio ma avrei dovuto pagarle i pasti, gli spostamenti e gli eventuali biglietti di ingresso. Rika, una cinquantenne esile ed elegante, si è fatta trovare in hotel con molto anticipo. Dopo una mezz’oretta mi ha già regalato un pacco di biscotti e un quaderno con la copertina a fiori su cui aveva elencato con molta cura una serie di attrazioni e ristoranti consigliati.
La prima meta è il mercato del pesce di Tsukiji, che in realtà è stato trasferito e adesso sono rimaste solo le bancarelle all’aperto. Esse espongono prodotti gastronomici quali ad esempio angurie che costano 50 euro, ricci di mare enormi, cialde a forma di tonno ripiene di pasta dolce di fagioli azuki, infinite varietà di pesce fresco e pesce essiccato, alghe, carne di Kobe, gelati al gusto di tè verde matcha ecc. Il problema con Rika è che se le chiedo cosa sia quel cibo esposto lei me lo compra e infatti io a un certo punto non le ho chiesto più niente per paura che entrasse nel negozio a comprarlo.

Poi Rika mi porta a visitare uno dei più antichi luoghi sacri della città, ossia il santuario Nezu, situato nel tranquillo quartiere di Bunkyō. Una delle sue più famose caratteristiche è il percorso di torii rossi, una specie di tunnel molto scenografico e tipicamente giapponese che secondo la tradizione shintoista separa la zona profana da quella sacra di un tempio. Essendo la prima volta che visito un tempio shintoista devo capire ancora bene come funziona la ritualità di questa antichissima religione. Per il momento capisco che prima di accedere all’altare bisogna lavarsi le mani e la bocca presso queste vasche usando un mestolo di bambù, e poi che alle divinità shintoiste si scrivono delle preghiere o desideri su tavolette di legno che poi vengono appese tutte insieme intanto che gli dei si decidano a farli avverare.
Nella metropolitana molte persone leggono dei libri, ma la cosa strana è che tutti i libri sono foderati con delle copertine di carta, così nessuno può capire che libro stai leggendo, e quando ho detto questo fatto a Rika si è messa la mano sulla bocca ed è arrossita un sacco.

Per pranzo la mia guida mi porta a mangiare un piatto di soba, ossia tagliolini di grano saraceno, in un ristorante tradizionale con i tavoli bassi, dove notoriamente a noi occidentali si addormentano le gambe. Rika mi dice che in Giappone i ristoranti quasi sempre sono specializzati in un solo piatto. Lei prende solo un minuscolo gelato e non vuole nemmeno che le sia pagato, e anche per i biglietti della metropolitana bisogna quasi litigare per pagarglieli secondo gli accordi preliminari.
L’ultima tappa è Yanaka, un quartiere risparmiato dai bombardamenti e quindi più tradizionale, tra l’altro con immensi grovigli di cavi elettrici, dove è presente un cimitero molto antico. Nel frattempo ha smesso di piovere e Rika, prima di salutarmi per sempre, mi vuole a tutti i costi regalare il suo ombrello, e questo è davvero troppo e quindi sono molto sollevata quando lei se ne va per la sua strada. Che poi qui in Giappone gli ombrelli per la pioggia sono tutti di plastica trasparente, che è una cosa molto intelligente perché così si vede bene dove vai anche se lo tieni molto calcato sulla testa. L’unico problema è che sono tutti uguali e hanno dovuto inventare una specie di molletta colorata che ti permette di riconoscere il tuo nel mucchio che a volte si crea fuori dalle attività commerciali. Gli ombrelli per il sole invece sono di tanti colori diversi, però se ti sbagli e li usi per la pioggia non funzionano.

Il quartiere di Asakusa è una scelta piuttosto scaltra per dormire a Tokyo: ha una bella atmosfera, un’architettura più tradizionale e inoltre si trova in una posizione favorevole per visitare la città.
I corridoi color tortora del mio hotel sono ovattati di moquette e illuminati da faretti discreti. La stanza è economica e come al solito molto raccolta, ma pulitissima e fornita di tutte quelle cose che uno potrebbe essersi scordato a casa, come pettine spazzolino ciabatte rasoio ecc. Il gabinetto è quello tipico giapponese dotato di tasti con le icone: una per lo scarico, una per il getto d’acqua posteriore, uno per il getto d’acqua anteriore, e poi se spingi il tasto su cui è stampata una nota musicale parte il suono dello sciacquone che copre i rumori imbarazzanti. La maggior parte di queste caratteristiche poi le ho ritrovate in quasi tutti gli hotel del paese, indipendentemente dal livello di prezzo.
L’attrazione più affascinante di Asakusa è il tempio Senso-ji, il luogo di venerazione più antico di Tokyo, soprattutto di sera quando tutto il complesso viene illuminato in maniera molto sapiente e suggestiva. Qui ho compiuto altri passi avanti nella conoscenza della ritualità shintoista, scoprendo l’esistenza degli omikuji, questi biglietti arrotolati che contengono una predizione divina. Essi possono essere pescati da un cassetto in cambio di 100 yen: se la divinazione è positiva te lo porti a casa (senza superbia, sia ben chiaro), se è negativa invece la leghi intorno ad una ringhiera insieme a tutte le altre maledizioni, più o meno gravi, ed è come se non fosse successo niente.

Il mio quartiere ospita numerosissime piccole attività commerciali, ristoranti e localini, in uno dei quali ad esempio una sera ho socializzato con un tizio che aveva perso l’ultimo treno e doveva far passare la notte in qualche modo. D'altra parte anch’io dovevo farla passare la notte, visto che le prime sere in estremo oriente non è tanto facile prendere sonno. Un’altra cosa che ho fatto per far passare la notte è stato vagare nelle sale giochi. Quando entri in una sala giochi giapponese il frastuono e il tripudio di luci ti guidano in un mondo parallelo: negli infiniti corridoi di monitor allineati alberga un catalogo di giocatori con gli occhi incollati allo schermo e la cicca in bocca (la temperatura polare fa capire subito che è consentito fumare), poi ci sono ad esempio enormi pupazzi di Doraemon o cabine fotografiche dove le proprie foto vengono ritoccate eliminando le imperfezioni e aggiungendo occhioni e ciglia lunghe.
In Kappabashi-dōri (la via dedicata alla cucina), c’è una sfilza di negozi che vendono i Sampuru, quelle irresistibili riproduzioni delle pietanze realizzate in pvc, inventate da un tale maestro Takizo Iwasaki. Grazie a questi realistici modelli e alle fotografie esposte in vetrina scegliere cosa mangiare in Giappone è molto facile. Ad Asakusa ad esempio ho mangiato la prima di una lunga serie di gustose ciotole di ramen (l’unico piatto che non mi ha mai stufato), ma ho provato anche la cucina teppanyaki. In questo tipo di ristorante nei tavoli sono incastonate delle piastre su cui un cameriere armato di grandi posate trasforma del cavolo crudo mischiato a uova e ad alcuni rachitici pezzi di pesce nel piatto che hai ordinato.

Da Asakusa poi si possono raggiungere a piedi le attrazioni di Ueno, ossia il parco, lo zoo e il polo museale. Nei paraggi della grande stazione di Ueno (molto comoda sia per l’aeroporto sia per spostarsi fuori Tokyo) ha sede il mercato all’aperto di Ameya Yokocho, affollato anche la sera grazie al gran numero di ristoranti di ogni tipo. È qui che per la prima volta ho notato questo problema che hanno i giapponesi con l’alcol. Voglio dire che non è raro vedere, ad orari serali nemmeno tanto tardi, impiegati apparentemente seri in giacca, cravatta e valigetta che camminano oscillando pericolosamente come se fossero fatti di gomma e spesso devono aggrapparsi ai pali o a quanto trovano per non cadere spalmati a terra.
Inoltre dal mio quartiere partono i traghetti turistici diretti ad Odaiba, una grande isola artificiale e popolare meta turistica situata nella baia di Tokyo, dove è presente il celebre Gundam Unicorn che a una cert’ora si muove, ma anche, ad esempio, una copia in scala ridotta della Statua della Libertà, un centro commerciale in cui sono riprodotte alcune piazze italiane, una ruota panoramica alta 115 metri ecc.

Shinjuku è la Tokyo che uno ha sempre immaginato vedendola in TV o al cinema, e infatti alcune scene memorabili del film Lost in translation sono girate qui. Per godersi una bella vista gratuita sulla città basta salire sull'osservatorio del Metropolitan Government Building, che è aperto fino alle 5 e mezza. Poi man mano la luce va via e il quartiere si prepara ad essere quello che è ogni sera: grattacieli, locali, sale giochi, karaoke, negozi con appariscenti insegne a neon, videoschermi giganteschi. Attraversata la stazione ferroviaria più trafficata del mondo, sono entrata nel suggestivo budello del Golden Gai, dove convivono gomito a gomito decine di minuscole tipiche locande chiamate izakaya. La cosa che mi è piaciuta di più dei bar e ristoranti giapponesi è che appena ti siedi ti danno un piccolo asciugamano bollente con cui pulirti le mani ed eventualmente la faccia, come è accaduto in questo bar con il bancone di legno, la barra di ottone e gli sgabelli di pelle su cui sedevano tanti uomini solitari in camicia e giacca. E come è accaduto nel vicino ristorante di sushi. Il sushi non l'ho mangiato solo nel quartiere di Shinjuku ma in tutto il Paese, specialmente nei locali dotati di nastro trasportatore o nei vassoietti già pronti che vendono nei konbini (minimarket) e nei centri commerciali, ma il colpo di fulmine non è scattato. Si dice che il Giappone abbia il più alto numero di ristoranti perché pochi giapponesi invitano gli ospiti a casa propria e infatti Alfredo me lo aveva detto subito, quel giorno che l'avevo conosciuto a Istanbul.

Akihabara è il quartiere dei video-game, dell'elettronica, dei manga e degli otaku, famoso per i bar dove le cameriere sono vestite da manga e per i locali dove puoi accarezzare gatti, gufi, ricci eccetera mentre sorbisci la tua bevanda. In questo quartiere imperdibile io non ci sono stata, o meglio l'ho attraversato senza degnarlo di uno sguardo per recarmi al santuario shintoista di Kanda, che oggi è diventato una mecca per gli amanti della tecnologia (e tra l'altro vende talismani fatti apposta per benedire i dispositivi elettronici). Nel tempio, oltre alle altre tipiche caratteristiche shintoiste a me già note, ho visto due sacerdoti, con indosso grossi cappelli bombati neri, che agitavano impropriamente una specie di piumino swiffer gigante di fronte ad alcuni fedeli seduti a capo chino.
Nelle immediate vicinanze c'è l'Ochanomizu Origami kaikan, uno spazio multifunzionale dedicato all'arte dell'origami, che comprende sia un negozio sia un laboratorio artigianale dove tengono dei corsi. Qui dentro un cordiale signore, mentre chiacchierava amabilmente con me, ha confezionato con la carta, in pochi secondi e senza che io me ne accorgessi, un anello con smeraldo e una spilla d'argento.

L'altra zona ipermoderna e colorata amata dai registi è Shibuya dove, oltre all'incrocio più trafficato del mondo e alla statua del cagnolino Hachiko, c'è il quartiere dello shopping e delle mode giovanili stravaganti, cioè Harajuku. La strada principale è Omotesando, dove hanno sede negozi di alta moda e centri commerciali progettati da architetti famosi, come il Tokyu Plaza, dotato di un originale ingresso fatto di specchi, molto instagrammabile. Nella nota e affollatissima via Takeshita vanno alla grande lo zucchero filato e le crepe dolci, i negozi di cosplay e i giovani alternativi, e poi non rimane che perdersi dentro uno dei tanti Daiso, catena che vende tutto a 100 yen (meno di un euro). A poca distanza si trova l'accesso al santuario Meiji-jingu, dedicato alle anime dell'Imperatore Mutsuhito e di sua moglie, che morirono poco più di un secolo fa. Esso si trova praticamente dentro una immensa foresta dove si può passeggiare per ore.

Kantō

Grazie all'efficiente servizio di spedizione bagagli giapponese, mi sono liberata della valigia inviandola a Kyoto e per tre giorni ho gironzolato con un mini zainetto nella regione del Kantō. Prima di tutto raggiungo Nikkō, che si trova a circa 150 km da Tokyo, ma sembra di essere in un altro mondo. Quando sono uscita dalla stazione, nella piazza principale, sono rimasta impressionata dalle colline, dai verdi boschi e dal clima piuttosto montano.
Questa cittadina è famosa per gli spettacolari templi tutelati dall’UNESCO, dove le offerte si possono fare anche usando il QR code. Il più importante è il santuario Tōshō-gū, un complesso composto da edifici e pagode circondati da una magnifica foresta. Il suo valore aggiunto consiste nelle ricchissime decorazioni, come bassorilievi e intarsi di legno e oro, sculture di animali mitici, statue e portali. La più fotografata delle opere è quella che si trova sulla parete della scuderia dei cavalli sacri, che rappresenta le tre celebri scimmiette sagge.

Intorno al paese ci sono laghi, cascate, località termali, percorsi di trekking e altre meraviglie naturali. Ad esempio, scendendo verso il fiume Daiya e camminando lungo le sue sponde, ho raggiunto l’abisso di Kanmangafuchi, famoso per 70 statue in pietra messe in fila che rappresentano dei piccoli Bodhisattva, ossia persone che hanno raggiunto l’illuminazione, ma rinunciano al Nirvana e si dedicano ad aiutare gli altri. Questi cosiddetti Jizo sono tutti seduti a gambe incrociate con gli occhi chiusi e indossano un cappellino rosso fatto a maglia e un bavaglino fuxia. Infatti il Jizo è tradizionalmente il protettore dei bambini e dei viaggiatori (per questo statue del genere sono molto diffuse presso gli incroci). La leggenda narra che le statue cambiano posto ogni tanto e che il visitatore non le vedrà mai due volte nello stesso ordine. Si dice anche che se le conti mentre cammini, al ritorno ne conterai una di più (un fantasma) rispetto all’andata. La passeggiata è molto suggestiva anche a causa della nebbia e del muschio che rendono l’atmosfera fiabesca e misteriosa.
Per mangiare, la scelta non è vastissima perché la maggior parte dei turisti si reca a Nikko in un'escursione giornaliera da Tokyo, ma sono comunque riuscita a trovare una locanda decente.

Per andare ad Hakone bisogna tornare a Tokyo e da lì prendere uno shinkansen per Odawara. Da qui parte un bellissimo trenino d'epoca che viaggia su una ferrovia a scartamento misto ispirata a quella del Bernina; è la più ripida di tutto il Giappone, per questo lungo il percorso ci sono tre inversioni di marcia per superare le pendenze maggiori. Il giorno in cui l'ho preso io il treno si apprestava ad andare in pensione e lungo tutto il tragitto era appostato uno schieramento di fotografi impegnati ad immortalarne le ultime gesta.
Hakone fa parte del Parco Nazionale Fuji–Hakone Izu ed è una località di villeggiatura famosa perché è ubicata nel posto ideale per ammirare in tutto il suo splendore il monte Fuji. Per dire, un angolo del giardino del grand hotel dove alloggio è ufficialmente adibito a punto di osservazione, mentre in uno dei corridoi è affisso un simpatico disegno del vulcano su cui sono posizionate delle nuvole adesive. Va detto che il mese di luglio non è il periodo migliore per avvistarlo poiché nella stagione delle piogge raramente il cielo è sereno, e infatti di monte Fuji non ne ho visto manco un pezzettino.
In ogni camera dell’hotel c’è uno yukata (il kimono estivo, di cotone) a disposizione degli ospiti, coordinato alle ciabatte e al gilet imbottito che si indossa sopra e che in questo periodo, di sera, è indispensabile. La maggior parte dei clienti (me compresa) indossa questo outfit negli spazi comuni dell’albergo.

La cena l’ho consumata nella spaziosa sala ristorante, gremita di uomini e donne vestiti di bianco e blu, dove è allestito un grandioso e coreografico buffet. Poi, nella smoking area in giardino, ho socializzato con altri fumatori, e in particolare ho intrattenuto una conversazione con due anziane ospiti, resa possibile dall'utilizzo di google traduttore, e dedicata in parte alla reciproca conoscenza, in parte alle previsioni del tempo per l'indomani.

Onsen significa letteralmente fonte termale naturale ed è il bagno comune giapponese: una vasca bollente che ti abbassa la pressione di moltissimi punti e da cui esci rilassato come se ti avessero dato un colpo in testa e con la pelle sube-sube (liscissima). Prima di entrare nella vasca bisogna lavarsi ossessivamente tutte le parti del corpo ad una delle postazioni doccina dotate di sgabellino. Gli onsen giapponesi sono il posto in cui sperimentare l'hadaka no tsukiai (amicizia nuda), in quanto bisogna togliersi ogni indumento; si viene dotati soltanto di un minuscolo asciugamano che non si è ben capito a cosa serva, ma è fondamentale che non vada messo in acqua. Nel grand hotel di Hakone oltre alla vasca al coperto c’è una piccola e suggestiva piscina naturale all’aperto, realizzata in pietra.

Purtroppo appena arrivata in zona ho scoperto che le cabinovie che portano da Gora a Togendai, sul lago Ashi, erano chiuse a causa dell’attività vulcanica. Ecco perché mi sono persa la valle geotermale di Owakudani, da cui fuoriescono vapori sulfurei, e non ho potuto mangiare le tipiche uova nere, cotte nelle acque termali vulcaniche, che mi avrebbero allungato la vita di 7 anni. In compenso ho visitato il bellissimo museo Open-air di Hakone, dove sono esposte più di mille opere di artisti giapponesi ed occidentali, sia nel bellissimo parco sia in alcuni edifici coperti.
Per visitare il lago Ashi, formatosi nella caldera del monte Hakone durante l'eruzione di 3000 anni fa, ho partecipato a una crociera a bordo di un vascello settecentesco che mi ha portato a sud del lago, in un paesaggio nebbioso e sospeso. Quindi un autobus mi ha riportato a Gora dove ho passeggiato nel Parco omonimo (grande fontana, roseto, serre, ristorante, sala da tè) prima di tornare ad Odawara.

Kansai

Lo shinkansen partito da Odawara mi ha recapitato in breve tempo a Kyoto, nella meravigliosa stazione famosa per la sua avanguardistica architettura in vetro e acciaio. Gli shinkansen sono molto noti ai turisti perché la maggioranza di essi sono inclusi nel JR pass che permette di prenderne all’infinito, di questi treni, per il periodo prescelto. Negli shinkansen, che vanno velocissimi ma non si direbbe, i membri del personale di bordo ogni volta che entrano in un vagone fanno l’inchino ai passeggeri (i quali li ignorano alla grande), lo attraversano tutto fino alla porta successiva e poi, giunti lì, si voltano per fare un altro inchino di commiato, ignorato altrettanto bellamente. Su un binario della stazione di Kyoto ho visto uno shinkansen tutto rosa marchiato Hello Kitty.
Nei treni giapponesi (non solo shinkansen, anche quelli normali) c’è un ingegnoso stratagemma che trasforma in un battibaleno una coppia di sedili in fila in un salottino da quattro posti. E questo è solo un esempio dei tanti piccoli accorgimenti che semplificano la vita quotidiana e che rendono i giapponesi un popolo adorabile.

Il santuario di Yasaka si trova a Gion ed è uno dei più importanti della città di Kyoto. Di sera è un luogo molto romantico grazie alle tante lanterne illuminate, ai pochi visitatori e al silenzio che esalta i suoni tipici della ritualità shintoista: la campana di ottone che si suona tirando la corda, le mani che si battono per due volte di seguito dopo aver chinato il capo, di nuovo il rintocco di campana, e infine il rumore delle monetine che cadono nella cassetta di legno per le offerte.
Il tempio acquisì importanza nel nono secolo, quando il paese era afflitto dalla peste e gli abitanti di Kyoto, convinti che fosse causata da una maledizione divina, decisero di chiedere aiuto al dio Gion; fu in quel periodo che si tenne per la prima volta il Gion Matsuri, una delle più importanti feste di Kyoto, che per mia fortuna si svolge a luglio. La movimentata sfilata di carri, santuari e centinaia di persone vestite in abiti dell’epoca è molto scenografica e mi permette di fare un viaggio indietro nel tempo.

Il quartiere di Gion si sviluppò proprio per ospitare i pellegrini in visita al tempio di Yasaka. La sua fama però è dovuta al fatto che ospitava le geishe (che qui si chiamano geiko – o maiko se sono ancora apprendiste), il cui compito consisteva nell'intrattenere con piacevoli conversazioni ed esecuzioni musicali gli uomini facoltosi della città nelle "case da tè" (le ochaya). Oggi le architetture delle abitazioni tradizionali, la luce discreta delle lanterne, i piccoli ponti sul fiume Shirakawa e i numerosi incantevoli ristoranti e localini lo rendono uno dei luoghi più affascinanti di Kyoto, pure se è più raro incontrare delle geishe (che comunque eseguono ancora in alcuni periodi le tradizionali danze annuali).
Percorrendo le vie di Gion ho cercato di immaginarmi le avventure di Mineko Iwasaki, come le racconta nel suo libro di memorie "Geisha of Gion". A quanto pare questa Mineko raccontò tutti i fatti suoi ad Arthur Golden, il quale ne scrisse nel best seller "Memorie di una geisha" (da cui fu tratto anche un film di successo); l'autore però non ha rispettato i patti sia perché ha rivelato il nome di Mineko nei ringraziamenti, sia perché ha rielaborato a modo suo la storia inserendo elementi che gettavano discredito su tutte le geishe, dandone un'immagine di prostitute di alta classe (che poi è un fraintendimento molto frequente nell'opinione pubblica). Ecco perché Mineko Iwasaki non solo ha ricevuto una imprecisata somma di denaro dopo il processo, ma ha anche scritto la sua vera storia, nel libro tradotto in italiano con il titolo "Storia proibita di una Geisha".

Kyōto è una città ricca di storia, arte e cultura, dove è obbligatorio trascorrere più di un giorno. Intanto, non si può mancare una visita alla zona di Sagano - Arashiyama, situata nella parte occidentale della città, ai piedi del monte Arashi appunto. Anche se in estate non si possono ammirare né i ciliegi in fiore né il foliage autunnale degli aceri, in compenso si può assistere alla pesca con i cormorani e inoltre si può attraversare l'incantevole bosco di bambù, che per fortuna non risente molto delle differenze stagionali.
Al centro del quartiere, su uno sfondo di montagne e boschi rigogliosi, si trova il ponte Togetsukyō; percorrendo un sentiero in salita si raggiunge il parco Iwatayama, dove più di cento scimmie giapponesi (dette anche "snow monkeys") scorrazzano liberamente; inoltre ci sono diversi templi (il più importante dei quali si chiama Tenryu-ji) e molti negozi e attività di ristorazione, visto che l'area è molto frequentata per trascorrere una giornata all'aria aperta.

In merito agli altri proverbiali mille templi di Kyoto, inizialmente ho fatto un po' di confusione tra quello d'oro e quello d'argento, ma alla fine sono riuscita a visitarli entrambi. Ginkaku-ji, quello "d'argento", è un tempio zen nel distretto di Higashiyama, a est della città; il Kinkaku-ji è invece un complesso monastico buddista situato a nord e prende il nome dalla foglia d’oro con cui è interamente ricoperto il suo edificio più celebre, che nel romanzo capolavoro di Mishima, Il padiglione d'oro, rappresenta l'incarnazione della bellezza. Entrambi i santuari, inutile dirlo, sono circondati da bellissimi giardini.
E comunque il tempio più fotografato di Kyoto resta sempre il Fushimi-Inari Taisha, per la famosa lunghissima galleria di torii arancioni, che poi le foto sono venute tutte sfocate anche perché ha iniziato a diluviare. Esso è dedicato ad Inari, divinità del riso, della fertilità e dell'agricoltura nonché patrono degli affari.
A Kyoto naturalmente non ci sono soltanto edifici religiosi, ma molte attrazioni laiche, come ad esempio il mercato di Nishiki, dove è molto divertente osservare i prodotti in vendita (chessò, cozze lunghe quasi mezzo metro, polpi caramellati, frutta costosissima impacchettata nella plastica), oppure il castello Nijō-jō, noto per i pavimenti che scricchiolano a ogni passo ricordando il verso dell'usignolo.

Nara fu la prima capitale del Giappone ed è un luogo di grande interesse artistico, certificato dall’UNESCO, nonché organizzatissimo dal punto di vista turistico. È la destinazione perfetta per compiere una gita di un giorno da Kyoto, visto che ci si arriva in soli 45 minuti di treno veloce e dalla stazione ci si muove a piedi. Nara è famosissima per il gran numero di simpatici cervi di piccola taglia che razzolano liberamente; i visitatori si possono avvicinare tranquillamente per accarezzarli e dare loro da mangiare dei cracker fatti apposta; questi animali vengono considerati sacri e io ho visto con i miei occhi un cervo che ricambiava l’inchino di una turista. L’unico problemino è che pare vadano matti per la carta quindi bisogna stare attenti se si maneggiano mappe o depliant.
Nel parco di Nara ci sono diversi templi buddisti risalenti al fulgente periodo Nara, nell’ottavo secolo, come il Kofuku-ji con la pagoda a cinque piani e soprattutto il Tōdai-ji, l'edificio in legno più grande al mondo, che contiene la statua del Grande Buddha, dotato di narici larghe mezzo metro. Oltre ai templi, si possono visitare il museo nazionale, il palazzo imperiale, dei meravigliosi giardini, ma come spesso accade in viaggio ciò che mi è rimasto più impresso della gita a Nara è stato un negozio di abbigliamento per cani, in particolare la sezione dedicata ai mini-kimono.

Ad Ōsaka, la terza città più grande del paese, non ho passato molto tempo e oltretutto non ero al massimo della forma, anche perché ho incontrato una delle poche giornate afose del mese. Però non posso dimenticare Dōtonbori, il quartiere più animato della città, attraversato da un canale che di sera si trasforma in una tavolozza di luci riflesse, sul quale si possono compiere gite in barca a tutte le ore circondati da centinaia di lanterne che di notte sono illuminate. Le insegne dei ristoranti sono un continuo spettacolo grazie alle grandi scritte a neon e agli enormi simboli fissi o meccanici, ad esempio un polpo circondato dalle polpette tako-yaki, una mano che offre del sushi, granchi, okonomiyaki, mucche, pesci, barche, pupazzi vari eccetera. Non a caso Ōsaka è considerata la capitale gastronomica del Giappone e in particolare questo è il quartiere dedicato alle abbuffate.
Qui la gente sembra più casinista e scanzonata, fuma anche dove è vietato, e le strade sono meno impeccabili di quelle attraversate finora: forse per questo viene considerata la Napoli del Giappone. Oltre a mangiare, a Ōsaka ho visitato il complesso di templi buddhisti Shitennō-ji, dove ho visto una lunga fila di monaci, ognuno con ombrello nero a piegoline e ventaglio, vestiti con meravigliose vestagliette trasparenti ognuna di un colore diverso.

Chūgoku

Hiroshima è la principale città della regione del Chūgoku, tristemente celebre perché è stata la prima città della storia devastata da un attacco nucleare. Nonostante ciò, appare oggi come una metropoli moderna e ben organizzata anche per i turisti mordi e fuggi. Prima di raggiungere l’area memoriale, mi reco al cosiddetto “Castello delle carpe”, che risale al sedicesimo secolo: anch’esso fu distrutto dalla bomba atomica e poi parzialmente ricostruito. Oggi il maschio ospita un museo sulla storia della città, mentre nei suoi giardini troviamo due alberi sopravvissuti alla bomba e anche un santuario.
Il Parco della Pace, esteso per oltre 120.000 metri quadrati e in gran parte progettato dall'architetto Kenzō Tange, commemora la tragedia del bombardamento e insieme svolge una funzione educativa. Tra i vari siti presenti, particolare rilievo ha la Cupola della bomba atomica, ossia i resti dell'unico palazzo del centro che non venne raso al suolo. Inoltre troviamo il Cenotafio, una scultura in cemento che custodisce i nomi di tutte le vittime; il Museo, ricco di immagini, reperti, filmati, documenti, oggetti che illustrano la vicenda storica e le sue conseguenze negli anni; il monumento dedicato ai bambini morti a causa dell'attacco atomico: la statua di una fanciulla con in testa l'origami di una gru ricorda la storia di una bambina colpita da una grave forma di leucemia, la quale realizzò mille gru di carta (simbolo di immortalità e fortuna in Giappone) sperando che potessero aiutarla a guarire, ma purtroppo morì a 12 anni.

L’isola di Miyajima si trova nella baia di Hiroshima ed è celebre per il fotogenico torii costruito nell'acqua. Molti la visitano in giornata, ma vale la pena passarci una notte sia per apprezzarne la tranquillità dopo che i turisti se ne sono andati, sia per osservare il torii a tutte le ore: con l'alta marea, quando sembra galleggiare sul mare, e durante la secca, quando si può raggiungere a piedi.
Oltre al torii, sull'isola sono presenti altri edifici religiosi come il santuario principale di Itsukushima, il "padiglione dei mille tatami", la pagoda a 5 piani in stile giapponese e cinese, il tempio Daiganji, il tempio buddhista Daisho-in ai piedi del Monte Misen (la montagna più alta dell'isola, raggiungibile in funivia o con diversi sentieri naturalistici).
Inoltre l’isola è famosa per la fioritura primaverile dei ciliegi, per il foliage autunnale degli aceri e per le ostriche allevate nel Mare Interno (infatti in città sono tante le ‘case delle ostriche’ fornite di griglie), tutte attrazioni purtroppo non apprezzabili nella stagione estiva.

Nonostante queste regioni siano conosciute per i livelli relativamente bassi di pioggia, arrivo a Miyajima sotto un temporale torrenziale; se aggiungiamo che ho percorso tutto un inutile sentiero in montagna fraintendendo le indicazioni di google maps, si comprende come mai sono arrivata completamente zuppa nel ryokan prenotato. Con questo termine si fa riferimento alle locande tradizionali giapponesi, dotate di pavimenti di legno lucido, leggerissime porte scorrevoli, armadi a muro che contengono futon, cuscini e coperte. Questi bassi materassini, al momento della nanna, vengono poggiati sul pavimento, o meglio sui tatami di paglia intrecciata (il cui odore pungente mi perseguita ancora adesso che ne scrivo).
Per la cena era previsto un raffinato pasto in stile kaiseki, un menu di “alta cucina” che prevede tante minuscole portate a base di ingredienti locali, preparate con l’intento di soddisfare non solo il palato ma anche gli occhi. A mo' di esempio posso citare due pezzettini di filetto di manzo cotti su una piastra bombata, delle verdure in tempura servite su un piattino di ceramica intrecciata, una zuppa di funghi in una ciotola smaltata a fiori, un piccolo trancio di pesce decorato con delle foglie eccetera.
A un certo punto sono uscita fuori dalla porta per fumare una sigaretta. Proprio sulla soglia si sono presentati dei teneri cerbiatti, che avevo già adocchiato in precedenza: la padrona di casa anzi era andata a dare loro degli avanzi di cibo. Stavo accarezzando uno di loro quando il suo muso si è avvicinato all’orlo del mio vestito e in un attimo ne ha preso un lembo tra i denti strappandone un bel pezzo. Io sono rimasta così sorpresa che non ho avuto il tempo di interagire con l'animale in questione, che tra l'altro è sacro nella religione shintoista perché considerato messaggero degli dei (non so se mi spiego). La titolare invece è rimasta così affranta dallo spiacevole episodio che mi ha chiesto scusa per tipo venticinque volte. Alla ventiseiesima le ho proposto un equo scambio: mi sarei portata a casa lo yukata completo di ciabatte, che era in dotazione nella camera. Solo così si è messa il cuore in pace.

Anche Naoshima si trova nel cosiddetto Mare Interno, a breve distanza dal porto di Uno (Okayama). Questa piccola isola è diventata negli ultimi anni un centro per l’arte contemporanea unico al mondo grazie alla Benesse Corporation che vi ha installato una serie di musei progettati dall’architetto Ando Tadao.
Il fulcro delle strutture artistiche è la Benesse House, museo d’arte e albergo a molte stelle sulla costa meridionale, aperto nel 1992 e focalizzato sul concetto di "coesistenza di natura, architettura e arte", come affermano nel dépliant. Oltre alle opere esposte all’interno del museo, vi sono numerosi pezzi d’arte disseminati sui prati e sulle spiagge, come la celebre Zucca gialla di Kusama Yayoi. Io ho trovato da dormire in una grande yurta nel campeggio adiacente, a pochi passi dalle sculture nonché dalla spiaggia balneabile (tra l’altro c’è un bellissimo cielo azzurro, davvero una rarità in questo viaggio in Giappone pieno di pioggia e grigiore). Oltre al pernottamento, il campeggio propone una cena a base di pesce, carne e verdure, che mi cucino autonomamente sulla griglia posizionata sul tavolo, e la prima colazione tradizionale, che invece ho trovato un po’ ostica, non tanto per il riso bianco e la zuppa di miso, quanto per il pesce fritto e i fagioli di soia fermentati.

L’isola è molto piccola e dunque si può girare facilmente in bicicletta oppure utilizzando i comodi pulmini che collegano i vari siti. L’iniziativa più significativa è l’Art House Project, che ha preso vita nella cittadina di Honmura: sette edifici storici abbandonati sono stati restaurati e trasformati in opere d’arte da altrettanti artisti, e il visitatore è invitato a passeggiare su e giù per le strade godendo dell'incontro spontaneo con la storia, la cultura e la gente (anche questo concetto è spiegato chiaramente nei testi informativi). Da segnalare l'installazione di James Turrell che fa vivere ai partecipanti il processo di vedere lentamente la luce dopo essere stati per un po’ nella completa oscurità: ci accompagnano dentro e ci fanno sedere in un ambiente apparentemente buio, ma dopo qualche minuto pian piano cominciamo a vedere quello che sembra uno schermo sulla parete di fronte; quando ci chiedono di avvicinarci ad esso scopriamo che non si tratta di un muro bensì di un'altra stanza.
Tra le altre gallerie espositive figura il Chichu Art Museum: è costruito quasi interamente sottoterra per non rovinare il paesaggio naturale ed utilizza esclusivamente la luce naturale per illuminare le opere di Claude Monet, James Turrell e Walter De Maria, la cui apparenza dunque cambia insieme alla luce nei vari momenti della giornata e nelle diverse stagioni dell’anno. Oltre a vari altri contenitori museali, ci sono le terme di I Love Yu, un tradizionale bagno termale pubblico dove i visitatori possono godersi l’esperienza di un bagno caldo circondati dall’arte.
Prima di tornare verso nord e dedicarmi all'ultima meta del viaggio, mi fermo a Okayama per visitare il Kōraku-en, enorme e splendido giardino con laghetti e case da tè.

CHŪBU

L’ultima tappa del viaggio si svolge nella regione delle Alpi Giapponesi, dove predominano il verde squillante della vegetazione e il grigio plumbeo del cielo.
Intanto trascorro una notte a Kanazawa, in un altro ryokan tradizionale dotato di porte scorrevoli, tatami, tavolini bassi, pavimenti in legno da calpestare con le apposite ciabatte (le scarpe naturalmente vanno lasciate all’ingresso).
Poiché la cosiddetta “piccola Kyoto” è stata risparmiata dai bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale, molti siti storici e intere aree dell’antica città sono arrivati intatti fino a noi. Il luogo di interesse più noto di Kanazawa è il Kenrokuen, un giardino considerato tra i tre più incantevoli di tutto il Giappone. E poi c’è l’Omicho market che affascina come tutti i mercati coperti già citati finora.

L’autobus delle 12:40 mi porta a Shirakawa-go, situata nella valle del fiume Shogawa e gemellata con il comune di Alberobello. Se la cittadina pugliese è famosa per i trulli, qui invece troviamo le tipiche costruzioni in stile gasshō-zukuri, la cui principale caratteristica è il tetto di paglia molto spiovente, adatto a resistere alle massicce nevicate invernali. Il tetto ricorda due mani unite in preghiera ed è questo che il nome giapponese significa.
La maggior parte dei turisti ci viene per una gita di un giorno, ma io anche qui ho pensato bene di dormire una notte in una di queste suggestive e confortevoli casone di legno, dove mi è stata servita anche la cena e la colazione tradizionale e dove mi sono addormentata con il gracidio delle rane.
Un tempo anche in questa casa viveva una famiglia numerosa di contadini, che svolgevano lavori molto faticosi e dormivano stipati in grandi camerate. Poi, a partire dal secondo dopoguerra, le campagne si sono spopolate rapidamente e le abitazioni sono state abbandonate, fino a quando non sono iniziate le attività di restauro e ricostruzione degli edifici in rovina. Questa operazione è stata molto importante perché ha permesso di recuperare secoli di cultura rurale, infatti dal 1995 Shirakawa-go e la vicina area di Gokayama sono entrate nel patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO. Oggi rappresentano un paesaggio fiabesco incastonato tra le montagne e le rigogliose foreste, in particolare nell'area di Ogimachi, un museo a cielo aperto in cui sono raggruppate le gasshō-zukuri più belle. Alcune di esse sono aperte al pubblico e mostrano al visitatore le usanze e il modo di vivere di un tempo, nonché le tecniche di edificazione e i laboratori artigianali di sericoltura e produzione di nitrato di potassio.
Dal punto di osservazione panoramico, che si trova in cima a una collina facilmente raggiungibile a piedi, si può godere di una stupenda visuale di tutta la cittadina. Anche in questo caso l'estate non è la stagione migliore in quanto non permette di osservare né il fogliame scarlatto, né la coltre nevosa, né la fioritura dei ciliegi.

Con 50 minuti di viaggio in autobus raggiungo Takayama, ultima tappa prima del rientro definitivo a Tokyo. La città è nota per la bravura dei suoi maestri dell’arte carpentiera (ossia i falegnami) ed è rimasta a lungo piuttosto isolata per via della sua posizione e per l’alta quota.
Il piccolo quartiere Sanmachi sūji è il più antico di Takayama (risale al periodo Edo) ed è ben preservato. Percorrendo a piedi quest'area ho visitato negozi di vario genere, abitazioni in legno tradizionale, piccoli musei e produttori di sakè, in un'atmosfera dove il tempo sembra essersi fermato, ma delle due ore trascorse qui ciò che mi è rimasto più impresso è stato l’elevato numero di cani nel passeggino e la squisitezza della carne di Kobe.

Epilogo

Le ultime due notti a Tokyo le ho passate in un quartiere completamente diverso da Asakusa e molto meno affascinante: Chiyoda. La zona è piuttosto baricentrica, infatti dal mio hotel si raggiunge a piedi il Palazzo Imperiale (ancora oggi residenza dell’Imperatore) e la gigantesca area verde che lo circonda, però nei paraggi non ci sono locali e per arrivare nella vivace area di Akasaka ci vogliono almeno una ventina di minuti a piedi. La seconda sera che sono stata nel mio pub preferito (poco tipicamente giapponese, anzi – a dirla tutta – irlandese) ho conosciuto Mohammed, residente a Tokyo ma di origine egiziana, che mi ha preso in simpatia poiché aveva vissuto in Italia e ha continuato a mantenere molte relazioni commerciali con il nostro paese. L'estroverso industriale a una cert'ora mi ha condotta in un ristorante coreano dove ha ordinato una cena completa pure se io gli avevo detto che non avevo per niente fame. Poi all'improvviso, mentre mi raccontava alcune sue faccende famigliari, è scoppiato a piangere irrefrenabilmente davanti a tutti i piatti lasciati intonsi e ho dovuto consolarlo per una buona mezz'oretta. Poiché nel frattempo aveva cominciato a diluviare, ho dovuto portare pazienza finché finalmente Mohammed si è calmato e mi ha accompagnato in hotel in taxi.

Gallerie fotografiche

Tokyo

Nikko e Hakone

Kyōto, Nara, Ōsaka

Okayama, Naoshima, Hiroshima e Itsukushima

Kanazawa, Shirakawa-go e Takayama