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L'isola dell'amore in tutto e per tutto

Dato che la mia carta Maestro non ha mai funzionato qui in Indonesia, l'unico modo che avevo per prelevare contanti era la Visa. Bene, l'altro ieri l'ho dimenticata in un ATM di Ubud. Per fortuna posso pagare gli hotel e i ristoranti con l'altra carta di credito, ma per tutte le spese in contanti devo fare affidamento soltanto sui pochi spiccioli che mi sono rimasti. Non potendomi permettere il lusso di un taxi, sono stata costretta ad esplorare la zona completamente a piedi − rinunciando a luoghi troppo lontani come l'incantevole mezzaluna di sabbia bianca di Jimbaran, la selvaggia striscia di spiaggia orlata di palme di Balangan e il magnifico paesaggio di scogliere e boschi di Bingin. Mentre camminavo sul bordo della strada che portava a Padang Padang, dunque, non si capisce quanti taxi e ojet hanno rallentato per chiedermi se avessi bisogno di un passaggio, e quante volte gli ho risposto "jalan-jalan" (ossia che preferivo camminare).
A un certo punto sono inciampata grattugiandomi un ginocchio sulla brecciolina. Ora, la protagonista del libro “Mangia prega ama” (interpretata nel film omonimo da Julia Roberts) è grazie a uno sbrego sulla gamba che dà una svolta alla sua vita. L'ingenua americana infatti non solo entra in contatto con la saggia guaritrice Wayan (che le cura la ferita grazie a impacchi e beveraggi miracolosi tipici della tradizione curativa balinese), ma conosce il brasiliano tormentato ma allo stesso tempo dolce (interpretato da Javier Bardem), che l'aveva investita con la sua jeep, grazie al quale pone fine alla sua pluriennale astinenza sessuale. Insomma, quella caduta dà un senso a tutto il suo viaggio di un anno, senza di essa non ci sarebbe stata né la crescita interiore né tanto meno il libro e poi il film. Che poi, bastava che avesse conosciuto il brasiliano a New York, e non avrebbe avuto proprio necessità di andare a Roma a strafogarsi di pasta né dalla santona indiana a lavare i pavimenti dell'ashram. Ma non divaghiamo. Io invece di ricorrere a una curatrice tradizionale sono entrata nel primo ristorante che ho trovato, mi sono fatta prestare del disinfettante e ho ripreso a camminare come se niente fosse. Ecco perché non ho conosciuto nessun commerciante brasiliano (o surfista australiano), né ho compiuto alcun progresso nella mia crescita spirituale.
Risolto così facilmente il piccolo incidente, la giornata è andata avanti secondo il programma. La spiaggia di Padang Padang, raccolta in una graziosa insenatura, era davvero misera e minuscola, nonché intasata di gente; ciononostante (compromettendo la pronta guarigione della ferita), non ho resistito alla tentazione di un veloce tuffo rinfrescante. Ho proseguito dunque verso Uluwatu, che è il nome con cui si indica tutto il tratto di costa sud-occidentale. Le spettacolari scogliere (o break) sono state colonizzate da una nutrita serie di negozietti per surfisti, bar e hotel con piscine, collegati attraverso un sistema di scalette (luoghi in alcuni casi accessibili soltanto ai clienti). Dai vari punti panoramici ho ammirato le onde paurose cavalcate dai surfisti, mentre la spiaggia qui praticamente non esiste: non è altro che la parte finale della grotta, quella più esposta alle onde.
L'ultima tappa, nonché attrazione "da non perdere" e motivo principale per cui sono venuta quaggiù, è il tempio di Uluwatu. Solo quando sono entrata nel sito, ho scoperto che il tempio vero e proprio è un edificio microscopico (dentro al quale non si può nemmeno entrare) arroccato in bilico sulla sommità dell'altissima scogliera, e che si viene qua solo per il fantastico paesaggio. Tutti noi turisti − ridicolmente abbigliati con il sarong viola che ci avevano dato all'ingresso − eravamo lì a percorrere avanti e indietro i sentieri che costeggiano il crepaccio, tra fiori fucsia e piante succulente, ammirando le pareti a picco e lo spettacolo del mare pieno di schiuma. I più ardimentosi si facevano fotografare sull'orlo del precipizio e solo i più fortunati hanno incontrato le scimmie. Ora, qui si viene apposta per il tramonto, ma il problema del tramonto è che subito dopo inizia l'imbrunire. E poiché io dovevo ancora camminare per sette chilometri prima di arrivare alla guest house, e non avevo nessuna intenzione di percorrerli al buio, sono stata costretta ad andarmene prima − incrociando tra l'altro la marea umana che a bordo di mezzi a due e quattro ruote tentava di entrare nel sito per ammirare il tanto sospirato tramonto che io, probabilmente, non vedrò mai.

Racconto di viaggio "JALAN-JALAN. Per le strade dell'Indonesia" 

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