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BACHI E ABBRACCI

La valle di Fergana è la regione più orientale dell’Uzbekistan, la più fertile e popolata del paese. La separazione decisa dai sovietici secondo la logica del divide et impera, frantumando l'area tra Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan in un intreccio di confini e enclave da psicopatici, è rimasta in vigore fino ad oggi. Visto che l’obiettivo principale era impedire ad una delle tre realtà territoriali il controllo dei due grandi fiumi della regione, le differenze etniche non furono affatto prese in considerazione e tuttora sussistono dispute e tensioni, ma anche problemi pratici: ad esempio alcune strade e ferrovie costruite in epoca sovietica oggi attraversano delle frontiere internazionali.
A giudicare dalle innumerevoli serre e dai campi di alberi da frutta e di cotone, sto atterrando nella regione più agricola del paese. Questa enorme oasi ha dato da mangiare alle popolazioni dell’Asia centrale sin dall’antichità, ma negli ultimi anni hanno dovuto iniziare a fare i conti con le conseguenze del riscaldamento globale e quindi con un generale inaridimento, un altro focolaio di tensioni da non sottovalutare. I conflitti per il controllo delle risorse idriche sono sempre più frequenti nel mondo attuale; non a caso, quando il governo del Kirghizistan annunciò l’intenzione di costruire delle nuove dighe sul fiume Naryn (limitando la quantità d’acqua destinata all’Uzbekistan), il presidente Karimov fece sentire la sua voce arrivando a minacciare la guerra.
La valle di Fergana raramente viene inserita nei classici tour, perciò la popolazione, meno avvezza ai turisti, mi accoglie con un calore e un’ospitalità che a Samarcanda e Bukhara sono rare, e soprattutto senza la malizia o la tendenza ad approfittare rintracciata in talune situazioni. L’autista del mio taxi ad esempio a un certo punto si è fermato a comprare le sigarette ed è uscito dal negozio con una bottiglia d’acqua e delle gomme da masticare per me. Una studentessa innamorata dell’Italia mi ha mostrato il libro di storia che parlava di Francesco Petrarca, Lionardo Divinci, Raffaeli Santi e ci teneva un sacco che io andassi a casa sua e conoscessi la sua famiglia. Per le strade poi è tutto un susseguirsi di “Otkuda? Italia!”, oltre ad altre domande che (anche se non capisco la lingua) posso facilmente intuire perché sono sempre le solite. Sposata? Vengono mimati i baffi. Risposta: Italia. Figli? La mano parallela al pavimento si abbassa fino al livello della vita muovendosi leggermente su e giù. Risposta: occhi e palme delle mani puntati al cielo.
Sul marshrutki diretto a Margilan naturalmente ogni nuovo passeggero che sale viene subito informato con cura in merito alla mia provenienza, stato di famiglia, hotel in cui alloggio, destinazione che devo raggiungere, che poi nella fattispecie sarebbe la prestigiosa fabbrica di seta Yodgorlik. Ed eccomi qui di fronte ai bozzoli, ai rocchetti, alle matasse, ai coloranti naturali, ai telai, insieme a una guida che mi spiega le varie fasi di lavorazione. Quindi è così che nasce la seta, uno dei più grandi oggetti del desiderio dell'umanità (anche a causa della sua misteriosa origine, tenuta segreta a lungo dagli scaltri cinesi). Il pregiato tessuto ha dato il nome a una via che ha attraversato valli e montagne, steppe e fertili pianure, mettendo in contatto popoli lontanissimi e facendo circolare le idee, le invenzioni, le tecnologie di cui tutti si sono serviti. Ed è diventata un mito.
Anche l'impiegato del negozio annesso alla fabbrica risponde “Ohhhhhhhhh Italia!” sgranando gli occhi quando gli dico di dove sono, e anch’egli è convinto che l'Italia sia il primo paese al mondo per l'arte, il design, la moda. Benché la produzione di seta italiana nell'ultimo secolo abbia subito un declino fino a scomparire del tutto, sono comunque contenta di sentirglielo dire. E in fondo è di questo che sono orgogliosissima quando giro per il mondo, non certo di avere un politico che dice "prima gli italiani" o va in Europa a "sbattere i pugni sul tavolo", senza rendersi conto che, nei cuori di molta gente a tutte le latitudini, gli italiani primi lo sono già.

Racconto di viaggio "CANTO NOTTURNO DI UNA TURISTA ERRANTE"