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Felici Tropici

Qui è mattino estivo, una luce abbagliante che giunge mitigata dalle cupole delle felci arborescenti, come un verde tremolio sottomarino; è il tepore di serra calda che dura eterno su questa fascia equatoriale della terra, una quinta stagione senza nome ch’io chiamerei Euforia; la demenza beata che accompagna le agonie senza fine di certi consunti. In questo tepore eterno, mitigato nella sera e nella notte da un’ora di pioggia torrenziale, la flora raggiunge misure, linee, tinte incredibili; e questa bellezza e questa stagione che non mutano, aggiungono alla mia nostalgia d’oggi un altro sgomento fatto di pensieri indefinibili; le primavere, dunque, le estati, gli autunni, gli inverni immortalati nei capolavori della poesia, della pittura, della musica europea, non sono che il prodotto d’una latitudine — tristezza, relatività di tutte le cose, anche di quelle che veneriamo come divine, ed immortali — tristezza ancora più profonda al pensiero che questa terra perennemente verde non è che la sottile zona d’un’estate eterna che copriva, all’inizio, tutto il nostro globo — sgomento puerile, ma invincibile al pensiero che la nostra patria è già immersa nella curva della terra che si spegne, che l’inverno, la notte glaciale e nevosa che l’avvolge in questo mio chiaro mattino, è già l’imagine della notte glaciale eterna che s’avanzerà nei tempi e guadagnerà i tropici e raggiungerà fin su questa zona privilegiata l’ultimo esemplare dell’umanità moribonda....
(Guido Gozzano, "Lettere dall'India")