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Mettiamoci in Riga

Urla di gabbiani e coperte offerte dalla direzione dei bar all'aperto: la sera del nostro arrivo, su Riga incombe un cielo gonfio di pioggia. Ma è solo una breve parentesi rinfrescante dentro ad un'estate afosa, parentesi che non basta a far scendere la temperatura all'interno del Central hostel, progettato per mantenere costante il tepore. Legno e inserti colorati rendono l'alloggio confortevole e accogliente, tanto da farci scegliere di trascorrere qui quasi tutte le notti della Lettonia.
Presso l'angolo fumatori situato nel giardino, si alternano vari visitatori. Ad esempio Lorena e Victor, spagnoli della Catalogna (lei è votata alla causa indipendentista, lui lancia sguardi di sottecchi alle lettoni bionde in short); o quelle due olandesi che a tarda ora, illuminate dalla luce ballonzolante di una candela, ci hanno coinvolto in un'impegnativa discussione di carattere teologico. Non mancano nemmeno gli italiani, come questo giovanotto taciturno che gira l'Europa dell'est in vespa, o quei due amici torinesi alle prese con il tour delle capitali baltiche.
Riga, situata sulla foce del fiume Daugava, è la città più grande delle Repubbliche Baltiche ed è la più ariosa e parigina delle tre capitali. Se l'Estonia è il Paese meno religioso al mondo (soltanto il 16% della popolazione si professa credente), in Lettonia la percentuale di atei scende al 60% e la religione prevalente è luterana. Il centro storico, Vecriga, è ricco di luoghi di culto, come ad esempio il Duomo medievale in mattoncini, la gotica Chiesa di San Pietro, la Cattedrale Cattolica di San Giacomo, la sinagoga, la chiesa anglicana.
All'interno della vecchia Riga è inizialmente facile fare confusione tra le tre piazze che di giorno sono suggestive da osservare, mentre nelle sere di luglio sono affollate di gente che mangia e beve ai tavolini, di coppie che ballano, di italiani che cercano di abbordare le avvenenti lettoni, spesso allietati dalla musica dal vivo. Passeggiando poi ci si imbatte, in ordine sparso, nei "Tre Fratelli" (tre edifici costruiti in epoche differenti, i quali, come noi, convivono gomito a gomito), nel palazzo neorinascimentale del parlamento, nella pittoresca Porta Svedese, nella torre delle polveri (l’unica ancora in piedi delle 18 torri del vecchio muro di cinta).
Giunti nei pressi del municipio, spicca l'edificio simbolo di Riga, dal colore rosa acceso: la Casa delle teste nere. In realtà quello che era il ritrovo dei mercanti celibi capeggiati dal nordafricano San Maurizio fu completamente distrutto dalla guerra e dunque oggi vediamo soltanto una ricostruzione, stupefacente ma finta.
Lo squallido edificio nero che sorge alle spalle della Piazza dei Fucilieri ospita il Museo dell'occupazione della Lettonia. Prima di tutto, ripercorriamo gli eventi della prima occupazione sovietica, che prese l'avvio dallo scellerato patto Molotov-Ribbentrop (con il quale l'URSS e la Germania Nazista si spartirono l'Europa orientale), la causa madre di tutte le catastrofi storiche novecentesche vissute dai Paesi Baltici. Poi ci dedichiamo all'occupazione nazista e alla devastazione della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale nel vicino campo di concentramento di Riga-Kaiserwald (Mežaparks) furono imprigionate circa ventimila persone. Infine, cercando di ascoltare senza essere notati una guida che non avevamo pagato, ci addentriamo nelle varie fasi della seconda occupazione sovietica, che è terminata meno di vent'anni fa. Tra le altre cose entriamo nella baracca di un gulag della Siberia riprodotta a grandezza naturale (occupandoci a lungo del secchio dove facevano i bisogni) e ci interessiamo alle testimonianze degli anni in cui il popolo lettone cominciò a ribellarsi al regime che da decenni lo privava della libertà.
"Le tre occupazioni smantellarono lo stato lettone, contaminarono la terra, e, nel giro di mezzo secolo, portarono la nazione [nata nel novembre del 1918] sull’orlo dell’estinzione" – affermano i curatori del museo, aggiungendo che si tratta di "una storia sull'oppressione, sul terrore e sulla violenza; sulla sfida, sulla resistenza e sull'eroismo; ma anche sull’impotenza, sulla paura e sul tradimento. Soprattutto, però, questa è la storia della resistenza e della forza spirituale che hanno permesso alla nazione di rinnovare lo Stato lettone e di unirsi nuovamente alla comunità mondiale dei paesi indipendenti." In Lettonia dunque, come in tutta l’area baltica post-sovietica, il ricordo della comune sofferenza collettiva causata dall'occupazione, serve fondamentalmente a rafforzare il sentimento di unità nazionale.
Allontanandosi dal centro storico, Riga vanta una quantità di edifici in stile Art Nouveau senza paragoni, la maggior parte collocati nel centro moderno. Uno degli architetti a cui si deve tutto questo rigoglioso fiorire è Mikhail Ejzenštejn, padre del regista del film culto "La corazzata Potemkin". Nei pressi, all'inizio del più lungo dei Boulevard cittadini, il Brivibas, sorge il Monumento alla libertà: una colonna che sorregge la statua di una donna (chiamata affettuosamente Milda dai lettoni), la quale regge tra le mani tre stelle che rappresentano le tre regioni storiche della Lettonia: Kurzeme, Vidzeme e Latgale; durante il periodo sovietico si poteva rischiare l'arresto e la deportazione solo portando dei fiori a Milda.
Procedendo più avanti spicca la sagoma dell'edificio più alto di Riga, l'Hotel Latvija, oggi gestito dal gruppo Radisson. Imperdibile la gita sull'ascensore panoramico di sera, fino a raggiungere lo Skyline Bar al 26esimo piano, da cui la vista è straordinaria.
Nel quartiere "russo" invece si respira tutt'altra aria. Vicino alla stazione degli autobus si snoda il mercato coperto, suddiviso ordinatamente in vari settori, che occupa l'interno degli enormi Hangar dove, ai tempi della Grande Guerra, venivano costruiti i dirigibili Zeppelin. Gli ex capannoni industriali dismessi oggi accolgono anche club e negozi, come avviene in tutte le città del mondo. Nelle vicinanze risalta un tipico esempio di architettura sovietica: l'edificio di mattoni marroni conosciuto come "La torta di compleanno di Stalin".

Da Riga, con un tragitto di circa mezz'ora in un treno nuovo di zecca, si può raggiungere la più grande e rinomata spiaggia baltica, per tanti anni punto di ritrovo degli apparati sovietici: Jūrmala. Seguendo tutti gli altri bagnanti che scendono alla stazione, ci ritroviamo incanalati in questo lunghissimo viale standard accessoriato di bar, ristoranti, negozi e bancarelle di souvenir. Presa la deviazione verso il mare, costeggiamo la pineta, le Spa, i centri termali e le case di legno per cui questa cittadina è famosa.
Arriviamo in questa agognata spiaggia baltica lunga più di trenta chilometri, dalla sabbia bianca e finissima, col mare apparentemente blu come la bandiera, la gente ordinatamente stesa ad abbronzarsi e la musica vacanziera internazionale giustamente sparata a volume anch'esso vacanziero dai chioschi sulla sabbia. Marcello raggiunge immediatamente il mare a passo di corsa, urlando al mondo baltico la sua soddisfazione incontenibile di immergersi in quell'acqua, giallognola sì, ma situata a moltissimi chilometri dall'Adriatico. Il mare, sorprendentemente privo di sale, ci arriva alle caviglie per diverse centinaia di metri.

Racconto di viaggio "GOMITO A GOMITO CON IL MAR BALTICO"