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Varsavia: I like Chopin

«Zapraszamy!» Mi accoglie, appena scendo dal bus, il Palazzo della cultura di Varsavia tutto circondato da splendide nuvolette. «Zapraszamy!» Mi accoglie la zia del lago d'Orta che scende dal taxi pochi istanti dopo. Il Palazzo della cultura mi ricorda qualcosa, e infatti è identico a quell'edificio di Riga soprannominato "la torta di compleanno di Stalin", ma è molto più grande. La zia del lago d'Orta invece erano circa tre anni che non la vedevo ed è sempre la stessa, anche se in realtà mi dice «benvenuta» e non «zapraszamy» perché, effettivamente, lei è italiana.
La frizzante zietta vuole immediatamente farmi conoscere la città e dunque mi conduce al trentesimo piano del suddetto palazzo: per fortuna c'è un ascensore superveloce, perché io non ho ancora avuto il tempo di lasciare il bagaglio in hotel e non posso nemmeno trascinarlo sulle ruote perché così vuole il regolamento. Dall'alto posso farmi subito un'idea di questa capitale che è stata rasa al suolo dai nazisti ma non si direbbe: i grattacieli di vetro fanno a gara di altezza, la chiazza rossa corrisponde al centro storico dai tetti di tegole, quello dietro è il fiume Vistola, e poi, qua e là, grosse macchie verdi che corrispondono ai parchi e giardini che già avevo notato dall'aereo, in fase di atterraggio. In realtà, non proverete molta nostalgia per i bei tempi della ricostruzione, visto che un'ampia area non distante dalla stazione centrale è interamente sventrata per i lavori della metropolitana.
Dopo averci girato intorno a lungo, oltrepasso le antiche mura con il Barbakan ed entro nel delizioso centro storico accuratamente ricostruito grazie ai dipinti di Canaletto, con la doverosa piazza quadrata (tre quinte costituite di deliziose facciate affiancate, ognuna di un colore diverso) e alcune stradine deliziosissime occupate da ristorantini con la terrazza piena di deliziosi vasi di fiori. Piazze e vie straboccano di tutti i turisti che non avevo visto fino a quel momento, finché arrivo alla Piazza del castello (una roba fiabesca di colore rosso-arancio) al centro della quale si eleva la Colonna di Sigismondo.
Alle 8 la temperatura è precipitata, folate di vento gelido mi schiaffeggiano mentre intraprendo la passeggiata reale, così mi rifugio in un bar. Il giovane cameriere, dotato di quel fatalismo tipico dei camerieri polacchi che lavorano nei pub irlandesi, mi informa che è così in Polonia: un'estate si crepa di caldo l'altra di freddo. Non lo sfiorava il pensiero che dopo meno di dieci giorni alle 8 di sera, nella stessa Varsavia e nella stessa estate, avrei trovato circa 25 gradi in più, con la popolazione rintanata nei pochi locali dotati di aria condizionata. In quell'occasione mi sarei rinfrancata nel “Sol y sombra”, locale specializzato in tapas spagnole. Qui avrei trovato un tavolo di uomini d'affari che approfittava dell'aria condizionata per fare fuori alcune bottiglie di vodka a stomaco vuoto. Mentre al bancone avrei socializzato con uno spagnolo che lavora a Varsavia, il quale in poco tempo mi avrebbe aggiornata su tutti gli incidenti stradali che quel giorno avevano funestato la nostra bella Europa: uno in Italia (bus precipitato nella scarpata, 38 morti), uno in Spagna (treno deragliato, 79 morti), uno in Polonia (frontale tra due auto, numero di morti non pervenuto).
La sera del mio arrivo invece, la movida nella famosa via Nowy Świat cerca rifugio all'interno dei locali per i motivi opposti e il clima è perfetto per un buon gulasz o un corposo flaki (trippa al sugo), cibi grassi e saporiti della tradizione polacca, ideali per assimilare quantità ingenti di vodka. I giovani che affollano le vie del quartiere ci danno dentro con l'alcol; il Palazzo della cultura a quest'ora è viola e giallo.

Al mattino il sole riscalda i grandi viali, i caffè pronti per il brunch domenicale, le numerose aree verdi e tutte le persone che passeggiano beatamente (rischiando − le meno accorte − di farsi investire sulle strisce pedonali). Mi immetto nella “via reale” dal punto in cui l'avevo lasciata, all'incrocio con Aleje Jerozolimskie, seguendo lo stesso itinerario che il re affrontava per spostarsi dal castello alla residenza estiva, situata nel Parco Łazienkowski, il più grande di Varsavia (quasi del tutto risparmiato dalla furia distruttiva nazista).
Dopo aver visitato il festoso giardino botanico, entro nel parco vero e proprio lasciandomi condurre dalla musica di un piano, che aumenta gradualmente di volume finché non appare davanti ai miei occhi la seguente scena: uno specchio d'acqua circondato da un prato assiepato di centinaia di persone sedute in silenzio, tra i fiori; accanto al laghetto una enorme statua di Fryderyk Chopin romanticamente seduto sotto un salice piangente, con la testa girata verso sinistra, che sembra guardare la pianista che in quel momento sta suonando. Sembra che tutti trattengano il respiro.

Racconto di viaggio "1500 chilometri di pianura. Itinerario estivo in Polonia"