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La piazza delle piazze di Samarcanda

Sa-mar-can-da: la punta della lingua compie un giretto niente male prima di battere, alla fine, contro i denti. Sa-mar-can-da: quattro “a” di meraviglia una dopo l'altra, solo a pronunciarla. Samarcanda: mi sembra di aver già sentito questo nome da qualche parte.
Sono scesa da un treno superclimatizzato, supermoderno, superveloce, superpieno. Un taxi mi ha portato in un ostello di merda, con una ventola spacciata per sistema di air conditioning, dei materassi sfondati e un pavimento di moquette che probabilmente non ha mai avuto un contatto ravvicinato con un aspirapolvere in vita sua. Non ho avuto la forza di cercarne un altro: il Registan, seminascosto da curati giardinetti, mi attirava come una calamita.
Il sole tramonta sui portali delle tre fiabesche madrase che delimitano la piazza delle piazze, una falce di luna strizza l’occhio alle piastrelle turchesi delle cupole, gli uccelli svolazzano sfiorando le due tigri che decorano un fantasmagorico portale. Dietro le transenne che separano la piazza dalla strada trafficata, decine di persone che non hanno pagato il biglietto fotografano con il cellulare. 
Nell'ingresso tutto d'oro della madrasa Tilla Kori apprendo che il complesso fu fondato dal nipote di Tamerlano, Ulugbek: all’epoca, oltre alla madrasa che prende il suo nome, ne facevano parte anche una dimora sacra, un caravanserraglio e due moschee. Nel Diciassettesimo secolo furono costruite – al posto degli edifici ormai in macerie – le due scuole coraniche che affiancano ancora oggi la madrasa Ulugbek, l’unica che era sopravvissuta. Il pannello informativo si conclude con i ringraziamenti per la “nobile cura prestata al complesso architettonico fondato dal grande Ulugbek come perla dell’antica Samarcanda”. 
Nelle sale interne è allestita una mostra di fotografie scattate presumibilmente pochi anni prima della Rivoluzione d’Ottobre: il Registan è un immenso bazar affollatissimo di bancarelle, venditori e compratori, carretti trainati da cavalli; tutti i monumenti più importanti della città sono in rovina. Le guerre e un paio di catastrofici terremoti avevano infatti distrutto l’immenso patrimonio architettonico di Samarcanda, che i sovietici in seguito si sono presi la briga di ricostruire e restaurare, non senza prendersi alcune (troppe?) libertà. In questo momento però me ne frego della presunta scarsa autenticità degli edifici e dell’asettica musealizzazione di un luogo un tempo pieno di vita: la visita al Registan è un colpo al cuore, in particolare quando il sole è appena calato e la sapiente illuminazione trasforma il luogo in uno scenario da Mille e una notte.

Racconto di viaggio "CANTO NOTTURNO DI UNA TURISTA ERRANTE"