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Québec City: this is Our Story

Fondamentalmente, il mio è stato un viaggio nel Québec urbanizzato, anche perché qua pure le aree naturali negli anni sono state addomesticate e imborghesite: campeggiare è costoso e le piazzole vanno prenotate in anticipo; quando si visitano i parchi naturali bisogna pagare un biglietto di ingresso che permette di usufruire dei servizi degli onnipresenti “centri di interpretazione della natura” − come se gli esseri umani dei nostri tempi non fossero più capaci di interpretarsela per i fatti propri, la natura.
Una delle località urbane più prese d'assalto dai turisti è Québec City, la capitale dello Stato, che si vanta di essere la più antica città del Nord America, visto che l'esploratore francese Samuel de Champlain la fondò nel 1608. In realtà, anche il comune di St. Augustine, in Florida, si fregia della stessa nomea in quanto fondato addirittura nel 1565 (anzi, sarebbe persino il secondo più antico dell'intero continente americano), ma forse, secondo il punto di vista degli esperti di record, la Florida non fa parte del Nord America.
A Québec City ci sono andata due volte, la prima delle quali per assistere allo spettacolo del Cirque du soleil, compagnia fondata a Montréal e nota in tutto il mondo. Lo show, intitolato “Kurios. Cabinet de curiosités”, si teneva in un tipico tendone di circo a righe gialle e blu posizionato nell'area del porto, sul fiume San Lorenzo. Da qui la città vecchia, in cima a un promontorio, si stagliava invitante con i suoi pinnacoli e tetti colorati. Dopo due ore di oniriche e ardite evoluzioni con musica e costumi mozzafiato, all'ora del tramonto siamo entrati nell'accogliente centro città, dove abbiamo ammirato l'originalità dei negozi di souvenir e i ristoranti con il menu scritto alla lavagna, i muri di mattoni, le installazioni artistiche, i murales, le chiese, i fiori alle finestre, i gigli sulle bandiere, i tetti d'ardesia e gli abbaini.
Saliti un sufficiente numero di gradini e superata la statua di Samuel de Champlain, ci siamo trovati di fronte al fiabesco Château Frontenac, l'hotel più fotografato al mondo. Percorrendo la Terrasse Dufferin, pavimentata in legno, sulla sinistra si vedeva la dirimpettaia città di Lévis al di là del fiume, che in questo punto diventa sottilissimo (non a caso il nome Québec si crede che derivi dall'algonchino "kebek", che vuol dire "strettoia"). Poi abbiamo cercato un posto per mangiare, ma abbiamo dovuto scartare quasi tutti i locali della città alta e accontentarci di un hamburger in un pub (l'unico modo per spendere meno di trenta dollari). Per quegli europei che, dopo aver speso alcune centinaia di euro di volo e aver passato una notte intera in aereo, sono contenti di provare l'impressione di trovarsi in Francia, allora Québec City è il posto giusto.
Dato l'affollamento turistico, per dormire ci siamo diretti all’Île d'Orléans. Questo gioiello di isola, luogo di nascita della Nuova Francia e abitata da tempo immemorabile, festeggia la tradizione rurale del Québec con i suoi splendidi paesaggi, dicono i dépliant turistici. Un'unica strada permette di perimetrarla interamente, per ammirare scenari bucolici di aceri, pini, papere e prati, fattorie, chiesette di pietra e rivendite di antiquariato, e fermarsi a mangiare dolci e frutti di bosco e a degustare diversi tipi di sidro accompagnati da anatra, confetture e mostarde. Ed è quello che abbiamo fatto per l'intera mattinata.
Tornati sulla terraferma ci siamo immediatamente imbottigliati sull'unica strada che va da Québec verso il nord, parallela al fiume: era il giorno di Sant'Anna e tutti si recavano in pellegrinaggio al santuario di Sainte-Anne-de-Beaupré, che si intravedeva sulla sinistra, circondato da fast food. Sant'Anna è patrona dei marinai e famosa per i miracoli: dentro la basilica − oltre a una copia della Pietà di Michelangelo − ci sono infatti centinaia di stampelle offerte in segno di ringraziamento. A causa dell'intasamento, non ci ha nemmeno sfiorato il pensiero di cercare un parcheggio e scendere, e dunque non ho visto né le stampelle né l'attiguo Cyclorama di Gerusalemme, un enorme dipinto circolare della Crocifissione di Gesù che mostra la città di Gerusalemme come verosimilmente sarebbe dovuta apparire al momento della morte del Messia.

Al ritorno da Tadoussac, ho deciso di dare una seconda opportunità a Québec City. Ma prima, insieme a questa coppia di giovani francesi mutangheri che mi avevano dato un passaggio, ci siamo fermati alle cascate di Montmorency, 30 metri più alte rispetto alle famose cascate del Niagara. Abbiamo parcheggiato la macchina gratuitamente fuori dal parco e poi abbiamo seguito tutti gli altri visitatori lungo i numerosi sentieri, fermandoci ad osservare la cascata da ogni possibile angolazione; infine siamo giunti al bellissimo ponte sospeso, dal quale si poteva osservare il salto da vicino e spaziare con lo sguardo fino al San Lorenzo, alla verde Île d'Orléans e alla città di Québec.
Il mio secondo ingresso nella capitale inizialmente mi ha spiazzata: sono stata lasciata infatti proprio davanti all’edificio del Parlamento Provinciale. Superata la fontana fiorita, però, ho rivisto le note mura della città vecchia, le ho attraversate e mi sono incamminata lungo Rue St. Louis fino all'ostello. Ripercorse per un po' le strade già viste (stavolta molto più ridenti perché c'era il sole), mi sono diretta verso la cittadella, una fortificazione a forma di stella che separa la città vecchia dal parco della piana di Abraham, dove a metà del 1700 i francesi furono battuti dai coloni inglesi.
La maggior parte del tempo però l'ho trascorsa al Musée de la Civilisation, dove ho visitato due esposizioni. La prima si intitolava “This is Our Story: First Nations and Inuit in the 21st Century” ed era dedicata alle undici “nazioni” indigene (o aborigene) tutt'ora presenti in Canada, le quali hanno dato il loro contributo per la realizzazione della mostra stessa. Alla scoperta della loro cultura e alla riflessione su cosa vuol dire essere un “amerindio” oggi, mi hanno condotto centinaia di oggetti come sculture Inuit, costumi cerimoniali, pettinature e abiti, cinture realizzate con perline e conchiglie, tamburi, coltelli, canoe e kayak, alcuni filmati e opere d'arte aborigena contemporanea. Io avrei preferito conoscere gli abitanti originari dal vivo e non dentro ai musei, ma se già non sono riuscita a raggiungere i parchi naturali a nord del San Lorenzo, figuriamoci se riuscivo a raggiungere i territori artici del Nunavik.
L'esposizione “People of Québec… Then and Now” ripercorreva invece i principali eventi che hanno costituito l'attuale Québec. Si parte dal Rinascimento, quando il re Francesco I mandò Giovanni da Verrazzano a esplorare le coste nordamericane e quando Jacques Cartier approdò sulla penisola di Gaspè e proclamò la sovranità francese, piantando una croce in terra. Lo stesso Cartier, al ritorno dal suo terzo viaggio, portò in Francia delle pietre che lui credeva fossero oro e diamanti, invece non erano altro che pirite di ferro e cristalli di quarzo: da allora si usa dire “falso come un diamante canadese”. Tra gli oggetti esposti vi era il modellino del Don-de-Dieu (il veliero con il quale Champlain nel 1608 attraversò l'Atlantico per la terza volta, giunse a Tadoussac e poi fondò Québec) e vari strumenti che mostrano come, molto prima dell'arrivo di Champlain, il San Lorenzo era frequentato da pescatori di merluzzi e cacciatori di balene baschi, normanni, britannici, spagnoli, portoghesi.
Quando arrivarono gli europei, l'attuale Québec era abitato da migliaia di anni; furono gli irochesi e gli algonchini a entrare per primi in contatto con gli europei. I francesi opportunisticamente strinsero forti legami con gli autoctoni, e cominciarono a scambiare con loro non solo beni in cambio di pellicce, ma anche metodi e credenze: ad esempio gli autoctoni adottarono le pentole, i fucili e – alcuni – il cristianesimo; i francesi invece scoprirono le canoe e le racchette da neve. La storia della colonizzazione proseguiva (glissando elegantemente sul genocidio dei nativi) fino a giungere agli splendidi anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, anni di boom economico, Expo, giochi olimpici e consumismo.
E infine ecco le molte facce del Québec odierno, orgoglioso di accogliere immigrati da tutto il mondo, specialmente dai Paesi del Sud afflitti da crisi economiche e politiche, e di aver raddoppiato i suoi sforzi per integrarli. Grazie alla cucina etnica e agli eventi culturali, la faccia del Québec si è ringiovanita, diventando sempre più multiforme; a testimoniare tutto ciò nella teca erano collocati: un cappello portoghese, delle babbucce nordafricane, una darbuka magrebina e un portadocumenti senegalese.

Racconto di viaggio "IO MI RICORDO. QUÉBEC, UN PO' DI CANADA"