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Hanoi: THE NORTH FACE

Il viaggio in Vietnam era iniziato ad Hanoi il giorno di Natale. Presso il lago della spada restituita, come in una fiaba avevo attraversato il ponte del sole nascente tutto illuminato di rosso, per poi accedere al tempio monte di giada. Al centro dello specchio d’acqua spuntava giallastra la pagoda della tartaruga, il monumento simbolo della città, e tutto intorno i riflessi dei lampioni e delle insegne tremolavano. Il fiero popolo vietnamita era allegramente affaccendato nella penombra: chi mangiava su tavolini e sedioline in formato casa delle bambole, chi giocava a badminton senza racchetta, chi sollevava pesi sulle apposite panchette, chi sfrecciava nelle strade su skateboard luminosi. Nel quartiere vecchio ci sono tanti negozietti, gallerie d’arte e localini deliziosi, in un paio dei quali avevo consumato un aperitivo e poi la cena.

Tornando nella capitale dopo aver visitato porzioni di Vietnam situate a latitudini più basse, si notano subito le differenze più eclatanti: la gente qui non parla come Paperino, per esempio; inoltre ha la pelle più chiara e i tratti somatici più raffinati. La capitale stessa, rispetto a Saigon, ha un aspetto più grazioso e meno “americano”; i tanti parchi e i laghi, i ponti sul fiume Rosso, insieme agli edifici coloniali risalenti a quando fu capitale dell’Indocina francese, le donano un'atmosfera più tranquilla, e a tratti romantica.
L’itinerario a piedi durerà l’intera giornata e avrà come punto di partenza e di arrivo il già noto lago di Hoan Kiem. Attraversando il quartiere più francese della città, si arriva alla prigione di Hoa Lo. L’edificio fu costruito dai colonizzatori alla fine dell’Ottocento per detenere i prigionieri politici vietnamiti ed era uno dei più grandi carceri di tutta l’Indocina, dotato di mura alte e spesse e di rete elettrica ad alta tensione per impedire le fughe. Nella sezione dedicata al periodo francese, i visitatori possono ammirare la stanza della ghigliottina, ancora con equipaggiamento originale, e gli alloggi per i prigionieri. Sui pannelli si legge che i “patrioti e i soldati rivoluzionari vietnamiti” detenuti vivevano in condizioni disumane ed erano sottoposti a infinite torture, ma nonostante ciò hanno continuato indefessi a studiare clandestinamente teoria politica e non hanno mai perso la voglia di combattere fino al loro ultimo respiro contro l’occupazione del paese.
Dal 1964 al 1973 una parte della prigione è stata utilizzata per rinchiudere i piloti americani che venivano abbattuti e catturati. Secondo le testimonianze di molti ex prigionieri, essi erano detenuti in condizioni pietose, con poco cibo e scarsa igiene; inoltre, almeno nei primi anni, venivano crudelmente torturati. Il governo vietnamita tuttavia ha sempre negato e ancora oggi sostiene che gli americani venivano trattati benissimo: le immagini esposte li mostrano mentre giocano a scacchi e a biliardo, fanno giardinaggio, mangiano generose porzioni di cibo. Non solo: secondo i curatori del museo il soprannome che gli avevano sarcasticamente affibbiato gli americani, "Hanoi Hilton", sarebbe la prova che i detenuti consideravano gli alloggi simili a quelli di un hotel. Tra l'altro, ironia della sorte, una parte del carcere è stata smantellata e ora al suo posto sorge davvero un hotel a cinque stelle!
Attraversando il quartiere Đống Đa si raggiunge il tempio della letteratura, dedicato a Confucio, che ospita la sede della prima università del Vietnam ed è raffigurato sulle banconote da 100.000 dong. Per laurearsi presso l’Accademia Imperiale tra il 1076 e il 1779, bisognava passare l'esame reale, tenuto a corte, durante il quale era il monarca stesso a porre le domande e dare il voto. Nel cortile ci sono le 82 stele superstiti, poggiate su altrettante tartarughe di pietra, che riportano il nome e i risultati finali degli studenti che hanno superato il concorso. Infine, grazie agli ampi prati e agli alberi secolari, il luogo permette di rilassarsi lontano dal caos cittadino e fa da sfondo credibile alle foto dei neolaureati odierni.
L’altra zona turistica di Hanoi, nonché luogo di pellegrinaggio prediletto da folle entusiaste di vietnamiti, è la scenografica piazza Ba Dinh, su cui si affaccia il mausoleo di Ho Chi Minh. Nonostante lui stesso nel suo testamento avesse chiesto di essere cremato, la sua salma fu ugualmente imbalsamata ed esposta in questo monumento in granito dove quotidianamente molti visitatori, organizzati in lunghe file, attendono di osservarlo per pochi secondi. Purtroppo non mi è stato possibile dargli una sbirciata perché è aperto al pubblico soltanto fino alle 11 di mattina.
Del complesso del mausoleo fa parte anche il palazzo presidenziale, un giallissimo edificio in stile rinascimentale costruito inizialmente per il governatore generale d'Indocina. Ho chi Minh si rifiutò di andarci ad abitare, scegliendo piuttosto un modesto appartamento nei paraggi. In seguito fu eretta la palafitta in legno – circondata da un rasserenante giardino – dove il leader visse e lavorò per alcuni anni, una sobria ma elegante abitazione che oggi fa parte del percorso di visita. C’è poi la pagoda ad una sola colonna, che sarebbe la ricostruzione di un tempio millenario costituito da una struttura in legno appoggiata su un unico pilastro di pietra, e infine una grande struttura di cemento ornata dal simbolo della falce e martello ospita il museo di Ho Chi Minh, che è l’ultimo monumento del complesso.
La vastità e il vuoto della piazza, uniti all’austero stile architettonico sovietico e alle esercitazioni in corso di vari plotoni di soldati in divisa verde, danno al visitatore l’impressione di un balzo nel tempo all’epoca della cortina di ferro.
L’itinerario prosegue verso nord, in direzione del lago Ho Tay, il più grande di Hanoi. Lungo le sue sponde caliginose si ergono ville, alberghi di lusso e numerosi ristoranti, ma è soprattutto la pagoda di Tran Quoc (“Guardiano delle Nazioni”) ad attirare la mia attenzione, grazie alla lotus tower che svetta sulla riva. Si tratta di uno dei più antichi templi buddhisti di Hanoi, spostato qui nel Seicento quando il fiume Rosso tracimò. I fedeli, soprattutto donne e per la maggior parte vestite di marrone, sono seduti per terra e recitano delle monotone preghiere che echeggiano per tutta l’area sacra. Per terra, sulle stuoie, grandi piatti di frutta, merendine, biscotti e altri snack; sparse un po’ ovunque banconote false. Questo “denaro fantasma”, insieme a finti lingotti d’oro e ad altri oggetti, viene bruciato in un camino: si tratta di offerte votive inviate agli spiriti dei defunti.

All’ora di punta sono di ritorno nel centro storico: le scuole stanno chiudendo e gli studenti si riversano nelle strade, gli sgabelli sui marciapiedi sono tutti occupati, le zuppe di noodle fumano, i motorini riempiono le carreggiate. I negozi di articoli da regalo sono tutti concentrati nella stessa via: piramidi di dolci, composizioni di fiori e frutta, decorazioni superkitsch piene di brillantini. 
La sera presso il Thang Long water puppet theatre mi aspetta il tradizionale spettacolo dei burattini sull’acqua e per concludere la serata partecipo alla movida che affolla alcune vie del centro storico, alla ricerca della tanto decantata birra cruda, che costa un decimo della birra in bottiglia ma è difficilissima da trovare.
Il centro di Hanoi è pieno di incongrui negozietti che vendono piumini imbottiti di colori sgargianti: è vero che in inverno le temperature possono scendere anche sotto i 15 gradi, ma non siamo certo a Canazei. Giubbotti e zainetti sfoggiano marchi famosi come "The North Face", a dimostrare che si tratta di capi usciti in qualche modo più o meno losco dalle fabbriche del paese. I loro prezzi stracciati – penso mentre contratto con la simpatica negoziante – probabilmente sono proporzionali al valore che il prodotto avrebbe se le spese di pubblicità e di trasporto non incidessero così tanto sul suo costo finale.
Per la cronaca, il mio piumino griffato "Made in Vietnam" color verde mela è stato molto utile al ritorno poiché l'Italia meridionale era sotto la morsa del gelo, gli aeroporti erano chiusi per neve e il rientro è stato una lunga, ma calda, odissea.

Racconto di viaggio "MADE IN VIETNAM"