home33.jpg

Sull'isola di Negros

Il 2 gennaio i traghetti riprendono il loro quotidiano andirivieni dopo la pausa festiva, e finalmente possiamo lasciare Siquijor. I tre quarti d'ora di viaggio fino a Dumaguete sono indimenticabili: il mare è in tempesta, siamo tutti stipati con la porta ermeticamente chiusa e sudiamo copiosamente perché manca l'aria condizionata. La tragicità della situazione viene immediatamente sottolineata dai numerosi rosari che compaiono nelle mani delle filippine, e raggiunge picchi di insostenibilità durante i frequenti conati di vomito nelle retrovie.
Scesi sulla terraferma e ancora incapaci di mantenere una posizione stabile sulla banchina, dei toscani apparentemente poco turbati dall'esperienza ci propongono di seguirli a Moalboal (che si trova su un'altra isola, raggiungibile con un traghetto di soli 20 minuti) perché hanno saputo da "fonte attendibile" che da quella parte è bel tempo.
Nonostante il fatto che i toscani fossero boriosi e parlassero a voce troppo alta, facciamo finta di credere alle ottimistiche previsioni del tempo ma per una questione di attimi perdiamo il primo traghetto, mentre il successivo non riesce nemmeno ad attraccare, per quanto sono alte le onde. Il poliziotto con cui mi metto a chiacchierare non riesce a capire la nostra preoccupazione per il mare grosso: secondo lui non c'è alcun pericolo di tifoni. A questo punto torniamo in noi e tiriamo un sospiro di sollievo.
Ci dirigiamo via terra verso il nord dell'isola di Negros, percorrendo una strada costiera parallela alla dirimpettaia isola di Cebu, che raggiungeremo in traghetto quando le acque si saranno calmate. La scelta della località dove scendere dipende fondamentalmente dalle promesse nascoste nel nome. Scartata l'interessante Vallehermoso, non per motivi toponomastici ma perché troppo piccola e vicina, scendiamo a La Libertad, che non è male come premessa. Scendiamo nel buio più totale e percorriamo la piazza dove volti e attività in corso sono poco visibili e dunque, per un riflesso condizionato, probabilmente loschi. Dopo pochi minuti però ci ricordiamo che siamo nelle Filippine e quasi proviamo vergogna della nostra sensazione di insicurezza.
Un ragazzo ci propone di accompagnarci in un resort distante pochi chilometri, insieme ad un amico che guida un triciclo e ad altri due o tre sfaccendati che si appollaiano sul mezzo. Il lodge è enorme, ha i cottage di legno, la musica da discoteca e la piscina dove un ragazzo butta il cloro a mani nude. Il vento inclina le palme e alcuni poliziotti armati fino ai denti bevono birra e ridono. Si scopre che in questo resort spesso alloggiano i rappresentanti dell'ambasciata americana e per questo è richiesta la massima sicurezza. Per cena riusciamo a rimediare soltanto una coscia di pollo e del riso scondito, con un calcolo delle porzioni assolutamente filippino.
Al mattino fervono i preparativi per il ricevimento di matrimonio che avrà luogo di lì ad alcune ore. La signora dell'internet cafè è curiosa di sapere tutti i pettegolezzi, mentre attende con noi il bus per San Carlos; ne approfitta per raccontarci a sua volta dei suoi figli laureati e di suo marito che fa l'imprenditore in Florida, e di quella volta che andò a San Carlos per imbarcarsi per l'isola di Cebu, ma i traghetti non partirono e fu costretta a dormire in una pensione pulitissima e confortevole nella piazza principale.
Attraversando una valle piena di risaie terrazzate, si raggiunge Kanlaon, situata all'interno e in alta quota: il panorama è molto gradevole e beviamo un ottimo caffè insieme agli sfaccendati locali. Purtroppo non ci sono bancomat in zona, dunque dobbiamo ritornare sulla costa e fermarci a dormire a San Carlos, che appare quando terminano le piantagioni di canna da zucchero lungo la strada.
Questa city è molto tranquilla e la gente, come mi racconta la padrona dell'hotel, è più innocente, va a dormire presto e insomma si fa i cazzi suoi. Converso a lungo con la donna dopo cena, davanti a un tè, e lei mi racconta di questo marito australiano morto due anni fa, che è stata la più grande fortuna della sua vita: e ci credo, lui possedeva delle miniere d'oro in Papua Nuova Guinea. Poi hanno deciso di investire nella città di origine di lei, dove i suoi genitori si sono spezzati la schiena tutta una vita nelle piantagioni di canna da zucchero, e così lei si ritrova proprietaria di questo hotel, anche se le due figlie abitano a Brisbane e lei è costretta a fare avanti e dietro con l'Australia. La signora ci informa che durante la giornata i traghetti per Cebu Island non hanno effettuato servizio a causa delle solite big waves che implacabili impazzavano lungo le coste di quell'isola, e dunque ecco spiegato il motivo per cui le pensioni cittadine erano tutte “puli buk”!
La notte, a causa della febbre, ho affrontato un delirante carosello di galli, uccelli, zoccoli di legno, stereo e sgommate. Al mattino dobbiamo muoverci molto presto per assicurarci i biglietti, e per fortuna c'è il sole che scotta mentre siamo in coda presso la compagnia dei traghetti. In attesa di imbarcarci, ammazziamo il tempo di questa domenica mattina al mall, dove cerchiamo di fare qualche acquisto filippino, che è un'operazione molto difficile perché non c'è davvero niente da comprare.

Racconto di viaggio "APPUNTI PILIPINI. ESPLORAZIONE DELLA VISAYAS CENTRALE"

Tagged under: Asia orientale,