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Il nido delle aquile

Shaharah

Lasciamo la capitale diretti a nord, verso paesaggi spettacolari e cittadelle arroccate a grandi altitudini, abitate da tribù bellicose. Sono luoghi dove persistono antiche tradizioni e dove molti uomini ostentano pistole e fucili, facili da reperire anche nei negozi visto che le ultime guerre civili sono piuttosto recenti. Facciamo conoscenza con gli autisti, che ci accompagneranno col sorriso fino al termine del viaggio, al volante di Land Cruiser malandate e sempre sul punto di esalare l'ultimo respiro.
Dopo una sosta ad Amran, con le sue case di paglia e sabbia e un vivace mercato pieno di arance e tessuti, ci dirigiamo a Shaharah, una cittadina arroccata su un cucuzzolo a più di 2500 metri, famosa per la valorosa resistenza contro gli ottomani, che non riuscirono mai ad espugnarla. Per raggiungere il "nido delle aquile", località controllata da una potente famiglia della zona, bisogna abbandonare gli autisti e salire su un pick up che ci impiega due ore per percorrere 12 chilometri, tutti buche e saltelli. Dobbiamo reggerci molto forte, dunque non facciamo molto caso al kalashnikov che chi ci accompagna porta in braccio, ma sorridiamo agli ospiti occasionali che salgono sul cassone.
Il panorama al tramonto è indescrivibilmente affascinante, così come l'inconcepibile stellata, che ci godiamo dalla terrazza del funduk Francesca, la proprietaria senza volto della struttura. Nell'attesa della cena mi spaparanzo insieme ai masticatori locali con qat, tè e sigarette, quindi ci sistemiamo per la notte in due stanzoni muniti di materassini e sacchi a pelo. La notte è irrequieta; viene interrotta all'alba dalla voce metallica di alcuni muezzin non sincronizzati, il primo dei quali sembra intonare le prime note di “Fratelli d'Italia”.
L'alba regala uno spettacolo sorprendente dalla terrazza e alle 6 siamo già pronti per scendere a piedi attraversando un ponte secolare, minuscolo se comparato allo sterminato scenario, sospeso su una profondissima gola. Ci circondano infiniti terrazzamenti per la coltivazione del qat, una delle fonti principali dell'economia locale; le torrette di pietra che si scorgono qua e là ospitano nottetempo i guardiani delle coltivazioni. Terminato il trekking siamo accolti da milioni di bambini che vogliono le penne (kalam), le foto (sura), le caramelle (bonbon). 
Il programma ora prevedeva di avanzare verso nord fino a Sa'dah, ma ci informano che l'ingresso ai turisti è interdetto per motivi di sicurezza. Nell'appressarsi del cenone di fine anno dunque facciamo rotta verso la cittadina fortificata di Thula, racchiusa nell'antica cinta muraria, dove subito ammiriamo un paesaggio mozzafiato di tetti al tramonto dalla terrazza dell'unico funduk, dove dormiremo. Qui guide e negozianti parlano italiano e possono essere piuttosto ossessivi. Visitiamo una delle 25 moschee presenti in città, la cisterna in cui tutto si specchia (raddoppiando la bellezza) e alcuni dei numerosissimi negozi di souvenir e oggetti antichi.
Si spera inutilmente di fare una doccia e poi si cena. Sono sbrigative le cene yemenite: mischi riso e pollo e verdure ed è fatta. Poiché gli alcolici sono vietati in tutto il Paese, era prevedibile che ci fosse un traffico clandestino di lattine di Heineken calda, vendute allo straordinario prezzo di 4 euro l'una, che qualcuno paga senza battere ciglio nonostante l'assurdità dell'operazione. Per farla breve, l'ultimo dell'anno prevede danze tradizionali a lume di neon e altrettanto tradizionali panettoni e torrone e spumante appositamente portati dall'Italia. Queste feste per soli uomini mi mettono un po' di tristezza.
Il primo dell'anno, tra le illazioni e le battute a doppio senso della popolazione locale, riusciamo a districarci alla volta dell'incantevole Hababa (grande cisterna dove la gente attinge l'acqua, un originale palazzo colorato, cammelli). Poi raggiungiamo l'abbarbicata cittadella di Kawkaban da cui intraprendiamo un trekking di un'oretta sulle pendici del monte omonimo scendendo alla volta di Shibam. Qui sostiamo per il pranzo in un funduk con diverse stanze, in una delle quali ci fanno accomodare a piedi nudi per terra, su tappeti cosparsi di avanzi di riso. Ormai non faccio più caso ai dettagli e mangio con le mani anche se ci danno le forchette.

Racconto di viaggio "IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE. NELLA FAVOLA DELLO YEMEN" 

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