home55.jpg

Fine anno a Tel Aviv

A Tel Aviv avevo prenotato un letto in un ostello situato in una posizione magnifica di fronte alla spiaggia. Si tratta di una struttura innovativa costituita da microstanze dotate di uno o due letti e uno spazio veramente angusto, ma dotato di tutti i comfort; per entrare nelle camere e nella struttura invece di usare la chiave bisogna cliccare un pulsante sulla app.
Al piano di sopra c'è una bella terrazza sempre popolata da viaggiatori, dove ho conosciuto subito Daniel. Figlio di un musulmano ceceno morto nel 2021 e di un'ebrea di Odessa che si erano conosciuti a Netanya, vive a Londra e, anche se i genitori gli hanno sempre ripetuto di non venire in Israele, lui è qua che cazzeggia dalla mattina alla sera bevendo una birra dopo l'altra e facendo discorsi strampalati ma non privi di interesse. Un impiegato dell'ostello in ciabatte e capelli lunghi spettinati mi dà il benvenuto e anche lui come prima cosa mi dice che lo Stato sta diventando sempre più religioso, criticando il nuovo governo Netanyahu che proprio oggi si è insediato. Ancora non sanno che, poche settimane dopo, a Tel Aviv prenderà inizio una lunghissima serie di manifestazioni contro la riforma giudiziaria decisa dal governo. 
Nel pomeriggio l'atmosfera è molto vacanziera su questo lunghissimo lido cittadino. All'ora dell'aperitivo alcuni stabilimenti propongono la musica del dj, ad esempio qui ad Alma Beach, dove la gente sorseggia birra Goldstar direttamente sulla sabbia o sugli appositi tavolini del bar. Guardando il mare, sulla sinistra spicca il promontorio di Old Jaffa, che raggiungo dopo il tramonto quando tutte le luci si sono accese.
All'ora di cena mi dirigo nel centro di Tel Aviv, dalle parti di Rothschild Blvd, dove si trovano quelli che sono considerati tra i migliori ristoranti e locali del Medio Oriente. Al Beer shop mi siedo insieme a un gruppo di amici sui quarant'anni che stanno parlando di cosa faranno domani sera, l'ultimo dell'anno: una di loro racconta le abitudini della sua famiglia, di origine russa, l'altra delle usanze che hanno loro che provengono dal Cile. Accanto siede un americano con la camicia a scacchi e un altro amico dai lineamenti etiopi. "È il bello dell'Aliyah (l'immigrazione degli ebrei in Israele)," mi dice la cilena "grazie all'ebraico riusciamo a comunicare con persone di tutto il mondo". 
Ceno in un ristorante pretenzioso dal nome italiano che fa molto glamour, dove c'è una lunghissima fila, mi siedo al bancone e un piatto di pasta al nero di seppia e frutti di mare costa 25 euro. Credo che i ristoranti di Tel Aviv siano i più cari del mondo.

Sabato mattina mi incammino verso Giaffa percorrendo il lungomare gremito di gente che cammina e fa sport. L'appuntamento del free walking tour è alla Torre dell’Orologio, costruita in tarda epoca ottomana. Giaffa ha una storia molto antica e una popolazione a maggioranza araba che la rendono molto diversa da Tel Aviv: fu infatti per almeno tre millenni uno dei porti più grandi del Mediterraneo. Qui a Ioppe veniva sbarcato il cedro del Libano che servì per fabbricare il primo Tempio, e in seguito giungevano i pellegrini europei diretti in Terra Santa attraverso le galee affittate dai veneziani. Inoltre, secondo la tradizione cristiana, da Giaffa il profeta Giona salpò verso Tarsis e su questa medesima spiaggia fu rigettato dal pesce che lo aveva ingoiato durante la tempesta (evento ricordato con una bella fontana a forma di balena), mentre l’apostolo Pietro, nel periodo in cui fu ospite di Simone il conciatore, resuscitò una donna di nome Tabità: questi eventi sono commemorati nella chiesa francescana di S. Pietro, costruita sulle rovine di una cittadella crociata. 
Di fronte alla massa blu del mar Mediterraneo la guida ci racconta il mito di Andromeda, la principessa d'Etiopia incatenata dalla madre a una roccia proprio qui davanti e salvata dall'eroe Perseo, che uccise il mostro e poi se la sposò. Subito dopo srotola un lunghissimo papello in cui sono elencati tutti i popoli che nei secoli conquistarono Giaffa: dopo il lungo periodo arabo passò ai crociati, che la governarono per più di un secolo prima dell'arrivo degli Ottomani. Anche Giaffa fu sottoposta all'assedio delle truppe napoleoniche, ma a differenza di Akko la città fu espugnata e alla conquista fece seguito un massacro di migliaia di prigionieri. Nell'epidemia che seguì molti soldati napoleonici furono curati nel monastero armeno che sorge sul lungomare e molti persero la vita. Pochi anni dopo Napoleone commissionò a Antoine-Jean Gros il dipinto che, con il titolo "Bonaparte visita gli appestati di Jaffa", è oggi esposto al Louvre e ci viene mostrato dalla guida, pure se non si ricorda il nome del pittore: l'episodio non si sa se sia avvenuto realmente, però è palese l'intento celebrativo del generale rappresentato come un salvatore, nel momento in cui la stampa inglese si sbizzarriva con la propaganda antinapoleonica.
Quando arriviamo al vecchio porto, che oggi è diventato un'area ricreativa sempre affollata, la guida ci parla dell'arancia di Giaffa, una varietà molto famosa. Questi frutti furono per secoli la principale produzione della Palestina e fino a qualche decennio fa venivano immagazzinati ed esportati in tutto il mondo da questo porto, ma con l’arrivo dei sionisti il business passò nelle mani degli ebrei: le loro tecniche infatti garantivano una qualità ed un raccolto superiori rispetto a quelli palestinesi. 
All'inizio dell'Ottocento Giaffa era ridotta a un piccolo villaggio, ma poco dopo iniziò la sua ricostruzione, mentre anche qui sbarcavano sempre più ebrei, soprattutto con l'inizio del mandato britannico e poi durante gli anni Trenta, a causa delle persecuzioni naziste. Poiché gli arabi non apprezzavano moltissimo i nuovi arrivati, spesso boicottavano le navi ebraiche, così nel 1936 fu costruito il nuovo porto di Tel Aviv (che a sua volta è caduto in disgrazia negli anni ’60, dopo la costruzione dello scalo di Ashdod).
Quando gli inglesi stavano per lasciare la Palestina crebbero le tensioni, con i cecchini arabi che sparavano sugli ebrei dal minareto della Moschea Hassan Bek, che è ancora qui, ben conservata, ma non è aperta al pubblico. Giaffa fu dunque conquistata dalle forze ebraiche e dopo l'indipendenza fu riunita in un unico comune con Tel Aviv; gli arabi furono cacciati e le loro case vennero occupate da immigrati ebrei. Negli anni ’50, la città vecchia fu nuovamente abbandonata a se stessa, mentre negli ultimi anni sono stati compiuti importanti sforzi per darle un aspetto attraente per i turisti: il borgo è stato restaurato, sono nati bar, ristoranti, negozi, gallerie d'arte e musei. Il tour termina nei giardini HaPisgah, situati su una graziosa collinetta verde panoramica.
A quel punto, attraverso la colonia americana-tedesca e raggiungo Florentin, il quartiere artistico della città, per un pranzo messicano. Le strade decorate con murales sono fiancheggiate da gallerie d'arte, caffè bohémien e bar con birra artigianale e musica dal vivo. Attraverso una linea ferroviaria ottocentesca in disuso oggi trasformata in un parco e mi reco al Museo Nachum Gutman, che espone le opere dell’artista israeliano che divenne uno dei pittori e illustratori di libri per bambini più famosi di tutto il paese. Mi trovo a Neve Tzedek, la zona più antica di Tel Aviv (se si può considerare antico un quartiere della seconda metà dell'Ottocento), e imbocco il prestigioso Rothschild Boulevard, punteggiato di esclusivi grattacieli appena costruiti. Qui sorge l'Independence Hall, dove David Ben-Gurion dichiarò la nascita dello Stato di Israele nel maggio del 1948. L'edificio era la casa di Meir Dizengoff, uno dei primi esponenti del movimento sionista e primo sindaco della città. Fu lui a guidare quelle famiglie ebree provenienti da Kishinev e da Odessa che acquistarono un vasto terreno desertico a nord della città, poi divisero l'area in lotti e li assegnarono tramite una lotteria. Era il 1909 e la nuova città fu chiamata Tel Aviv, Collina di Primavera. 
Lungo Rothschild Blvd e nelle vie trasversali si trovano numerose strutture Bauhaus, lo stile portato dagli architetti ebrei di origine tedesca fuggiti dalle persecuzioni naziste. In tutta la città pare ci siano circa 4000 edifici caratterizzati da linee orizzontali, tetti piatti, pareti bianche, balconi arrotondati, che costituiscono il più vasto insieme di edifici Bauhaus del mondo, tanto che sono stati inseriti nel 2003 nel Patrimonio UNESCO.
Habima square mette fine al lungo Boulevard, per cui svolto a destra diretta al Mercato di Sarona, una nuova struttura coperta che punta sull'eccellenza alimentare con negozi, locali di street food e ristoranti. Anche Sarona (fondata dai soliti templari tedeschi) ha subito moltissimi interventi di restauro negli ultimi anni, come la Vecchia Stazione Ferroviaria e altri quartieri della città, mentre molte nuove infrastrutture sono ancora in fase di realizzazione, visto che oggi Tel Aviv conta molto sulla sua crescente fama di città tra le più trendy del mondo. In realtà il food market l'ho visto solo dall'esterno, perché mancava pochissimo all'ora del tramonto, che volevo guardare dalla spiaggia. Per arrivare in tempo devo prendere un autobus, infatti pure se è Shabbat un limitatissimo numero di mezzi circolano lo stesso, ma non si paga il biglietto. Passiamo dalla piazza più grande della città, Rabin Square (dove fu assassinato l'ex primo ministro), che oggi si presenta come un cantiere. Scendo dall'autobus nei pressi dell'Hilton beach, che prende il nome dall’omonimo albergo che spicca nella sua alta bruttezza a due passi dal mare.
Quando l'ultimo pezzo di sole affoga nel mare, intraprendo la lunga passeggiata verso sud, attraversando tutte le spiagge che si susseguono con i loro aperitivi e la loro musica: gli uccelli svolazzano in stormi, le palme ondeggiano al vento, molti moderni grattacieli si stanno illuminando. 
Torno in centro per l'ultima cena: è il 31 dicembre, ristoranti e club sono affollati, ma a quanto apre ben pochi festeggiano l'ultimo dell'anno. A mezzanotte dalla mia microstanzetta sento in lontananza gli scoppi di pochi, brevissimi fuochi d'artificio. La mattina dopo ho il volo ad un orario abbastanza comodo, ma tutti mi hanno consigliato di arrivare in aeroporto almeno tre ore prima. Nel mio caso non ce n'era motivo, perché i controlli sono stati rapidissimi come in qualunque aeroporto europeo.

Galleria fotografica

Racconto di viaggio "LA LA HOLY LAND. Natale in Israele e Palestina"