Qualche giorno di vacanza in aprile, un'amica che vive in Spagna e un appuntamento in un'isola facilmente raggiungibile sia da Barcellona sia da Bari. La scelta cade su Ibiza, collegata con un volo molto economico per entrambe. Un posto in cui, d'estate, non metterei piede manco se mi pagassero. Le notti sono quattro e i giorni pure. Indecisi su dove alloggiare? Ovunque: ogni notte in un posto diverso.
Non so perché, in vista di quattro giorni di ferie a marzo, ho preso un ennesimo biglietto aereo per Parigi. Sarà la nona o la decima volta che ci vado, eppure, invece di visitare una città che non conosco (che ne so, Bruxelles o Copenhagen), sono di nuovo qui. Sicuramente mi ha influenzato anche il fatto che in Francia hanno appena cancellato l’obbligo di portare le mascherine e io non vedo l'ora di vivere la normalità sociale che ancora in Italia non c’è del tutto.
Quando sono stata a Barcellona a fine febbraio 2020 l’ultima cosa che avrei immaginato era che, pochi giorni dopo, prima agli italiani e poi agli spagnoli sarebbe stato praticamente impedito di uscire di casa per circa due mesi e che quella città così affollata e vivace sarebbe apparsa spettrale e deserta come la maggior parte delle altre città del mondo.
L'estate di circa 25 anni fa ricevetti una cartolina da una mia compagna di liceo. C'era scritto “Saluti dalla caldissima Annalisa”. O almeno, così mi sembrò di capire. Soltanto molti mesi dopo, riordinando il cassetto delle cartoline (allora ne ricevevo parecchie), mi accorsi che c'era scritto “Saluti dalla caldissima Andalusia”, che almeno aveva un senso visto che la mia amica non era una lap dancer. In tutti questi anni ho sentito parlare molto dell'Andalusia, ma non ci sono mai andata, forse anche a causa di questa cartolina, e in particolare di quell'aggettivo, di grado superlativo assoluto. Poi, nel mese di giugno 2013, grazie alla peraltro odiosa Ryanair, in un momento di debolezza ho acquistato un volo economico diretto Bari-Siviglia. A quel punto non potevo tirarmi indietro, nonostante i segnali minacciosi che mi inviava la pagina del meteo di Siviglia (38 gradi alle ore 22).
La viaggiatrice lo aveva promesso: quel saluto di quattro anni prima, rivolto ai milioni di piastrelle, tegole e galletti di Lisbona, era soltanto un arrivederci. José Saramago nel frattempo è passato a miglior vita, ma poiché le parole degli scrittori non scompaiono con chi le ha scritte, nessuno le vieta di continuare a considerarlo − come se niente fosse − il faro che indica la rotta.
Nella primavera del 2007, la viaggiatrice aveva in programma una breve visita di Lisbona, che per lei ancora non era altro che un tram giallo che attraversa un vicolo strettissimo con l'inconfondibile sottofondo della voce di Teresa Salgueiro dei Madredeus. Ma si dava il caso che la Piperita si trovasse allocata in un minuscolo villaggio tra le montagne a nord di Viseu e dunque la viaggiatrice ha pensato bene di attraversare longitudinalmente il Paese in bus per andare a recarle un salvifico saluto. Nel frattempo la viaggiatrice suddetta aveva cominciato a sbocconcellare il "Viaggio in Portogallo" di Saramago un po' sul suo divano piemontese, un po' sul suo letto di Bari, un po' in aereo (e in seguito nella stanza della Tia, tra la statua della Senhora di Fatima e i pizzi), e lo ha trovato di buon auspicio. Le è sembrato che Saramago abbia suddiviso il "Viaggio" in tanti viaggi separati in periodi diversi, così si è ripromessa di seguirne le orme, considerando questi quattro giorni soltanto la prima delle tappe. Intanto ha provato ad imitarne lo stile, invidiandolo per ogni singola frase piena di pazienza, coraggio e memoria, senza considerare che se lei scrivesse come Saramago il premio Nobel lo avrebbero dato a lei, viaggiatrice in un Paese non suo, e non a José, viaggiatore nel suo Paese.
Sono tornata a Cork (dove all'epoca avevo assistito a un indimenticabile concerto degli U2) in un viaggio-stampa organizzato in occasione dell'inaugurazione di nuove rotte aeree dell'Air Lingus, nella primavera del 2005. Mentre Cork si stava organizzando per diventare "Capitale della cultura", i responsabili del turismo ci spiegavano cosa attirasse i turisti in Irlanda; i ristoratori invece non avevano bisogno di parole: gli bastava farci assaggiare le loro specialità in copiose porzioni. Solo allora capii che viaggiare low budget dà un'idea veramente sbagliata del panorama gastronomico di un paese, e infatti non avrei mai sospettato che in Irlanda si mangiasse così bene.