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Mitteleuropa

Vienna, Moravia e Slovacchia in solitaria

L’obiettivo principale di questo viaggio era conoscere la Slovacchia, un Paese giovane e non molto turistico, che non possiede una capitale prestigiosa come Praga o Budapest e il cui popolo ha un’identità per molti indistinguibile da quella ceca. Non essendoci voli diretti, ne ho approfittato per visitare Vienna e anche per fare una puntatina nella Moravia, la regione meridionale della Cechia. Ho sempre trovato molto istruttivo superare le frontiere e confrontare Paesi limitrofi, perché certe caratteristiche tipiche di uno Stato vengono fuori in maniera molto più evidente se paragonate con quelle di un vicino di casa diverso.
La regione che ho visitato è accomunata dalla cristianità romana ed è stata per lungo tempo parte integrante del crogiolo culturale asburgico; nel secondo Novecento era attraversata dalla Cortina di ferro, mentre oggi tutti gli Stati dell'Europa centrale sono membri dell’Unione Europea. Insieme a Polonia e Ungheria, la Slovacchia e la Cechia fanno parte del cosiddetto Gruppo di Visegrád, un'alleanza culturale e politica costituitasi nel 1991. Negli ultimi anni il quartetto si è sempre di più rivelato un terreno di scontro, visto che la Polonia e l'Ungheria si sono distinte per la svolta illiberale del proprio governo, al contrario della Slovacchia e della Repubblica Ceca che hanno mantenuto una linea europeista. Recentemente, la situazione in Ucraina aveva spaccato in modo ancora più grave l’alleanza, con l'Ungheria su posizioni più filorusse e le altre tre compattamente a sostegno dell'Ucraina.
Al momento però (settembre 2023) alcuni fatti stanno ribaltando la situazione, visto che alcune autorevoli voci di Slovacchia e Polonia (in concomitanza con le rispettive elezioni parlamentari) stanno cambiando idea sull'invio di armi a Kiev, senza contare il problema delle importazioni di grano a basso costo dall’Ucraina. La Slovacchia, oltretutto, si sta spostando verso posizioni ultra-conservatrici e anti-immigrati che la avvicinano all'Ungheria, mentre in Polonia sta accadendo esattamente l'opposto. Non è un caso che trasformazioni così eclatanti riguardino proprio questi Stati che si trovano in prima linea, ai confini dell'Europa. A conferma di ciò, delle persone ceche che ho conosciuto a Brno scherzavano sul fatto che, in un'ipotetica accelerazione dell'aggressione russa verso ovest, prima di loro c'erano, appunto, la Polonia e la Slovacchia.

Vienna

“Chi viaggia senza incontrare l'altro non viaggia, si sposta”, ebbe a dire la citatissima scrittrice ed esploratrice francese Alexandra David-Néel. Be', mi ha sorpreso scoprire che molti amanti dei viaggi in solitaria rivendichino il fatto di non voler incontrare nessuno nei paesi che visitano, anzi, partono da soli proprio per non avere a che fare con la gente. Contenti loro, ma non condivido affatto la loro impostazione: in un mondo in cui, piuttosto che la complessità e l'analisi pacata, vigono la semplificazione e il tifo da stadio, viaggiare dovrebbe essere ancora di più un modo per farsi raccontare i fatti da chi li vive e non da chi ci specula sopra.
Quando sono arrivata a Vienna erano circa le 11 di sera, faceva piuttosto caldo e non avevo per niente sonno. Per motivi logistici avevo scelto di dormire nei pressi della stazione centrale e in questa zona l'unico bar che avevo adocchiato aveva appena chiuso. Gli ultimi avventori erano ancora lì seduti a uno dei tavoli e quando ho chiesto loro di indicarmi una birreria mi hanno invitata ad andare con loro in centro. Ed eccomi a vivere la mia prima notte viennese, che dopo la mezzanotte – anche d'estate – è tristemente relegata nei locali al chiuso. In ogni caso, alle 4 ero ancora al bancone a parlare dei disastrosi esiti economici del periodo Covid e dell'attuale politica europea con il titolare di un jazz club; poi come niente sono arrivate le 5, la metropolitana ha riaperto e sono tornata in hotel.

Dopo poche ore di sonno (troppo poche) ho partecipato a un free walking tour nella Innere Stadt, la parte di città circondata dalla Ringstrasse, la bellissima via ad anello, fiancheggiata da prestigiosi edifici, che fu costruita lungo il tracciato delle vecchie mura. Quindi, su indicazione della guida, sono andata alla Casa della storia austriaca (Haus der Geschichte Österreich), il primo museo di storia contemporanea del Paese, inaugurato nel 2018 in occasione delle celebrazioni del centenario della fondazione della Repubblica. L'esposizione principale esplora la storia dell'Austria degli ultimi cento anni mediante oggetti, documenti, opere d'arte e display multimediali. Si parte dalla proclamazione della repubblica democratica dopo la prima guerra mondiale, si passa alla dittatura di Dollfuss-Schuschnigg e poi al regno del terrore nazista fino al 1945, quando gli Alleati liberarono l'Austria e la misero sotto l'amministrazione alleata fino al 1955. Per molto tempo l'Austria si presentò come vittima del nazismo, senza fare riferimento ai tanti austriaci che avevano sostenuto il regime o avevano preso parte ai crimini nazisti; oggi la parte di responsabilità dell’Austria non è più oggetto di dibattito, ma l’ideologia di estrema destra si sta nuovamente diffondendo in ampi settori della società. A questo proposito, tra tutti gli eventi del dopoguerra illustrati, il museo assegna una grande importanza al "Mare di Luci" del 1993, quando circa 300.000 persone si riunirono nella Heldenplatz di Vienna e in diverse altre città per prendere posizione contro il razzismo e l’esclusione; era accaduto infatti che il Partito della Libertà aveva annunciato un'iniziativa popolare che chiedeva di fermare l'immigrazione e di introdurre leggi discriminatorie nei confronti dei migranti. Questo movimento non ha solo criticato l’iniziativa popolare, ma ha messo in luce le tendenze razziste nella società e l’inasprimento della situazione giuridica per i migranti sotto il governo di coalizione socialdemocratico-partito popolare (nonostante ciò, le rivendicazioni contenute nell’iniziativa popolare del Partito della Libertà sono poi state in parte realizzate negli anni successivi, pure da altri partiti).

Anche il direttore del Burgtheater, il sontuoso teatro rinascimentale sito sulla Ringstrasse, con il suo programma per la prossima stagione vuole lanciare un chiaro segnale contro le tendenze di destra e autoritarie in Europa, infatti sulla facciata del teatro c'è scritto nero su rosso: "Svegliamoci, prima che faccia di nuovo buio". Grazie alle indicazioni che mi sono state offerte al desk del museo di storia, ho poi visitato l’Archivio di Documentazione sulla Resistenza in Austria dedicato al periodo in cui l'Austria fu inglobata nel III Reich con tutti i noti annessi e connessi (resistenza, persecuzione, esilio, crimini nazisti, olocausto, estremismo di destra).
In questa prima giornata a Vienna, prima di partire per Brno, sono entrata nel duomo di Santo Stefano, capolavoro dell’architettura gotica sormontato da un tetto di tegole smaltate che rappresentano una grande aquila. Sulla torre sud si può salire per godersi il panorama sulla città, mentre nella torre nord si trova il Pummerin, la campana più grande dell'Austria e una delle più grandi d'Europa. Presso la Casa della storia austriaca avevo appreso che il duomo e la campana sono diventati parte integrante del “brand Austria” dopo la ricostruzione della chiesa, danneggiata nel 1945, e che il suono del Pummerin è diventato un simbolo nazionale (insieme alle opere di Strauss) anche grazie all’ente radiotelevisivo austriaco che a Capodanno 1951/1952 trasmise il suo suono per radio, quando la campana si trovava ancora nel cortile del Museo provinciale di Linz: nell'aprile successivo ebbe luogo un significativo corteo trionfale che ha attraversato città e villaggi dell’Austria per trasportare il Pummerin da Linz a Vienna.

Moravia

Bratislava

Sered'

Sered' negli anni ’40 del Novecento fu sede di un campo di concentramento dove furono rinchiusi oltre 16000 ebrei, poi deportati nei campi di sterminio. Gli edifici del campo dal 2016 ospitano il Múzeum holokaustu v Seredi, dedicato appunto alla storia della Shoah in Slovacchia. Per raggiungere questa località ho preso il treno con cambio a Trnava. Il museo in linea d'aria si trova proprio accanto alla stazione, ma poiché non ci sono mezzi pubblici per arrivarci devo fare un lunghissimo giro a piedi per almeno mezz'ora sotto il sole cocente. Prima di tutto ho visto alcune delle video interviste a ebrei perseguitati all'epoca, anche perché si trattava di stare comodamente seduta in un locale con l'aria condizionata (e ne avevo proprio bisogno). Poi mi sono avventurata nelle baracche, ognuna allestita con un tema diverso. Giornali e foto d’epoca mostrano le condizioni di detenzione e lavoro forzato a cui sottostavano i deportati, mentre una sezione è dedicata alle vittime dell’Olocausto e a coloro che rischiarono la vita per aiutare gli ebrei. È visibile anche una carrozza ferroviaria, in origine adibita a carro bestiame, che veniva utilizzata per il trasporto dei prigionieri ai campi di sterminio. Nelle circa due ore che ho impiegato a visitare il museo non ho visto nessun altro visitatore.
A Sered' a parte questo non c'era altro di interessante da fare nella torrida controra, così sono tornata a Trnava, approfittando per fare due passi nel centro prima di prendere l'autobus per Banska Bystrica. Trnava è tra le più antiche città della Slovacchia, soprannominata nientemeno che "piccola Roma" a causa di una cerchia di mura e di diverse chiese di antica fondazione. Quando l'Ungheria fu conquistata dai turchi nel 1500 diventò la capitale religiosa del regno di Santo Stefano, che conservò fino al 1820. Oggi è considerata il luogo dove si beve il miglior caffè di tutta la Slovacchia.

Banska Bystrica

Sono arrivata in questa ridente cittadina della Slovacchia che si chiama Banska Bystrica. Bisogna sempre avere una scusa valida per visitare queste località che nessuno di noi aveva mai sentito nominare prima, e io ce l'avevo.
Appena entro in ostello, un ragazzo belloccio con una grandissima valigia mi saluta calorosamente (poi ho scoperto che lì dentro aveva l'amplificatore, infatti poco dopo si è messo a suonare la chitarra a cappello nella piazza principale). Quindi arriva un tunisino che appena scopre che sono italiana reagisce come se avesse visto una celebrità: nonostante fosse un po' affaccendato, molla tutto e si siede a parlare con me per dirmi che ha vissuto in Italia per tanti anni, ma purtroppo poi si è sposato con una slovacca e quindi si sono trasferiti a Bratislava, ma pensa sempre all'Italia, di cui è perdutamente innamorato. Finalmente è il mio turno per il check-in. Il giovane receptionist, invece di fare il check-in, comincia subito a parlarmi di cucina italiana e mi fa vedere un video in cui un famoso ristoratore del parmense spiega come fanno le lasagne, che secondo il receptionist slovacco così sono più semplici, con pochi strati e col ragù cotto per circa quattro ore. Poi, dopo diversi minuti di video, prende il telefono e mi mostra le foto della pizza napoletana, che lui fa a casa e comunque non ha niente da invidiare rispetto a quella originale. Mentre stava scorrendo le foto di altri cibi italiani in cui lui eccelle (come la pasta alla carbonara) si è affacciato un ragazzo tedesco, il quale mi ha comunicato in italiano che all'università ha studiato la mia lingua, annunciando che anche lui si dedica con profitto alla gastronomia del belpaese. Mo' il fatto è che io non vedevo l'ora di farmi una doccia dopo un'intera giornata a sudare nei 36 gradi di questa calda estate mitteleuropea e questo col cavolo che ricopiava i dati della mia carta d'identità, così mi sono rivolta a loro nella lingua più bella del mondo (che "sembra che cantate quando parlate") dicendo: "Beh, ragazzi, adesso basta!"

Il vivace centro storico di Banska Bystrica si sviluppa tutt’attorno a un’ampia e gradevole piazza dove sono allestiti i dehors di diversi bar e ristoranti, in uno dei quali consumo una cena squisita. Le chiese, i palazzi e le fortificazioni risalenti al tardo Medioevo sono ancora presenti: gli edifici dello storico castello oggi sono occupati da un bar ristorante dove mi siedo per bere una birra scura. Un tizio di Kosice seduto al tavolo vicino al mio mi rivolge la parola e mi chiede cosa ci faccio là. Alla fine della nostra chiacchierata mi dà il suo numero di telefono in maniera tale che, quando andrò nella sua città, potrò contattarlo e ci potremo vedere, insieme alla moglie e ai figli naturalmente, di cui mi mostra le foto.
A differenza di tanti che vengono qui per passare la notte nella famosa discoteca "Ministry of fun", io sono qui per visitare il Museo dell’Insurrezione nazionale slovacca, allestito all’interno di un massiccio edificio in cemento armato, composto da due ali connesse tra loro da un ponte: oggi fervono i lavori di pulizia, riordino, montaggio palco eccetera, in vista della grande celebrazione che ci sarà martedì prossimo, 29 agosto, giorno di festa nazionale. Fu in quella data che nel 1944 venne proclamata in questa città l’insurrezione generale contro l’occupazione tedesca e contro il governo collaborazionista di Jozef Tiso, a cui presero parte varie fazioni: unità ammutinate dell'esercito slovacco, formazioni partigiane, partigiani comunisti e forze internazionali. Anche dopo che l'insurrezione fu sconfitta dai tedeschi, la guerriglia continuò fino alla liberazione della Slovacchia da parte dell'Armata Rossa nel 1945.

Il museo conserva una vasta documentazione storica sul periodo compreso tra il 1918 e il 1948: ad esempio c'è una presentazione interattiva di grande impatto sui regimi antidemocratici che si affermarono in Europa tra le due guerre, ma anche una postazione in cui il visitatore è invitato a vivere il punto di vista di un soldato in trincea. Nel parco antistante sono collocati mezzi pesanti in dotazione all’esercito slovacco durante la seconda guerra mondiale, tra i quali alcuni carri armati, il treno blindato Štefánik e l’aereo di supporto Li-2, che paracadutava truppe e rifornimenti ai ribelli. Nel dopoguerra, il regime filo-sovietico cecoslovacco presentava l'insurrezione come un evento organizzato e capeggiato dai comunisti. I nazionalisti slovacchi, d'altro canto, sostennero che l'insurrezione fu un complotto contro la nazione slovacca, poiché uno dei suoi obiettivi principali era di rovesciare la Repubblica slovacca e di ristabilire la Cecoslovacchia, in cui gli slovacchi erano soggiogati dai cechi. Ho chiesto a un impiegato del museo se da qualche parte avrei potuto trovare testimonianze storiche relative al periodo comunista, ma mi ha detto di no. Mi devo accontentare del bassorilievo accanto all'ingresso del palazzo delle poste.

Tre incontri a Košice

Mi trovo al tavolo all'aperto di un caffè nel centro di Košice, la seconda città più grande della Slovacchia. A darmi appuntamento qui è stato Martin, che ho conosciuto ieri sera alla Tabačka Kulturfabrik, un bel locale molto affollato dove suonava un bravo dj. Questo ragazzo poco più che ventenne è originario di Bratislava, ma poi la madre si è risposata e si sono trasferiti qui. Il padre, lui, non l'ha mai conosciuto. Martin studia arte all'università e il suo sogno più grande sarebbe vivere in Italia, infatti non fa altro che parlare del suo viaggio in Sicilia dell'anno scorso: a parte aver incontrato Madonna a Taormina, ha letteralmente adorato il fatto che i siciliani si godono la vita. E questo è ciò che Martin intende fare: godersi la vita.
Mentre stiamo qui a bere (Milano Torino lui, caffè shakerato io), Martin mi dice che la Slovacchia è molto più cara dei suoi vicini, in particolare dell'Ungheria, infatti molti slovacchi hanno comprato casa lì o ci vanno per fare acquisti. "Orban non ci ama molto", aggiunge, "ha detto che gli slovacchi sono praticamente una parte dell'Ungheria". I rapporti fra slovacchi e ungheresi a quanto pare sono migliorati nel tempo, visto che l'attuale premier a interim è un membro della minoranza ungherese, cosa impensabile fino a poco tempo fa.
Alla nostra conversazione di tanto in tanto partecipa anche il gestore del bar, che è amico di Martin e – poiché ha vissuto un periodo in Spagna – è convinto che parlandomi in castigliano io lo capisca perfettamente. Sua moglie è ucraina e lui si trasferirebbe molto volentieri lì perché "è un paese bellissimo, ci sono molte cose da fare e le persone sono migliori degli slovacchi", ma purtroppo al momento non si può. Anzi, moltissimi ucraini si sono rifugiati in Slovacchia: "Sai, in tutti i Paesi ci sono i poveri e i ricchi, e anche in Ucraina. I più poveri si sono trasferiti a Košice o in altre piccole città, mentre i più ricchi hanno preferito emigrare a Vienna, Berlino e altre capitali".
Nel frattempo al tavolino accanto si è seduto un altro conoscente di Martin, che mentre beve il suo caffè interviene per dirmi che il 30 settembre ci saranno le elezioni e che il favorito è di nuovo Robert Fico, il quale vuole far cessare la fornitura di armi all'Ucraina. Fico (che si legge "Fizo" e quando lo pronuncio "Fico" ridono tutti a crepapelle) è stato primo ministro quasi ininterrottamente dal 2004 al 2018 e poi si è dimesso dopo l'omicidio di un giornalista che stava lavorando su una probabile connessione tra il governo slovacco e la 'Ndrangheta. "Tra l'altro era il 22 marzo 2018: due giorni dopo in Italia Roberto Fico è stato nominato presidente della camera. Non è una coincidenza incredibile? Comunque, la gente ha davvero poca memoria. Se va avanti così, io dico che l'Ucraina dovrà rinunciare a una parte del territorio. Oppure dobbiamo sperare che USA e Russia si dedichino alla Cina e lascino perdere l'Europa".
La politica slovacca, di cui fino a pochi giorni fa non sapevo assolutamente nulla, si sta rivelando parecchio intrigante. In particolare, ho chiesto a Martin notizie su Peter Pellegrini, che ho visto spesso sui manifesti elettorali e che mi è rimasto impresso a causa del cognome italiano. "Adesso è a capo di un partito di orientamento socialdemocratico, mentre prima faceva parte dello stesso partito di Fico. La separazione è dovuta anche al fatto che Fico ha deciso di cavalcare le tendenze nazionaliste e populiste così di moda, sfruttando la rabbia che l'opinione pubblica ora prova a causa della crisi economica. A proposito, what about Meloni's government in Italy?"

In circa tre ore di tour della città, questa guida turistica paffuta dall’ironia discutibile si è molto concentrata sulle architetture medievali, sulle aree archeologiche, sulla cultura degli ebrei e perfino sul cibo tipico, ma poco sulla storia del Novecento. Quando le chiedo se c’è anche qualche lascito del periodo comunista in città, risponde che vista la guerra in corso non le sembra corretto discutere di questo argomento, e comunque – taglia corto – non è rimasto granché dell’epoca.
La sera sto tornando all'appartamento che ho affittato, quando dalla finestra affacciata sul ballatoio che conduce alla mia porta scorgo un ragazzo che, non appena mi vede, mi saluta con una certa emozione: "Ciao, come stai? Sono Paolo, ho imparato un poco italiano quando lavoravo in Croazia".
Paolo, che in realtà si chiama Pavol, è il figlio della padrona di casa e di parole italiane non ne sa molte altre. Pavol si è laureato in storia pochi mesi fa e ci tiene un sacco a farmi vedere la sua tesi sulla Rutenia subcarpatica, questa regione che per un breve periodo felice ha fatto parte della prima Cecoslovacchia, ma poi dopo la seconda guerra mondiale è stata inglobata nell'URSS e oggi fa parte dell'Ucraina. "Purtroppo nessuno dei due stati ha mai riconosciuto la sua autonomia", ha detto Pavol sconsolato.
Poi abbiamo parlato per un po' di vari temi storici e politici ("What about Meloni's government in Italy?"), e alla fine, su questo balcone sgarrupato, sotto un cielo pieno di stelle, mi ha detto sospirando: "Speriamo che Trump non vinca le prossime elezioni, se no noi siamo spacciati".

Il contributo più importante che mi ha offerto il malinconico Pavol è stato rivelarmi l’esistenza di un Museo delle vittime del comunismo, nuovo di zecca e situato in centro. Il mio programma era lasciare Košice di buon'ora per dirigermi verso gli Alti Tatra, ma rimando di qualche ora la partenza e alle 8 di mattina sono già in via Moyzesova presso il Múzeum obetí komunizmu. T. mi accoglie negli spazi museali, che non sono enormi, ma sono organizzati in modo sobrio e tecnologicamente all’avanguardia; apprezzo in particolare la stampa sulle pareti che rappresenta una rete bianca su fondo nero, in alcuni punti slabbrata a rappresentare il tentativo di aprirla e romperla, quella rete.
T. ha studiato storia e italiano (lingua che è contentissimo di usare per parlare con me); fino a poco tempo fa lavorava alla Regione, ma appena è venuto a conoscenza di questo progetto, ha deciso di venire a lavorare qui. Quando gli ho detto che nessuno conosce questo museo, compreso l’impiegata del Museo dell’olocausto di Sered’, il funzionario del Museo della rivolta nazionale slovacca di Banska Bystrica e persino la guida turistica di Košice che mi aveva risposto in maniera così assurda, T. ha ammesso che il governo non ha mai voluto riaprire più di tanto questo tema, fondamentalmente perché al potere, dopo il crollo del regime, sono rimaste le stesse persone di prima. "Un po’ come voi in Italia con il fascismo... A proposito, che mi dici del governo Meloni?" Poi ha continuato: "Considera che in Cecoslovacchia dopo il ‘68 il regime fu molto più pesante rispetto a quello ad esempio dell'Ungheria, qui c’era una vera e propria occupazione. Robert Fico e altri politici dopo la fine del comunismo erano quelli che avevano i soldi e solo quelli con i soldi hanno potuto fondare dei partiti. D’altra parte sia Fico sia lo stesso Orban prima erano più liberali, ma poi hanno verificato quanto una consistente parte dell'opinione pubblica sia disinformata, e si sono buttati su quella parte.”


LE VITTIME DEL COMUNISMO HANNO APERTO LA STRADA VERSO LA LIBERTÀ DI OGGI.

Alti Tatra

Poprad

Piešťany

Vienna

Anche le altre due serate trascorse a Vienna, alla fine del viaggio, sono state particolarmente favorevoli alla socialità. In uno dei bar allineati lungo il vacanziero Donaukanal ho conosciuto Mateus, questo ragazzo carinziano che, tra un cliente e l'altro, mi voleva raccontare per forza la storia dei due tipi che da Vienna sono riusciti ad arrivare in treno in Corea del Nord, e che poi mi ha comunicato con amarezza che il suo locale sarebbe stato chiuso definitivamente dopo pochi giorni; è stato lui, tra l'altro, a dirmi che in realtà non è tanto che gli slovacchi amano l'Italia (come gli stavo raccontando io), quanto che amano qualunque paese che non sia il loro. C'è un altro personaggio interessante che ho conosciuto a Vienna, anzi più esattamente a Grinzing. Quando ero stata in questo sobborgo, moltissimi anni fa, era una meta molto gettonata, ma questa volta mi è sembrata nient'altro che una tipica destinazione di viaggi di gruppo, piena di grandi autobus parcheggiati lungo la strada; non a caso questo spagnolo era il tour leader di una comitiva proveniente dal sud e centro America e stava mangiando da solo il cibo poco allettante di questa tipica vineria di Grinzing. Io me ne sarei anche tornata subito in centro, se non fosse stato che dovevo caricare il cellulare, così nell'attesa avevo ordinato un bicchiere di pessimo vino rosso. Quando il gruppo ha terminato la cena, sono salita anch'io sull'autobus che ci portava in centro, mentre Gonzalo prendeva il microfono e dava qualche coordinata ai messicani, cileni, ecuadoregni del suo gruppo, molti dei quali non avevano ancora capito in quale Stato si trovassero, visto che la tabella di marcia era piuttosto serrata: il giorno dopo sarebbero andati a Lubiana, il giorno prima erano in Germania e io capisco che questo possa creare parecchia confusione.

Per dormire, ho avuto la fortuna di scovare nelle vicinanze del Prater un posticino piuttosto chic, vicinissimo alla metropolitana, che costava solo 50 euro a notte. Grazie all'abbonamento ai mezzi pubblici della durata di tre giorni, molto conveniente, ho girato in lungo e in largo nella capitale austriaca. Vienna è una città che non se la tira, ha molti spazi verdi e soprattutto possiede una quantità di musei che non basterebbe un mese a visitare, figuriamoci tre giorni; dunque ho dovuto effettuare una severissima selezione. A parte il museo di storia, il primo della lista è naturalmente il Kunsthistorisches Museum, ospitato in un maestoso edificio e sede dell'immensa collezione di opere d’arte messa insieme dagli Asburgo. Salendo l'imponente scalone di marmo si accede alla collezione egizia e del Vicino Oriente, che posso percorrere rapidamente dichiarando in anticipo la mia abissale ignoranza: mi sono soffermata un po' di più solo sugli originali sandali egizi, sul plastico di Giza (che avevo visitato una vita fa) e sull’ippopotamo in ceramica turchese che era segnalato nel depliant. Anche in merito alla collezione di arte antica non sono superspecializzata, comunque il gioiello della collezione del Vicino Oriente è il leone della porta di Ishtar proveniente da Babilonia e quello dell'arte romana la gemma augustea, un cammeo realizzato incidendo un pezzo di onice. Maggiore interesse riscuote per la sottoscritta la kunstkammer, il gabinetto d’arte e curiosità che rappresenta il nucleo originario del museo: l’enorme collezione occupa venti sale e raduna migliaia di opere preziosissime, ma anche originali, e permette di ripercorrere la mitica epopea degli Asburgo. Al piano superiore c'è invece la pinacoteca, divisa in due parti: nell’ala orientale la pittura olandese, fiamminga e tedesca (Dürer, Rubens, Rembrandt, Vermeer, van Dyck e soprattutto Bruegel); in quella occidentale, le opere dei maestri della pittura italiana, spagnola e francese (Raffaello, Caravaggio, Velázquez).

Il Museo Leopold è il più visitato del MuseumsQuartier e ospita l'immensa collezione creata da Rudolf ed Elisabeth Leopold, oggi parte della mostra “Vienna 1900. La nascita del Modernismo”, dedicata a un periodo di grande rinnovamento in moltissime discipline. Nel 1897 Gustav Klimt ed altri artisti fondarono la Secessione di Vienna, che aveva sede nel bellissimo palazzo omonimo; con essa collaborò la Wiener Werkstätte, specializzata in mobili e opere decorative, anch'essi esposti nel museo. Per quanto riguarda Gustav Klimt, della collezione fa parte una delle sue più grandi opere allegoriche, “Morte e Vita”, ma anche i tre dipinti realizzati per l'Università di Vienna, che all'epoca furono ferocemente attaccati scatenando un vero scandalo; anche il loro destino è piuttosto singolare, in quanto i nazisti li sequestrarono dai loro successivi proprietari, li depositarono in un castello della Bassa Austria e li distrussero poco prima dell'invasione dell'Armata Rossa nel maggio 1945. Il più dotato dei discepoli di Klimt era Egon Schiele, di cui il Museo Leopold ospita la collezione più grande e importante al mondo. Durante la sua breve vita (morì a 28 anni) Schiele realizzò circa circa duecento autoritratti e moltissime opere dedicate allle donne più importanti della sua vita, come la modella diciassettenne Wally Neuzil, con cui aveva una relazione quando fu arrestato con l'accusa di abuso su minore, o come sua moglie Edith Harms: il loro matrimonio durò solo tre anni poiché entrambi morirono prematuramente di influenza spagnola.

Su un divano è stesa l'inquietante bambola a grandezza naturale sul modello di Alma, la vedova di Mahler, con cui Kokoschka ebbe una storia d'amore. A quanto pare a un certo punto la innaffiò col vino e la decapitò. Simbolico no? Rispetto agli altri discepoli di Klimt e pionieri del Modernismo, Oskar Kokoschka visse molto più a lungo (morì a 93 anni) e partecipò a molti altri eventi: per esempio durante la seconda guerra mondiale venne considerato un cosiddetto "artista degenerato". L’altro artista chiave dell'espressionismo austriaco fu Richard Gerstl, il cui "Autoritratto nudo" anticipa quella "tematizzazione dell'io attraverso la rappresentazione nuda dei corpi degli artisti" che poi diventerà molto frequente tra i pittori della loro comitiva. Gerstl aveva una relazione con la moglie del compositore Arnold Schönberg, quando il marito se ne accorse litigarono e insomma poche settimane dopo la realizzazione dell'autoritratto l'artista si suicidò, a soli 25 anni. Nel 1918 l’Impero finì e nacque la repubblica, molti dei principali protagonisti del Modernismo viennese – come abbiamo visto – erano morti, l'instabilità economica incoraggiò l'autoritarismo e le ideologie fasciste fino all'Anschluss: insomma il fertile suolo della Vienna fin de siècle rimase completamente incolto.

Mozart cambiò spesso casa a causa dei suoi alti e bassi finanziari, ma anche per i problemi con i vicini, dovuti alla musica e al chiasso familiare; l'unica delle sue case rimasta in piedi fino ad oggi si trova in Domgasse 5 ed oggi ospita il museo Mozarthaus (Casa di Mozart). Mozart e la sua famiglia vivevano al primo piano dell’edificio, ma anche i piani superiori sono stati trasformati in sale espositive. Il terzo piano è dedicato alla città di Vienna, che negli anni ’80 del Settecento era in rapida crescita, con una scena musicale fiorente; inoltre viene messo in luce il legame che Mozart aveva con le idee della Massoneria e si racconta la sua predilezione per la vita sociale e il suo amore per i balli, il gioco d’azzardo, la moda ecc. Il secondo piano ci racconta la musica di Mozart attraverso strumenti, spartiti e manifesti delle prime rappresentazioni, inoltre ci fa conoscere degli aneddoti sulla sua collaborazione con Lorenzo da Ponte e ci mostra una sezione dedicata all’ultima opera, il Requiem. L’appartamento al piano nobile si estende su una superficie di circa 177 metri quadri ed è costituito da quattro stanze, due stanzini e una cucina, dove vivevano Mozart, la moglie Constanze, il figlio Karl Thomas, il cane Gauquel, il loro canarino e la servitù: nel periodo in cui visse qui l'artista era all’apice della carriera e compose alcune delle sue operi migliori. Anche se gli arredi non sono gli originali, in ogni stanza sono presenti mobili che Mozart avrebbe potuto possedere.

A parte i musei, sono tornata a Schönbrunn, ma senza entrare nel castello Patrimonio dell’Umanità, questa volta. Oltre agli Asburgo, anche Napoleone si stabilì qui quando occupò Vienna; pochi anni dopo sposò la figlia dell’imperatore, Maria Luisa. I favolosi giardini invitano a passeggiare lungo i sentieri che costeggiano le rovine classicheggianti, prima di raggiungere la Gloriette, da cui si gode una vista favolosa del palazzo con la città sullo sfondo. Nei paraggi sorge il cimitero di Hietzing, dove riposano esponenti illustri della Secessione viennese come Gustav Klimt e Otto Wagner, ma anche Engelbert Dollfuss, il leader dell’austro-fascismo assassinato nel 1934, e il compositore Alban Berg. I cimiteri di Vienna sono considerati parchi in cui si va anche a fare jogging e dove con un po' di fortuna si può incontrare un cerbiatto come è accaduto a me. Il Zentralfriedhof è uno dei cimiteri più grandi d'Europa: per raggiungerlo ho preso la linea del tram 71 e ho poi scoperto che quando un viennese dice ‘Er hat den 71er genommen’ (‘Ha preso il 71’) usa una metafora per comunicare che la persona in questione è giunta al capolinea. Accanto a celebri compositori come Beethoven, Brahms, Johann Strauss padre e figlio e Schubert, qui riposano il pittore Hans Makart, lo scultore Fritz Wotruba, l’architetto Adolf Loos, la pop star degli anni ’80 Falco e lo scrittore Arthur Schnitzler.

Una stupenda eccezione all'architettura classica di Vienna è rappresentata dall'inconfondibile Hundertwasserhaus, un complesso di edifici dal design singolare risalente agli anni Ottanta, opera dell’artista indipendente Friedensreich Hundertwasser, che amava le superfici diseguali, le linee curve, i colori sgargianti, le decorazioni a mosaico, le forme organiche. Un'altra cosa che mi è piaciuta molto sono le tipiche gasthaus dove ho avuto modo di assaporare la Wienerschnitzel e il gulasch.
L'ultimo giorno le temperature sono crollate e sono contenta di avere il volo di ritorno in serata, visto che non ho nulla di pesante nello zaino. Il suddetto volo poi è partito con circa quattro ore di ritardo e Ryanair mi ha mandato piuttosto rapidamente un bel regalino di 250 euro per farsi perdonare, ciliegina sulla torta di un viaggio perfetto.

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