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Natale a Betlemme

L'autobus 231 segue un itinerario non propriamente lineare e poi mi lascia sulla strada principale di Betlemme, distante solo dieci chilometri da Gerusalemme; qui vengo accolta con entusiasmo da un manipolo di tassisti palestinesi insistenti ma simpaticissimi che vorrebbero accompagnarmi alla chiesa della natività. Ma io sto andando dalla parte opposta, e comunque sono pochi minuti a piedi e preferisco camminare. 
Avevo prenotato con molto anticipo un letto al "Walled Off", l'hotel progettato da Banksy, che è un posto meraviglioso dove consiglio di andare anche solo per una visita. Lo stesso street artist lo ha definito "l'hotel con la vista più brutta del mondo" perché sorge di fronte alla barriera di separazione israeliana, che è lunga oltre 700 km ed è stata costruita dal governo israeliano a partire dal 2002, dopo che numerosi attentati compiuti da palestinesi avevano fatto molte vittime negli anni precedenti.
Ci sono 9 stanze, compresi un elegante dormitorio con letti a castello e una suite presidenziale, un ristorante e un piano bar arredato "come un avamposto coloniale di quei giorni inebrianti del 1917 quando la Gran Bretagna occupò la Palestina", per citare il sito web dell'albergo. Ovunque sono disseminate preziose opere d'arte, murales ed installazioni. L’hotel dispone inoltre di una galleria in cui sono esposte opere di artisti palestinesi, sia noti sia emergenti, e di un museo, curato in collaborazione con un professore universitario, dedicato alla pluridecennale storia dell'occupazione: un deposito di storie, manufatti e testimonianze, drammatici e ironici allo stesso tempo.
Quando è arrivato Moh stavo sulla terrazza, chiacchierando piacevolmente con un italiano che lavora a Ramallah in una ONG e con la moglie e i due figli che erano andati a trovarlo per le vacanze. Avevo già visitato il museo e la galleria d’arte, avevo già comprato una maglietta con scritto "Make hummus, don't make walls" e avevo chiacchierato con il tizio che vende il caffè accanto al muro, proprio di fronte ai due angeli di Banksy che fanno il gesto di separare due lastre di cemento: per questo lui e i suoi nipoti si mettono in posa nello stesso gesto degli angeli, facendo autoironia sulla loro condizione di murati fuori.
Moh è una guida turistica che mi porterà un po' in giro per la città. Nel frattempo che arrivassero gli altri partecipanti ci siamo messi a parlare di tanti argomenti e a un certo punto è venuto fuori il tema dei matrimoni gay, che lui, anche se è di mente molto aperta e ogni giorno fa da guida a turisti di tutto il mondo, mi ha chiesto perché mai, secondo me, dovrebbero essere consentiti. "Se a scuola parli dell’omosessualità agli studenti, poi non c’è il rischio che li influenzi?" mi ha poi domandato sinceramente perplesso. La nostra conversazione è stata provvidenzialmente interrotta da Yolanda, una delle ragazze che si erano prenotate per questo free walking tour. Yolanda è spagnola ma vive ad Amman dove lavora con una ONG che si occupa dei rifugiati palestinesi: vivendo in un paese arabo, conosce meglio di me le differenze culturali che a volte rendono la vita complicata per noi europei, ma anche il suo approccio con Israele non è stato idilliaco perché si è trovata subito nella classica conversazione con sionisti, per questo ha abbandonato immediatamente Gerusalemme e se n’è andata a Ramallah, che le è piaciuta da morire.
Quando arrivano tutti i partecipanti, il gruppetto si avvia a piedi per il tour. Costeggiamo il famigerato muro di cemento che oggi è diventato una galleria d'arte a cielo aperto, passiamo vicino all'Ayda Camp e a un certo punto in lontananza Moh vede del fumo e ci propone di cambiare itinerario. Molti palestinesi vivono in campi profughi come questo, in periferia: in genere si tratta di veri e propri quartieri, anche se malandati, che in alcuni casi possiedono anche infrastrutture turistiche. A volte la tensione tra dimostranti e soldati israeliani esplode improvvisamente, l’aria si riempie di lacrimogeni e vengono lanciati sassi e sparati proiettili di gomma. D’altra parte nessuno di noi è coreano e dunque non siamo stati allenati durante il servizio militare a sopportare i gas senza piangere, aggiunge simpaticamente Moh, facendo riferimento al partecipante coreano di un tour precedente. Decidiamo di procedere comunque, ma è meglio non entrare nel campo.
La barriera ha un impatto devastante sulla vita quotidiana di molte persone, non solo perché rende l'accesso a Gerusalemme e a Israele difficile, ma anche a causa delle cosiddette “colonie”, che i governi israeliani da decenni continuano ad espandere e che oggi contano centinaia di migliaia di persone in Cisgiordania e Gerusalemme est, infatti diversi tratti di muro girano intorno a questi insediamenti, separando i palestinesi dalle proprie comunità e dai luoghi di vita e di lavoro. Non a caso, i palestinesi lo chiamano ‘muro dell’apartheid’.
Raggiunto il centro storico con un van, assaggiamo fragole e datteri acquistati alle bancarelle e percorriamo le vie di questa tipica località araba, finché cominciano a comparire stelle comete, decori natalizi e un albero di Natale gigante in lontananza. La piazza principale è affollata di turisti religiosi, su cui da secoli Betlemme fonda la sua economia. Entriamo nella chiesa di Santa Caterina, dove ieri si è celebrata la messa di mezzanotte trasmessa dalle TV di tutto il mondo: essa dura 5 ore ed è così affollata che bisogna prenotare almeno un anno prima. Attraversiamo il chiostro francescano per entrare nella contigua basilica della Natività, fatta costruire dal solito imperatore Costantino ma poi ricostruita molte volte. Il punto esatto in cui, secondo la tradizione cattolica, sarebbe nato Gesù si trova nella grotta ed è indicato da una stella d’argento a 14 punte. Nella grotta pare ci siano anche la cappella della mangiatoia e l’altare dell’adorazione dei magi, ma io non ci sono andata nel seminterrato perché non avevo nessuna voglia di fare la fila. Anche qua come a Gerusalemme la gestione del posto è suddivisa al millimetro tra le varie confessioni cristiane, che nei secoli hanno spesso litigato tra loro. Per uscire usiamo la Porta dell’Umiltà, che si chiama così perché è così piccola che bisogna chinare la testa per passare. 
Di fronte alla chiesa della Natività si trova la moschea di Omar, l’unica presente nella città vecchia di Betlemme. I cristiani oggi sono meno di un quinto e continuano a diminuire; anche per loro, come per tutti i palestinesi, la vita non è facile. Sem sul famoso sherut per Gerusalemme lo aveva ripetuto più volte, aggiungendo che non hanno il passaporto blu e dunque non possono partire dall'aeroporto Ben Gurion, ma solo da quello di Amman.
Finito il tour, Moh ci saluta e così resto con Yolanda (la spagnola che vive in Giordania), Ana (una canadese di origine dominicana) e un'americana di cui ho capito solo che ha antenati ebrei. Dopo un'accurata analisi delle sparute possibilità di aperitivo nella città vecchia, torniamo al Walled off hotel per bere della birra locale (in Cisgiordania si producono la Taybeh e la Bet Lehem) e poi a cena in un ristorante nei paraggi, Abu Eli, dove ci ingozziamo di kebab di agnello. Per tutta la sera continua a diluviare, mentre noi, quattro donne di cultura cristiana nate nella parte privilegiata del mondo, confrontiamo le nostre vite così diverse, che si svolgono in quattro posti molto lontani l'uno dall'altro.

Racconto di viaggio "LA LA HOLY LAND. Natale in Israele e Palestina"