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Il Vietnam è la nostra coscienza

Il War Remnants Museum di Saigon è dedicato a quella che noi abbiamo sempre chiamato Guerra del Vietnam, ma che qua è definita giustamente “guerra americana”. Subito nel cortile ci si imbatte in una ghigliottina (simpatico souvenir dei francesi), in altri strumenti di tortura e in una cella ricostruita, con tanto di statua di prigioniero in catene; i pannelli danno informazioni in merito alle carceri vietnamite (come quella dell'isola di Phu Quoc) usate per imprigionare i “soldati patrioti”, i quali “resistettero eroicamente per la libertà del paese”.
Entrando nell’edificio apprendo che la guerra di aggressione americana è finita da più 40 anni ma gli effetti rimangono ancora oggi, infatti essa non solo ha causato, nei 30 anni di svolgimento, milioni di morti e feriti, ma non bisogna dimenticare le decine di migliaia di persone colpite da mine e altro materiale esplosivo dopo il 1975. I vietnamiti, si sottolinea, nonostante tutti gli ostacoli, non hanno mai mollato e continuano a combattere per superare le difficoltà e vivere la loro vita con ottimismo, cercando di essere membri produttivi della società, tanto che sono diventati degli esempi positivi anche fuori dal paese. Attraverso le storie delle vittime della guerra – concludono – il museo vuole mostrare che il Vietnam e i suoi abitanti nel periodo postbellico hanno ricostruito una nuova e bellissima nazione. Tutti tranne i milioni di cittadini del sud che dopo la riunificazione furono considerati collaboratori e traditori e finirono nei campi di rieducazione o furono deportati nelle campagne oppure fuggirono all'estero (ma questo naturalmente non viene scritto sui pannelli del museo).
Nelle sale molto materiale testimonia il supporto di tutti i paesi del mondo al Vietnam brutalmente aggredito, compresa l’Italia. Anche tanti americani hanno protestato contro la guerra e proprio a loro Ho Chi Minh indirizzò un telegramma in occasione del Capodanno 1968, ribadendo che il governo americano non soltanto stava distruggendo il Vietnam, ma allo stesso tempo mandava a morire i suoi giovani soldati e dilapidava insensatamente miliardi di dollari. Un cartellone molto ironico presenta in inglese e vietnamita la frase tratta dalla Dichiarazione di indipendenza americana del 1776, in cui si sostiene che tutti sono uguali e tutti hanno diritto alla vita, alla libertà e al conseguimento della felicità. E arrivando ai giorni nostri, una foto rappresenta l’incontro di Obama con il segretario del partito comunista vietnamita, avvenuto nel 2015. Molte altre immagini di fotografi famosi sono appese alle pareti, fra cui la celebre “Napalm girl”, scattata non lontano dal tempio Cao Dai, mentre lunghi elenchi e cartine tengono il conto dei danni arrecati dagli americani a cose e persone. La cosa curiosa è che il materiale sembra provenire quasi tutto dall’estero, in particolare proprio da riviste e agenzie americane. La sala dedicata alle armi chimiche, e in particolare all’utilizzo spropositato dell’agente orange, è adatta solo agli stomaci forti. Alle 12 suona una specie di allarme e tutti se ne vanno: uno dei guardiani mima l’ora di pranzo.

Fuori dal museo, gli abitanti della metropoli conducono la solita vita di sempre: praticano tai chi e arti marziali nei parchi, giocano a badminton con o senza racchetta, seduti sulle loro minuscole sedioline si ingozzano di pho presso i baracchini. E forse, ipnotizzati dal loro smartphone, non si chiedono più in nome di cosa sono morti tutti quei loro antenati (anche perché la maggior parte dei vietnamiti di oggi sono nati dopo il 1975 e per loro sono fatti davvero lontani). Intanto, ai lati delle strade, migliaia di coloratissimi manifesti di propaganda celebrano “calorosamente” la festa nazionale della Repubblica socialista del Vietnam, l'86° anniversario della rivoluzione vietnamita o il 55° anniversario della tradizionale giornata della polizia antincendio. Le parole governative invitano gli scolari a studiare e i membri del partito a competere per ottenere risultati eccellenti. I giovani col caschetto antinfortunistico, i soldati col fucile, i marinai col binocolo, gli scolari e le maestre davanti alla lavagna, tutti questi personaggi disegnati sui cartelloni svolgono il loro compito con convinzione, circondati da falci e martelli, stelle gialle, campi di girasoli, tralicci della corrente. E in alto, dentro a un fiore di loto, campeggia la faccia da tenero nonnino di Ho Chi Minh.

Racconto di viaggio "MADE IN VIETNAM" 

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