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UNA DELIZIOSA MACEDONIA

Nord Macedonia, Grecia e Albania in solitaria

La regione geografica della Macedonia è attualmente suddivisa tra la la Bulgaria (dove sono atterrata), la Macedonia del Nord, la Grecia, l'Albania (le tre tappe del mio viaggio) e la Serbia (dove andrò un'altra volta).
Come l'omonima insalata di frutta, questa regione è un gustoso mix di etnie, lingue, religioni, ma anche monete e alfabeti che cambiano ad ogni frontiera che passo. 

Macedonia del Nord

Sono entrata in Macedonia del Nord attraverso la frontiera bulgara di Gyueshevo, a bordo di un autobus proveniente da Sofia. Le procedure di controllo sono lunghe e minuziose, infatti a ciascuno viene chiesto di scendere e mostrare il contenuto dei propri bagagli.
Prendo atto che la connessione dati non funziona più e subito facciamo sosta in un autogrill macedone: noi passeggeri guardiamo con incredulità una lunghissima fila di giapponesi che attende, senza sbuffare, di usufruire dell’unica toilette. La coda è così lunga che non ci entrano tutti nel piccolo locale.
Dalla stazione degli autobus di Skopje mi sono incamminata verso il centro costeggiando il fiume Vardar. Che razza di città è questa, piena di statue, lampioni dorati, cupole bianche, mosaici, colonnati e frontoni triangolari da tempio greco, capitelli neoclassici e galeoni adibiti a ristoranti? Sarà l’afa, la stanchezza della sveglia presto, oppure l’uggia di un intero pomeriggio di pioggia nella capitale della Bulgaria (e anche sicuramente i margarita della sera precedente), ma insomma mi fa un certo effetto questa capitale della Macedonia.

Bisogna poi tener presente che, dopo aver bevuto due caffè orientali con la posa, a una certa ora ho avuto il coraggio di raggiungere il quartiere ottomano, che poi è identico spiccicato (anche se più piccolo) alla Baščaršija di Sarajevo e a tanti altri quartieri ottomani del Kosovo, dell’Albania, della Bosnia e ovviamente della Turchia. Ci sono le moschee, i negozi di gioielli d’oro e di vestiti da cerimonia molto brutti e pacchiani, c’è una gigantografia di Erdogan sulla parete di un edificio, e poi c’è l’odore dei kebab; e quindi me ne mangio un piatto anch’io di queste polpette arrosto speziate che chissà quanto ci metterò a digerirle. I tavoli di legno sono sistemati intorno a una fontana, dentro la fontana ci sono un melone e un cocomero e la birra si chiama Skopsko, o meglio Скопско perché qui usano l’alfabeto cirillico. Scopro per la prima volta questa fissazione dei camerieri macedoni che devono fare i galanti per tutto il tempo che sto lì al tavolo a ingozzarmi di polpette speziate e grossi boccali di lager. 
Quando diventa buio la fortezza che domina la città si illumina di giallo e anche il ponte di pietra e le fontane e i palazzi neoclassici e i lampioni parigini si accendono, e in piazza Macedonia si attivano le fontane da terra che cambiano colore e altezza e i bambini e ragazzi ci corrono in mezzo come forsennati, alcuni infradiciandosi completamente, e in alto domina una colossale statua equestre di Alessandro Magno che però maisia lo chiami così, i greci si incazzano.

Io ho questo problema che siccome mi interessano esageratamente le storie della gente a volte rischio di cacciarmi in situazioni indesiderabili per questo. E insomma sono lì che passeggio sul lungofiume, dove si susseguono ristoranti spagnoli, cubani, italiani e pub irlandesi eccetera, quando incontro questi due tizi che stanno eseguendo una canzonetta tradizionale con la voce e la darbuka. Si dà il caso che io adori la darbuka e che quello che la sta suonando abbia pochissimi denti. L’altro dimostra 15 anni più di me e anche più di sé stesso, visto che siamo coetanei. Questo fatto che dimostra più anni vuol dire che gli sono successe tante esperienze e infatti comincia a raccontarmele, non prima però di aver comprato qualche birra economica al supermercato e anche un cartone di vinaccio bianco per alcuni suoi soci. I soci sono abbastanza loschi, devo essere onesta; molti parlano italiano perché hanno vissuto in Italia ma ora per ragioni incomprensibili hanno fatto tutti ritorno al loro paese. Uno di loro mi confessa di aver imparato a fare le rapine in Sicilia, che è una competenza che penso gli sia stata utile pure qui a Skopje. Non credo che qualcuno di loro abbia un lavoro e comunque è meglio non voler sapere tutto tutto, a volte. Il mio coetaneo che dimostra 15 anni più di me mi porta a distanza di sicurezza dai membri della sua crew, perché là tutti volevano parlare con me, gli zingari volevano estorcermi del denaro e lui così non riusciva a dirmi la sua storia. La sua storia poi me l’ha detta su una panchina non molto distante ed è la storia di una ditta che aveva aperto in Piemonte insieme a una donna italiana, la quale però poi si era rivelata una brutta persona perché lo aveva truffato e gli aveva fregato tutti i soldi ed ecco perché a un certo punto lui è tornato qui a Skopje invecchiato di 15 anni. Poi purtroppo le altre storie non ha potuto raccontarmele perché due degli amici di prima, che non avevano mandato giù il fatto che io con loro non ci avevo parlato molto, sono riusciti a scoprirci così loro tre hanno cominciato a litigare e io me ne sono andata.

Questo fatto di attraversare le vite degli altri, in paesi come la Macedonia o l’Albania ti viene servito su un vassoio d’argento. Per esempio sempre a Skopje sono andata in questo locale dove c’è un concerto jazz bello ed emozionante. Ovviamente in pochi minuti mi sento subito amica per la pelle di tutti quelli seduti ai tavoli che stanno provando le stesse emozioni mie, quelle tipiche che puoi provare quando ascolti un certo tipo di jazz suonato da musicisti bravi ed empatici, che poi se sono macedoni è ancora meglio. E insomma quella sera ho conosciuto Miki, questo pianista di 70 anni che però ne dimostra 15 di meno. Non a caso vive a Toronto e non in Macedonia, e ora si trova in vacanza a Skopje, che poi sarebbe la sua città natale. Miki, che è davvero simpaticissimo, mi racconta che ha l’abitudine di dare da mangiare ai cani della sua strada a orari particolari, come ad esempio alle 3 e mezza di notte.

A parte conoscere le storie degli abitanti di Skopje ho un’altra questione urgente da sbrigare, ossia capire il mistero di questa città piena di centinaia di statue e di grandiosi edifici dal mix stravagante di stili architettonici. Per scoprirlo mi affido a un certo Vasco, che fa la guida turistica anche se prima aveva un altro lavoro. Vasco prima di tutto ci tiene a informarci che da febbraio questo Paese non si chiama più Macedonia bensì Macedonia del Nord, infatti fin dal giorno della sua indipendenza i greci non avevano mai apprezzato il fatto che questi slavi si fossero appropriati della loro gloriosa storia, usando il nome e anche la bandiera con il sole simbolo della dinastia di Filippo il Macedone. E comunque se non cambiavano nome era automaticamente esclusa la possibilità di entrare nell'Unione Europea e pure nella NATO, un giorno.
In merito a Skopje e alla questione urgente, finalmente ho saputo da Vasco che negli ultimi anni è stata sottoposta ad un restyling senza precedenti grazie a un progetto governativo che si chiama “Skopje 2014”, per il quale è stata sprecata un’ingente spesa pubblica con l’obiettivo di mostrare a tutti le sue illustri origini storiche e renderla una città appetibile ai turisti. A quanto pare però, terminato il mandato del sindaco che aveva fortemente voluto i lavori, tutto è rimasto bloccato e nessuno oggi sa cosa fare. A giudicare dal livello di povertà che si vede in giro, sembrerebbe un’operazione moralmente eccepibile e infatti moltissimi macedoni si sono parecchio indignati.
Vasco poi ci porta a visitare i luoghi di Madre Teresa di Calcutta, l’arco di trionfo, molte altre statue, un negozio di ascensori unico nel suo genere, gli edifici socialisti e anche la vecchia stazione ferroviaria, ora adibita a museo cittadino: sulla sua facciata si trova l’orologio le cui lancette sono ferme all'ora in cui il catastrofico sisma del 1963 si abbatté sulla città, cioè le 5,17 di pomeriggio.

A Skopje sono rimasta un giorno in più per andare al Canyon Matka, un luogo ameno fuori porta dove i macedoni fanno piacevoli gite, bagni, giri in barca e pranzi al sacco. E comunque fa caldo e non ho voglia di viaggiare e ho i miei pensieri da governare. Il pilota della barca che ci porta alle grotte si chiama Jango, ha trent’anni e gli occhi azzurri. Con grande agilità, tra una manovra e l’altra trova il tempo di presentarsi, darmi il suo numero e invitarmi ad andare con lui alla Croce del Millennio. Io ci avevo provato il giorno prima ad andarci ma l’autobus non era mai passato e allora gli dico di sì e la sera viene a prendermi con una bella auto Mercedes e facciamo scorta di cose da mangiare e bere (non alcoliche perché lui è musulmano albanese) e con la musica macedone (o forse albanese) a tutto volume ci arrampichiamo sul Monte Vodno fino a questa gigantesca spettacolare croce tutta tempestata di lucine che ora posso vedere sopra di me e poi, osservando tutta Skopje illuminata dall’alto, devo ammettere che a un certo punto mi viene un sacco da ridere.

Nonostante Skopje mi abbia dato molte soddisfazioni, o forse proprio per questo, è arrivato il momento di spostarmi nella seconda località più nota della Macedonia ovvero Ohrid, che sorge sul lago omonimo. Questo lago è sempre citato insieme al suo vicino lago di Prespa, anche se credo che sul lago di Prespa non ci siano cittadine altrettanto affascinanti. Il lago di Ohrid è uno dei laghi naturali più antichi e profondi d'Europa e poi è pulitissimo al punto che tutti dicono che si può tranquillamente bere la sua acqua. Ci sono diverse spiagge che non hanno nulla da invidiare alle spiagge sul mare tranne l’odore di salsedine, che ovviamente non c’è; l’affitto dei lettini costa pochissimo e ti può capitare di conoscere il titolare del lido che ti offre un bicchiere di rakija alle 11 di mattina.

Ohrid è una città molto vacanziera ma anche ricca di testimonianze storico-artistiche di grande interesse in quanto si tratta di uno dei più antichi insediamenti umani europei. Non a caso è inclusa insieme al lago nel patrimonio UNESCO, che poi chissà per quanto ancora lo sarà visto che l'abusivismo edilizio e l'inquinamento la stanno spingendo dritto dritto nell'elenco dei siti in pericolo.
Al monastero di San Pantaleone, che si trova sulla collina di Plaošnik, passo almeno una mezz’ora con questo tizio che si spaccia per guida turistica ma in realtà si arrangia come può. Aleksandar detto Alex ha la barba rossiccia e le lentiggini e mi racconta di San Clemente, un discepolo di San Cirillo e San Metodio, che fu lui a far costruire questo monastero. Qui c’era una specie di università dove gli studenti imparavano l’alfabeto glagolitico (un alfabeto molto carino creato da San Cirillo e San Metodio per tradurre la Bibbia in antico slavo ecclesiastico) ma anche la variante inventata da San Clemente, nota come alfabeto cirillico. A dire il vero non tutti concordano sul fatto che è stato San Clemente a inventare il cirillico, perché molti pensano che sia stato inventato in Bulgaria e non in Macedonia.
Esaurita la spiegazione del sito, grazie al mio famoso sorriso arrendevolissimo anche Alex non resiste alla tentazione di raccontarmi la sua storia e in pratica mi parla della sua ex con cui si è lasciato perché lei era troppo attaccata ai soldi e alle cose materiali mentre per Alex non sono queste le cose importanti della vita, ma sono tipo la bellezza, il lago, i mosaici, qualche sigaretta rollata di tabacco, al massimo un paio di birrette ma solo dopo una certa ora, e comunque in generale le emozioni.

Sono molto scenografici questi edifici sacri di mattoncini e mattonelle di coccio sullo sfondo blu del lago, anche di sera quando si accendono dei fari che li illuminano da sotto. Un altro monastero molto famoso affacciato sul lago si trova a 30 km a sud, vicino al confine con l'Albania, ed è intitolato a San Naum, anche lui discepolo di Cirillo e Metodio. Per andarci partecipo a una gita in barca che però prima si ferma alla Baia delle ossa, dove c’è un insediamento preistorico con le palafitte ricostruite. Non lontano dal monastero c’è un laghetto molto fotogenico dipinto impressionisticamente di riflessi colorati di alberi e barche, e in questo contesto bucolico ci sono alcuni ristoranti affollati di invitati ai battesimi e in uno di questi mi mangio una carpa che mi viene servita dall'ennesimo cameriere galante, il quale poi mi applica un generoso sconto e mi invita pure a bere un drink per quella sera, ma dico no.

A parte Skopje e Ohrid, non avevo la più pallida idea di quali altri posti valesse la pena di visitare in Nord Macedonia. Siccome però avevo programmato già da tempo di andare a Salonicco, la logica diceva di spostarmi verso il sud est del Paese. Kavadarci non è lontana dalla strada che collega Skopje al confine con la Grecia e ho deciso di fermarmici a dormire dopo aver letto che si trova nel cuore della regione vinicola di Tikveš e che ospita la più grande azienda vinicola dell'Europa sud-orientale, che comunque non ho potuto visitare perché bisognava prenotare prima e io non lo sapevo.
A Kavadarci è stata un'impresa trovare l’indirizzo del mio alloggio perché la mappa di google era sbagliata e inoltre il numero di telefono aveva il prefisso svedese, e insomma sono stata quasi un’ora a girare. La seconda parte della ricerca l’ho fatta insieme a una coppia che ha lasciato istantaneamente perdere le proprie faccende e si è dedicata al mio caso con una solerzia di cui ormai non mi meraviglio quasi più.
I padroni di casa non parlano una sola parola di una qualunque delle lingue a me note, ma mi mettono immediatamente in comunicazione con la figlia, che parla inglese e vive in Svezia, che poi sarebbe la vera manager dell’affitto delle camere ed ecco perché il numero era svedese.

La mattina dopo grazie a google traduttore sono riuscita a comunicare con i suoi genitori, i quali mi hanno procurato un taxi che mi avrebbe portato al lago artificiale Tikvesh. Secondo le notizie reperite in rete, esso avrebbe un carattere turistico-ricreativo, con molte case vacanze ed edifici alberghieri, e anche i miei padroni di casa se non ho capito male ritenevano che avrei potuto fare un bagno in un luogo ameno. E invece dopo 5 minuti ho chiesto al tassista di riportarmi indietro perché questo lago era davvero brutto e sporco, e alla fine dei conti l’unica cosa interessante è stato guardare i filari di vigneti.
A parte questo, a Kavadarci non è che ci sia granché da fare, l’ufficio del turismo non è in grado di darmi nessuna informazione utile e inoltre fa un caldo insopportabile per passeggiare senza meta come piace a me. Nell’afa del primo pomeriggio allora faccio una cosa un po’ cretina, cioè trovo un fruttivendolo molto grande e colorato e mi faccio preparare una ricca insalata di frutta, e tutto ciò soltanto per farmi scattare una fotografia e intitolarla “deliziosa la macedonia”.

A quel punto mi metto su un autobus che mi porta a Gevgelija, a tre chilometri dalla frontiera con la Grecia.
A Gevgelija assaggio il buonissimo vino rosso della cantina di Tikveš, vado a un concerto rock e dormo in un albergo un po’ equivoco situato di fronte a uno dei tanti casino. Il giorno dopo mi faccio portare alle terme di Negorci che in pratica è un grande hotel d'altri tempi circondato da un parco e frequentato da anziani. A quanto pare l'acqua termale di questo centro specializzato ha effetti curativi provati scientificamente grazie a tutti i minerali che contiene.
Usufruire dei servizi del centro non è facile visto che nessuno parla inglese e sto là seduta sul divano un sacco di tempo ad aspettare qualcuno che mi aiuti. Poi appare questa signora anche lei anziana che parla inglese perfettamente e in men che non si dica sono nell’ambulatorio, probabilmente passando avanti a non si sa quante persone, e insomma mi misurano la pressione e poi mi mandano nella stanza dei massaggi. La mia fortuna è che il giovanissimo dottore parla molto bene l'italiano ed è così contento che io sia là in quel posto di soli vecchi che si fa davvero in quattro per me. Anche il massaggiatore e i due anziani con cui condivido la piscina termale sono molto contenti di conoscermi. E infine il luogo è così decadente e scrostato, con decine di strumenti antidiluviani accatastati nei corridoi e piastrelle e linoleum, che mi sembra di stare in un film. 

Grecia

Salonicco è un fiorente centro industriale, economico e culturale della Macedonia, ma soprattutto Salonicco è una città che ricorderò per sempre al buio perché di giorno faceva un caldo da impazzire. Non che io non ci abbia provato a visitare alcuni pregevoli esempi di architettura bizantina e paleocristiana, ma ben presto ho desistito e mi sono rifugiata in un centro estetico per farmi fare la pedicure, che avevo i piedi spaccati dopo più di un mese di cammino con i sandali. A Salonicco ho sudato molto, ho dormito poco e sono naufragata in un mare di pensieri e note musicali.
Quando il sole tramonta il cielo diventa tutto rosa e la gente sudata affolla il lungomare di Salonicco, vicino alla torre bianca. Tra il porto e piazza Aristoteles c’è una vasta scelta di bar sia sulla terraferma sia su barconi pieni di lucine, mentre la cena si consuma molto tardi nelle taverne tipiche, dove se si è fortunati si può ascoltare il pizzicare delle corde del bouzouki.
Di notte Salonicco è piena di locali ed è facile ritrovarsi in piazza Aristoteles, alle prime luci dell’alba, a mangiare un panino prima di andare a dormire. A Salonicco, tra i banchi deserti del mercato, alle 4 di notte, ho cantato “Aisha” insieme a un rifugiato siriano che suonava la chitarra.

La penisola Calcidica si trova a sud-est di Salonicco e si protende verso il mar Egeo come una mano dotata di sole tre dita. Mi sono aggregata a M. e F. che stanno andando a Uranopoli e che hanno fatto aggiungere un letto per me nella stanza che hanno prenotato, che io di alloggi a buon prezzo non ne trovavo. Per arrivarci facciamo il giro largo, percorrendo la strada costiera e fermandoci in una spiaggia casuale, che poi con tutte le spiagge belle che ci stanno qui a me pare proprio una delle peggiori.
Mentre ci avviciniamo alla penisola di Agion Oros, che sarebbe il dito più orientale dei tre, appare il Monte Athos che con i suoi 2000 metri di altezza è la vetta più alta della penisola nonché la principale attrazione dei visitatori. La parte centro meridionale della penisola appartiene infatti alla repubblica autonoma del Monte Athos, meta di pellegrinaggio per i numerosi monasteri riservati ai soli uomini. Uranopoli si trova sulla costa occidentale ed è una rinomata località di villeggiatura infestata di negozi di articoli religiosi. Qui si può ritirare il Dhiamonitirion, un pass rilasciato dalle autorità monastiche che permette di visitare il monte Athos ed essere ospitati dai monasteri. A quanto pare il flusso dei pellegrini quest’anno ha subito un drastico calo in seguito allo scisma avvenuto tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli: quest’ultimo infatti, guidato dal patriarca Bartolomeo, ha concesso l’indipendenza (o autocefalia) alla Chiesa ucraina che, così facendo, si è staccata dal Patriarcato di Mosca e questo fatto qua non è piaciuto per niente alla Russia.

A Uranopoli i prezzi per mangiare e bere sono piuttosto esosi ma per fortuna ci sono delle enoteche dove acquistare bottiglie di vino da bere sul terrazzo. M. sta studiando il greco e consulta spesso il librone di grammatica che porta sempre con sé. M. ha la caratteristica di pronunciare perfettamente le lingue straniere, anche quelle che non conosce tanto bene, così i suoi interlocutori pensano che sia madrelingua, gli parlano molto velocemente e lui non ci capisce un’acca. M. mi ha raccontato che quando viveva in Spagna a causa di questo problema non riusciva a trovare casa, perché quando telefonava agli affittuari aveva un tono formale tipico degli italiani, ma loro pensavano fosse spagnolo e li stesse prendendo per il culo. Poi, quando ha capito il suo errore, la prima telefonata che ha fatto con il suo spagnolo perfetto e col tono superamichevole tipico degli spagnoli, allora ha trovato subito casa. 
Sulle spiagge della penisola di Agion Oros abbiamo fatto dei bagni indimenticabili e ascoltato tantissima musica grazie a una cassa bluetooth Megaboom. E poi a Ierissos a un certo punto abbiamo trovato un mulino praticamente identico a quello che sta sulla copertina del libro di grammatica greca. L’ultimo pranzo in una tipica taverna ha avuto come scenario una spiaggia sovrastata dal monte Olimpo, dove ci siamo fermati mentre eravamo diretti a Volos. La sera le nostre strade si sono divise per sempre, e devo dire che mi è dispiaciuto molto perché con M. e F. ho condiviso delle emozioni a lungo sopite.
Volos è un comune molto ameno situato alle pendici del monte Pelio, dove la vita notturna non è niente di che e la spiaggia ha una clientela piuttosto âgée. Dalla stazione di Volos ho preso un autobus diretto a Kalambaka.

Kalambaka è una nota meta turistica grazie alle Meteore, suggestive torri naturali di roccia su cui sorgono ventiquattro meravigliosi monasteri ortodossi. La signora dell’hotel mi ha preso in simpatia e mi ha dato una camera dotata di un delizioso terrazzino affacciato sulle meteore, che in questa vigilia di Ferragosto sono illuminate magicamente dalla luna piena. Durante la serata trascorsa a Kalambaka ho mangiato un’insalata greca, ho appreso delle notizie in qualche modo definitive, ho conosciuto una persona non irrilevante e ho bevuto alcuni bicchierini di tsipouro al bancone di un bar.
I primi eremiti occuparono questo luogo unico al mondo già nell'XI secolo, mentre i monasteri furono costruiti tre secoli dopo per difendersi dai soliti turchi. Oggi di monasteri intatti ne restano solo sei, due dei quali abitati da suore. Visitare i monasteri arroccati sulle meteore è piuttosto impegnativo sotto il sole di agosto, anche se oggi ci sono comode scale scavate nella roccia in luogo di quelle a pioli che c’erano fino al secolo scorso. Il panorama dall’alto comunque è davvero affascinante.

L’ultima meta è Ioannina, che sorge sulle sponde del lago Pamvotida, nella regione dell’Epiro. Essa è dotata di un centro storico molto interessante, di un castello ottomano, di una bella passeggiata sul lungolago e di molti graziosi ristoranti e localini. Dopo una settimana in Grecia, ho capito che rispetto alla Macedonia e all’Albania conoscere gente è piuttosto laborioso perché i greci hanno bisogno di più tempo per sciogliersi, dunque bisogna spesso passare molto tempo al bancone prima di intavolare qualche discussione interessante. Ecco perché non vedo l’ora di andare ad Argirocastro.

Albania

"Era una città ripida, forse la più ripida al mondo, che aveva infranto tutte le leggi dell'architettura e dell'urbanistica. Come conseguenza succedeva che all'altezza del tetto di una casa si trovavano le fondamenta dell'altra, e certamente questo era l'unico posto al mondo dove se ti capitava cadere dal bordo di una strada, non si precipitava nel vuoto, ma sul tetto di una delle case alte. Questo lo sapevano bene gli ubriaconi. Era davvero una città strana."
(Ismail Kadare, La città di pietra, 1971)

Erano già due estati che avevo programmato di andare al sud dell’Albania, ma la prima volta nel 2013 a un certo punto avevo cambiato idea e me n’ero andata in Kosovo, mentre la seconda volta quattro anni dopo invece di andare in Albania mi ero dovuta togliere due denti. Questa volta allora per scaramanzia dicevo a tutti che andavo solo in Macedonia e Grecia ma poi alla fine ho passato anche quattro giorni al sud dell’Albania.

In Internet di informazioni su come attraversare la frontiera tra Grecia e Albania con i mezzi pubblici non ne ho trovate, ma quando sono andata alla stazione di Ioannina ho scoperto che c’è un autobus comodissimo che in due ore arriva ad Argirocastro. Le procedure alla frontiera sono piuttosto snelle e l’unico impedimento appare all’ingresso della città perché un incidente ha causato un blocco stradale e i poliziotti hanno deciso che il nostro autobus è troppo largo per passarci. Alcuni passeggeri hanno un’opinione un tantino diversa e ci tengono molto al fatto che essa venga presa in considerazione. Insomma a quanto pare forziamo il blocco.
In Albania ho passato i giorni più belli di tutto il viaggio, e probabilmente dell’intero anno. La proverbiale ospitalità albanese mi ha investita come un abbraccio. Una passeggera del mio autobus ad esempio, nel suo impeto collaborativo, mi ha regalato una moneta per prendere un mezzo diretto al centro storico, poiché io non avevo ancora prelevato i Lek. Il tassista si è fatto in quattro chiedendo indicazioni a destra e a manca, finché non si è materializzato un vecchio di identità sconosciuta che mi ha portato la valigia fino all'ingresso della mia guest house, in cima a una salita, e poi è scomparso per sempre. Il palazzotto in cui si trova la mia camera è dotato di una terrazza ombrosa affacciata su questo delizioso agglomerato di case ottomane, dominato da una fortezza e da una grossa nuvola bianca. Una bambina di otto anni sta mangiando un grappolo d’uva e ha pensato bene di togliere tutti i semini dagli acini prima di offrirmeli. Cavolo quanto mi era mancata l’Albania.

Argirocastro significa “città d’argento” forse per via del colore dei tetti ed è il posto più turistico del Paese, ma per fortuna il suo fascino non ne è molto intaccato, come magari succede altrove. Per visitare Argirocastro sono necessari buone gambe e molto fiato, infatti le strade sono un continuo saliscendi e non a caso essa è detta la città dai mille gradini. Posso testimoniare che non si tratta di una diceria in quanto proprio il primo posto dove sono andata è la fortezza, bellissima e ben conservata, dalla quale ho potuto osservare il panorama illanguidito dal tramonto.
Il bazar è simile a quello di Skopje e di Sarajevo e anche qui a quanto pare c’è chi tenta di espropriare locali commerciali ai legittimi proprietari in nome dell’antico impero ottomano, e questo è solo uno dei metodi della Turchia per estendere la propria influenza sui Balcani a maggioranza musulmana.

Ad Argirocastro nacque il dittatore Enver Hoxha e infatti si può visitare la sua casa natale che in realtà è una ricostruzione perché l’originale fu distrutta da un incendio. Oggi è stata trasformata in un museo etnografico, che poi alla fine sono tutti uguali questi musei etnografici o case ottomane ricostruite, che si trovino in Bosnia o Albania o Turchia, tutti hanno divani e tavolini bassi, tappeti rossi, mobili di legno intarsiati, grandi lampadari, manichini.
Io già conoscevo la passione di Hoxha per i bunker e figuriamoci se qua che è la sua città natale non c’era un sistema di bunker che in caso di guerra atomica potesse accogliere lui e i suoi collaboratori più fidati. Oggi esso si può visitare con una guida che ti illustra gli oggetti arrugginiti e i libri ammuffiti presenti in queste spoglie e umide stanze di cemento.

A volte capitano dei momenti così pieni di significati tutti insieme che ti prende come una vertigine. Uno di questi momenti io l'ho vissuto in un bar ristorante di Argirocastro. Un gruppo di musicisti bravi e belli suona dal vivo pezzi tradizionali albanesi e anche brani italiani come Storia d’amore di Celentano, ma l’epifania si compie definitivamente quando intonano le suadenti note di Ederlezi, la canzone popolare tradizionale dei Rom dei Balcani portata poi al successo da Bregovic. In quel momento ero al tavolo con alcuni ragazzi a bere birra e mi sembrava di volere bene a tutti e che gli albanesi fossero il popolo più adorabile del mondo, quasi quasi più dei macedoni (e forse addirittura più dei siriani e dei turchi, ma è difficile).

Per andare da Argirocastro all'Occhio blu di Saranda senza avere un’automobile basta prendere un autobus per Saranda e scendere a un certo punto in mezzo a una strada. Da lì bisogna camminare qualche minuto fino a una sbarra presidiata da due guardiani, chiedere loro il favore di tenerti il bagaglio e continuare a camminare ancora per due chilometri ma senza bagaglio.
L’Occhio blu è una sorgente carsica dal colore incredibile e dalla temperatura gelida: anche se il sito ufficialmente non è balneabile, è organizzato in modo che i turisti salgano su una pedana di legno e da lì si tuffino, alcuni dopo molti minuti di titubanza che pensi che mica gliel’ha ordinato il dottore di tuffarsi. Gli altri stanno tutti intorno a guardare e a sfottere vigliaccamente i tuffatori, o al massimo provano a immergersi piano piano perdendo subito la sensibilità dei piedi, poi delle gambe e poi di tutto il resto.
In agosto all'Occhio blu di Saranda si svolge una gara senza esclusione di colpi tra comitive di baresi e di napoletani, grassi, sguaiati, inguardabili. In confronto gli albanesi appaiono maestri di gusto ed eleganza. Oserei dire principeschi.

Saranda è la città d’Albania più strutturata dal punto di vista del turismo estivo, infatti offre servizi ed attrazioni rivolti soprattutto alle famiglie meridionali con pochi soldi, molti chili di troppo, bambini rompicoglioni, magliette elasticizzate con scritte dorate.
La passeggiata di Saranda, meglio nota con l’esotico nome promenade, è un carnaio durante le serate di agosto. Le alternative non è che siano tanto meglio comunque. Per esempio c’è il locale del genere terrazza tutta bianca con musicadimmerda. Oppure il club buio e sordido con le ragazze che appena entra un cliente se lo contendono e non a caso quando ci sono andata io due di loro stavano quasi per arrivare alle mani, e una Heineken costa 4 euro.
A Saranda ho provato a prelevare i Lek in tutti gli sportelli ATM di tutte le banche conosciute e non, senza alcun successo. Nemmeno ad Argirocastro c’ero riuscita ma là ne avevo provati solo tre, e comunque non mi rassegnavo visto che entrambe le mie carte funzionavano perfettamente in Bulgaria, Grecia e Macedonia del Nord. Per fortuna l’hotel di Saranda accetta i pagamenti con carta, ma pensare di spostarmi a Himarë o addirittura Dhërmi senza un soldo mi sembra azzardato, vista la scarsità di esercizi commerciali che hanno il POS.
A questo punto della storia fa la sua apparizione Cris, che è il manager dell’hotel in cui alloggio e parla un italiano decente. Siccome gli ho raccontato il mio problema con i soldi, Cris mi dice che ha un appartamento che si libera quella sera e che me lo può affittare facendomi pagare poi tramite l’hotel. Risolto velocemente l’affare mi chiede se voglio andare con lui al sito di Butrinto e poi al mare, visto che è domenica e non deve lavorare. Io non sono una che si lascerebbe mai sfuggire un’occasione del genere.

Cris sta un po’ sbattuto ma per una ragione molto valida, ossia ha passato la notte in prigione. Il fatto è che ha preso a pugni il cuoco, anche se il cuoco se l’era proprio cercata perché lo aveva insultato e addirittura gli aveva sputato in faccia. Oltre l’umiliazione di essere stato per la prima volta in prigione, il problema era che senza cuoco quella sera non poteva aprire il ristorante e inoltre anche due cameriere se n’erano andate e quelle nuove chiamate all’ultimo momento erano delle incapaci. Nel tragitto in macchina fino a Butrinto, capisco che Cris ha tanti pensieri, ma ciononostante mi sembra abbastanza di buonumore.
Questo sito archeologico più importante di tutta l’Albania risale a più di otto secoli prima di Cristo quando qui c’era la regione storica dell’Epiro. Cris non è la prima volta che viene qui e conosce bene questa storia anche perché pure lui è di origine epirota. Cris mi riferisce che Butrinto fu una città romana, poi fu distrutta da un terremoto, poi fu costruita la basilica paleocristiana e poi avvennero tante di quelle cose con alti e bassi che ora non ricordo, finché non entrò nell’Albania nel 1912. Poi mi racconta che i primi scavi archeologici cominciarono nel 1928 ad opera del governo fascista, infatti a quell’epoca Saranda si chiamava Porto Edda in onore della primogenita di Mussolini. Quando andiamo a pranzo apprendo che suo fratello si è convertito all’islamismo ed è diventato piuttosto fissato, perché in un periodo in cui stava in crisi esistenziale era entrato in contatto con un’associazione di musulmani fondamentalisti.

Cris lavora al comune la mattina, in albergo il pomeriggio più il fatto degli appartamenti, e insomma sgobba come un matto per guadagnare dei soldi perché gli stipendi albanesi sono da fame mentre lui vuole fare una bella vita. Quando andiamo in spiaggia scopro che i guai di Cris non sono finiti perché come se non bastasse la moglie se n’era andata di casa due settimane prima. Esausto da tutte queste storie che mi ha raccontato si addormenta sul lettino. Dopo ci andiamo a prendere un caffè in uno di quei bar con terrazza bianca di Saranda, da dove si vede bene il cemento, l’abusivismo edilizio e la bruttezza di questa città. Cris ha l'aspirazione di diventare assessore al turismo e condivide con me alcune delle sue molte idee: dipingere le facciate dei palazzi con disegni colorati, piantare molti alberi di una specie cinese a crescita rapida, organizzare dei viaggi per gli operatori turistici in luoghi tipo Bali dove sanno come si fa l'hôtellerie.
La sera saliamo al castello di Lëkurësit, antica fortezza ottomana oggi adibita a capiente ristorante pizzeria. C’è un gruppo che esegue brani tradizionali albanesi, ci sono tanti che ballano in cerchio tenendosi per mano e anch'io vado a ballare con Cris che tra le tante cose ha avuto pure il tempo di fare il corso di balli popolari albanesi.

Il giorno dopo su consiglio di Cris cerco una barca che mi porti alla spiaggia di Krorëzit, anche se ho sempre quel problema dei soldi che non ne ho tanti. Quando arrivo al porto le gite sono tutte già iniziate ma il responsabile dell’agenzia mi assicura che c’è una barca che sta tornando e che in una mezz'oretta potrò partire, mentre in realtà ciò avverrà almeno un’ora e due birre dopo; in merito alla faccenda dei soldi mi farà uno sconto. Il mare ha un colore effettivamente mozzafiato e anche la spiaggia non è male anche se è piena di vespe, e infatti un gruppo di napoletani la sera ha fatto un casino incredibile contro questa organizzazione di escursioni a causa delle vespe.
Il gestore dell’attività si chiama Andi e anche lui, inutile dirlo, dopo pochi minuti che parliamo mi racconta la sua storia, che praticamente dopo che andò a convivere con la sua ex, e soprattutto dopo la nascita della bambina, si rese conto che le persone sono diverse quando le frequenti così e poi quando ci vivi insieme gomito a gomito, infatti la sua ex cominciò a diventare sempre più nervosa e irritabile finché poi alla fine si erano lasciati. La bambina però lui la vede spesso e me la mostra nelle foto sul cellulare, per esempio com’era vestita all’ultima festa di compleanno. 
Un’altra storia che mi racconta Andi è molto triste, ossia durante la crisi degli anni Novanta lui fu mandato a vivere da certi zii in Grecia e ci passò molto tempo, conobbe una ragazza, si fidanzarono ma poi lei morì in un incidente stradale.
Comunque la cosa positiva di aver conosciuto Andi è che lui come primo lavoro fa il pescatore quindi al ritorno dalla gita mi ha portato al porto del pesce e poi al ristorante lì vicino dove ci siamo ingozzati di gamberi e alici squisiti appena pescati.

Per tornare in Italia devo prendere un aliscafo per Corfù e poi il traghetto notturno per Bari, dove continuo ad avere il problema dei soldi perché sulla nave non funziona il POS e per avere un caffè gratis devo impietosire il cameriere che però è greco e non albanese, quindi ci metto un po’ più di tempo a convincerlo.
E alla fine di questo viaggio di tre settimane nei Balcani meridionali, quando sorge il sole sull'Adriatico, mi viene in mente che la cosa bella, ma allo stesso tempo amara, di parlare con persone che non incontrerai mai più è che non saprai mai quante bugie ti hanno raccontato.

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