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C'ERA UNA VOLTA... IN PORTOGALLO

Porto - Ponte de Lima - Parco Nazionale Di Peneda-Gerês - Valle del Douro - Serra de Estrela - Tomar - Sintra - Estremadura - Aveiro - Immagini - Lisbona

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La felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo.
(José Saramago, "Viaggio in Portogallo")

La viaggiatrice lo aveva promesso: quel saluto di quattro anni prima, rivolto ai milioni di piastrelle, tegole e galletti di Lisbona, era soltanto un arrivederci. José Saramago nel frattempo è passato a miglior vita, ma poiché le parole degli scrittori non scompaiono con chi le ha scritte, nessuno le vieta di continuare a considerarlo − come se niente fosse − il faro che indica la rotta.

PORTO

La vediamo dunque ripartire da Porto, appollaiata sulla riva settentrionale del Douro, a cinque chilometri dalla foce. Giusto per ricordare alla viaggiatrice che questo Paese si affaccia sul mare, ma non su un mare qualsiasi: sull'oceano, quell'Atlantico da dove partirono i primi esploratori del nuovo mondo (e i portoghesi, all'epoca, erano in prima fila).
Non si può pretendere troppo dall'oceano. Non ci si può certo aspettare l'aria calda che invita al bagno e l'acqua tiepida e calma. No, l'estate oceanica rende felici parecchio i surfisti e tutti quelli che del vento godono per sport, non certo i bagnanti abituati al clima mediterraneo, o peggio, tropicale. Ma rende felice la viaggiatrice, che dell'afa mediterranea è, a dire il vero, un po' stufa.
Lungo l'Avenida dos Alliados il piccolo trolley ruzzola a lungo sui marciapiedi realizzati con piccole pietre a mosaico, fino alla stanza prenotata su internet, situata nelle vicinanze della centrale Stazione di São Bento. La sera serve un maglione pesante per mangiare l'arroz de marisco ai tavolini all'aperto, e il vino maduro non è sufficiente per scaldare del tutto la viaggiatrice neoarrivata. Insomma l'esperienza insegna che non si deve mai parlare troppo presto, non dire gatto se non ce l'hai nel sacco, come dire che la gatta frettolosa fece i gattini ciechi.

Porto di giorno è tutto un riverbero di raggi del sole che si riflettono sulle piastrelle colorate, il cielo è terso e punteggiato di gabbiani, i panni stesi sembrano vivi. I barcos rabelos, le tradizionali barche impiegate per secoli nel trasporto del celebre vino locale, aspettano i numerosi turisti per i classici giri in tripla lingua registrata, che illustrano le vicissitudini architettoniche dei sei ponti sotto i quali le comitive galleggianti devono passare mentre, a seconda della direzione in cui si naviga, possono fotografare comodamente prima l'antico quartiere della Ribeira e poi Vila Nova de Gaia, che le sta di fronte, o viceversa.

Invece della ovvia visita guidata in italiano alle cantine di produzione del famoso vino Porto (con successiva degustazione), salendo su un vecchio tram elettrico la viaggiatrice raggiunge il punto in cui il fiume finisce e inizia l'Oceano. A segnarne il passaggio c'è un faro, a righe orizzontali bianche e rosse. Le onde sono schiumose e i pescatori tutti in fila contro il tramonto. Proseguendo la passeggiata verso nord la lunghissima Avenida do Brasil scorre parallela alle spiagge (ma si vede lontano un miglio che non è il Brasile) e non finisce mai. La viaggiatrice infatti a un certo punto si è stancata di percorrerla ed è montata sul primo autobus, che l'ha condotta al Palazzo di Cristallo.

L'usanza di chiudere i ristoranti presto, o di non aprirli proprio la domenica sera, costringe la viaggiatrice a varcare la soglia di una losca churrascaria, dove, per paura che glielo friggano, non si arrischia a lasciare incustodito nemmeno un fazzoletto.

È LUSITANIA

Questa viaggiatrice non aveva programmato un itinerario preciso, ma aveva una certezza: non mettere piede in Algarve, dove le spiagge quasi mediterranee attraggono troppi turisti agostani.
La viaggiatrice dunque, in possesso di una fiammante auto a noleggio, si è diretta verso nord. Ha costeggiato l'Oceano, riuscendo però a intravederlo soltanto, per esempio all'altezza di Vila do Conde, e si è persa un po' tra le statali, le autostrade a pedaggio e quelle a radar. Poi è arrivata a Viana do Castelo e lì ha deciso di parcheggiare e di passeggiare per il centro storico. Nella piazza principale c'era una fontana che ha colpito molto la viaggiatrice: l'eroico e barbuto navigatore vianense Diego Alvarez Correia cavalca il mare insieme alla bella india Paraguacu, entrambi in perizoma e fluenti chiome rasta. Vicino al punto dove il fiume Lima sta per finire la sua corsa e raggiungere l'oceano, invece, c'era un monumento non bello ma, forse, significativo. La viaggiatrice ha raggiunto poi il Monastero di Santa Luzia con la funicolare e dall'alto del colle ha ammirato, come se fosse una carta geografica, la foce scintillante e, in lontananza, un'ampia insenatura sabbiosa affollata dai surfisti impazziti di gioia.
Mancavano ancora diversi giorni alle famose Festas de Senhora d'Agonia e la viaggiatrice non ha trovato altri motivi per restare a dormire a Viana. Era ormai pomeriggio inoltrato e (per quanto la luce sia molto lunga a occidente) aveva voglia di stabilirsi in un luogo preciso e fare finta che lì, per un paio di giorni, fosse la sua casa. La curiosità di vedere da dove traesse la sua forza questo fiume Lima, fino a poco prima sconosciuto, l'ha portata a costeggiarlo fino ad arrivare a Ponte de Lima.

Meno male che all'ultimo è venuta fuori la moglie del gestore del bar, perché se fosse rimasta nel retro a sbrigare le sue faccende, nessuno avrebbe indicato alla viaggiatrice neo-arrivata la "Mercearia da vila" dove dormire e la viaggiatrice avrebbe pensato, Ecco, un altro portoghese del nord scontroso. E Marta, che ha studiato in Italia, non avrebbe liberato la viaggiatrice dall'imbarazzo di chiedere in ispano-portoghese italianizzato se avessero una camera libera. La camera libera si chiama la sala del tè, è bianca e verde e profumata; da una delle finestre si vede uno scorcio del fiume Lima, su cui si affaccia questa cittadina curata come un salottino di rappresentanza.

Adesso il lettore curioso potrebbe chiedere come mai quella parola, Ponte, nel toponimo in questione, e la viaggiatrice potrebbe rispondere piccata che ovviamente c'è un ponte sul fiume Lima ed è proprio lì, accanto al gigantesco parcheggio e alle decine di sagome di centurioni romani allineati. Con un po' di saccenza potrebbe aggiungere, a vantaggio dell'insaziabile lettore, che il ponte è stato costruito dai romani (non lo sa che ai tempi dell'Impero questa terra si chiamava Lusitania?).

PARCO NAZIONALE DI PENEDA-GERÊS

Il Portogallo ha un unico Parco Nazionale, questo la viaggiatrice lo aveva letto prima della partenza. Esso è collocato all'estremità settentrionale del Paese e costeggia per molti chilometri il confine con la Spagna. La viaggiatrice, decisa a raggiungerlo per trascorrere una giornata all'aria aperta, ha fatto una robusta colazione, genuina e casalinga, poi ha attraversato la limitrofa Ponte da Barca, che sfoggia un altro ponte medievale, e infine Arco de Valdevez, la vera porta d'ingresso del Parco Nazionale. Quindi si è avviata verso quell'area che comprende i comuni di Soajo e Lindoso, consigliata all'ufficio centrale del Parco per la sua autenticità e la natura selvaggia: contadini e pastori mantengono ancora vive le loro tradizioni, le avevano detto mentre disegnavano premurosamente sulla mappa l'itinerario da percorrere in auto.
In realtà, a parte quel po' di natura che era sì selvaggia ma anche, bisogna dirlo, per niente lussureggiante anzi proprio riarsa dall'afa agostana, e a parte questi granai a forma di palafitte di pietra chiamati espigueiros, di vive tradizioni ne ha viste ben poche, anzi proprio nessuna, anche perché si è persa in quell'infinita e deserta finta montagna, e ha sbagliato strada ritornando in pratica al punto di partenza: Arco de Valdevez, la porta del Parco Nazionale.

Percorrere da capo la strada alla ricerca di quell'autenticità presunta e di quegli sparuti contadini e pastori che, se mai c'erano, sicuramente stavano smadonnando e sudando sotto il sole cocente, non allettava la viaggiatrice, che ha deciso di passare al piano B: l'itinerario tra Caldas do Gerês e Portela do Homem, che prevede una piccola deviazione in territorio spagnolo. Finalmente, dopo diverse frustranti ore di macchina, è potuta scendere e ha seguito le decine di bagnanti che si avviavano verso non si da dove, scoprendo poi che si avviavano verso una piscina naturale di colore verde, dotata di un'acqua gelida nella quale si potevano effettuare dei tuffi molto scenografici che, per la cronaca, la viaggiatrice non ha avuto il fegato di compiere.
Se contiamo anche una non brevissima passeggiata lungo il corso del fiume semi-secco e un piacevole panorama sulla strada del ritorno, l'idea generale che la viaggiatrice si è fatta del Parco Nazionale di Peneda-Gerês non si può considerare, alla fine, del tutto biasimevole.

VILA NOVA DE FOZ CÔA

Arrivata a Vila Nova de Foz Côa, la viaggiatrice ha pensato che sarebbe stato meglio scappare immediatamente. Ma da quelle parti non c'era assolutamente niente e l'unico alloggio rurale decente era al completo. Inoltre era in viaggio da molte ore ed erano ormai le otto e mezza di sera: era stata a Braga, visitando il vicino Santuario Bom Jesus do Monte con la sua scenografica scalinata. Aveva attraversato tutta la Valle del Douro osservando un numero spropositato di ordinati vigneti stesi sotto al sole. Aveva intravisto la cittadina di Amarante, ammirando − senza fermarsi − il ponte sul rio Tâmega. Aveva scavalcato il Douro all'altezza della trafficata Peso Da Régua e aveva proseguito nella calura fino a Pinhão, che però non le era sembrata così affascinante come la guida voleva far credere. E poi il nulla.

L'hotel di Vila Nova de Foz Côa non ha niente di caratteristico, è un anonimo hotel per viaggiatori di commercio, però ha un numero sproporzionato di camere. Meditando sulla misteriosa motivazione di questa straordinaria vocazione all'ospitalità la Viaggiatrice si è incamminata verso il centro per calmare la fame e soprattutto la sete: era stata una giornata molto calda e si sentiva disidratata. La scelta del ristorante non è stata difficile: due sono i ristoranti del centro di Foz Coa e uno dei due sta rispettando il giorno di chiusura settimanale. Nell'attesa del riso col pesce, la non totalmente sprovveduta viaggiatrice ha notato che per le strade si parlava solo francese e ha formulato una logica ipotesi secondo la quale l'hotel servisse ad accogliere i molti portoghesi emigrati in Francia, che tornano al paese per le vacanze estive.
L'attesa dell'arroz è stata così lunga che si è avviata una conversazione con la coppia affabile che sedeva al tavolo a fianco. Jorge, dopo un paio di birrette, aveva la lingua ben sciolta e pian piano ha confessato alla viaggiatrice cose probabilmente inconfessabili, come accade sovente con persone incontrate per caso che non si rivedranno mai più. Jorge ha cerchiato con la matita molti luoghi di interesse sulla cartina della viaggiatrice. Prima di tutto riteneva imperdonabile essere arrivati fin là e non visitare il nuovissimo museo della preistoria. E in effetti, ha pensato in cuor suo la viaggiatrice, difficilmente nella vita avrebbe fatto ritorno a Vila Nova de Foz Coa.
Jorge, appassionato di storia locale, era un fiume in piena di informazioni turistiche sul Portogallo, nonostante i tentativi della sua amica di contenere la sua logorrea. Secondo lui, la viaggiatrice avrebbe dovuto prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di trascorrere una seconda notte nella sua amata Foz Coa, approfittando per visitare tutti i castelli che sorgono come funghi in quella zona di frontiera. La viaggiatrice ha fatto finta di pensarci un po' su, La notte porta consiglio, ha detto in italiano, tanto ci capiamo: È o mesmo. Però poi è andata a dormire e non ci ha riflettuto nemmeno un nanosecondo.

LA SERRA DE ESTRELA

La viaggiatrice non ha visitato nemmeno il parco archeologico, dicendo addio forse per sempre ad alcune delle più importanti incisioni rupestri del Paleolitico esistenti al mondo. Non si è lasciata tentare né da Castelo Rodrigo né da Almeida, né da Freixo de Espada a Cinta né da Pinhel, pensando, Grazie Jorge, sei stato di grande aiuto ma non hanno tutti i torti quelli che ti chiamano il "loco" di Foz Coa, a dirla tutta. Si è invece diretta senza indugi verso Guarda e quindi è entrata nel cuore della Serra de Estrela.
Arrivata a Manteigas non ha potuto fare a meno di verificare che essa si trova proprio nel mezzo della valle del Rio Zêzere, circondata da montagne, non altissime, ma pur sempre le più alte del Portogallo. Aveva ragione Jorge, che aveva sconsigliato di pernottare a Manteigas: faceva un caldo da impazzire. Intanto la viaggiatrice ha pranzato ed è andata in cerca di un alloggio, ma senza esito: era tutto già occupato. Si è rimessa in auto e ha puntato verso le Penhas Douradas, percorrendo una piacevolissima strada panoramica alberata tutta curve, ma riscontrando soltanto la presenza di due o tre pousadas molto chic, con tanto di percorsi benessere e ospiti in accappatoio. E poi è arrivata, inaspettatamente, a Sabugueiro.

Sabugueiro è praticamente una strada su cui si affacciano decine di negozi tutti uguali, che vendono: formaggio della serra, salumi e salsicce della serra, cani della serra e una caterva di orrendi oggetti in lana di pecora e pelle (alcuni dei quali penzolano ambiziosamente dalle ringhiere). Esiste anche un centro storico, ma, dalle perlustrazioni compiute, è risultato virtualmente privo di vita. La semplicità delle persone che vivono in perfetta armonia con la natura, gli alimenti genuini della cucina (il pane, il burro, il capretto, il caffè), gli asini e le greggi di pecore, il fatto di essere fuori stagione in una località che è, probabilmente, fuori stagione tutto l'anno, tutto questo e molto altro è rimasto nel cuore della viaggiatrice, che vi ha soggiornato per tre giorni.
Questo è uno dei migliori punti di partenza per conoscere alcune delle strutture di approvvigionamento elettrico della serra, come la Lagoa Comprida, il più grande di questi laghi artificiali blu notte. Preso atto di tale stupefacente opera umana, la viaggiatrice ha proseguito fino alla Torre, che con i suoi quasi 2000 metri rappresenta il punto culminante del Portogallo, notando la grande suggestione del paesaggio, spoglio e irto di massi rocciosi. Poi ha imboccato la strada che porta a Manteigas e, scoccato uno sguardo di sbieco alla statua di Nossa Senhora da Boa Estrela (che dimora in un riparo scavato nella roccia), si è affacciata dall’alto del punto panoramico del Cantaro Magro per ammirare la valle glaciale del fiume Zêzere, che in questa stagione, più che un fiume, è un misero rigagnolo. Quando è arrivata a Manteigas il gran circuito della serra poteva dirsi chiuso.

L’intero Parco è tracciato da numerosi percursos pedestres segnalati. I dépliant illustrano con dovizia di particolari e fotografie le bellezze naturalistiche riservate agli escursionisti: dalle cascate a strapiombo alle sorgenti di acqua calda, dai corsi d’acqua ai ghiacciai millenari, senza contare i rarissimi esemplari di fauna selvatica, come lepri, cinghiali, volpi, lontre e perfino talpe, e uno scenario verde ricco di vegetazione rigogliosa e foreste di estremo valore ecologico.
Purtroppo nel mese di agosto tutto ciò sembra solo un bella fiaba; i pochi sentieri percorsi sono stati un'esperienza a dir poco frustrante. I fiumi rinsecchiti, l'afa insopportabile, i plotoni di mosche assillanti e agguerrite, le cascate ridotte a rubinetti di casa, e soprattutto le ampie porzioni di foresta interamente bruciate a causa della piaga degli incendi che infesta questo Paese: lo spettacolo non era propriamente quello che la viaggiatrice si era aspettata.

Per fortuna che in questo periodo in Portogallo c'è la Volta. Come si sa, il passaggio dei ciclisti colorati e di tutto il baraccone che li accompagna è un evento che anima le cittadine e raduna sempre piccole folle assiepate agli angoli di strada. La viaggiatrice non è un'appassionata di ciclismo, soltanto che mentre mangiava una francesinha in un ristorante di Porto aveva intravisto alla televisione la festa che si faceva a Viana do Castelo, tappa del giorno. E aveva colto l'occasione per scoprire che paesino piacevole da visitare fosse (le località sono scelte non solo in base alla difficoltà del percorso, ma anche alla bellezza dei luoghi). E infatti eccola lì, il giorno dopo, a Viana do Castelo. E in autogrill, stessa cosa, mentre mangiava un panino: questa volta la tappa era Gouveia. Ha riflettuto un po' sull'opportunità di visitarla, più in là, ma poi non ha più avuto occasione di seguire la televisione del pomeriggio, e non ci aveva più pensato, né a Gouveia né alla Volta.
A Sabugueiro dunque, quando ha saputo che il giorno dopo sarebbe passata la Volta ha pensato, con un facile gioco di parole, anche questa volta! E per un paio di giorni ha partecipato da spettatrice casuale all'attesa del baraccone colorato: i pettegolezzi sui partecipanti, i ciclisti amatoriali con cui condivideva la colazione mattutina e poi tutte le strade chiuse e gli applausi alla carovana che attraversava sotto il sole cocente il centro di Manteigas.

NON È TEMPO DI ALENTEJO

La cosa più abbondante sulla terra è il paesaggio. Anche se tutto il resto manca, di paesaggio ce n’è sempre stato d’avanzo, un’abbondanza che solo per un miracolo instancabile si spiega, giacché il paesaggio è senza dubbio precedente all’uomo e nonostante ciò, pur esistendo da tanto, non è esaurito ancora.
(José Saramago, "Una terra chiamata Alentejo")

La viaggiatrice, lo abbiamo detto, non aveva fatto un programma di viaggio. Sapeva di dover tornare a Porto, dopo non molto ma neppure poco: due settimane. E preferiva non percorrere le stesse strade dell'andata. Avrebbe fatto, è di nuovo il caso di dire, una volta.
Giunto il momento di lasciare la Serra de Estrela, non si è posta il problema: ha seguito la strada su cui un'ora dopo sarebbero passati i ciclisti, divertendosi a guardare tutti questi cittadini portoghesi che sotto il sole bordavano le strade in attesa degli atleti. Arrivata a Castelo Branco però aveva fame e si è fermata per un panino col presunto al bar di fronte alla chiesa, condividendo il momento di pausa con gli invitati al matrimonio, sudati nei loro abiti da cerimonia.
A quel punto ha deciso di abbandonare per sempre la Volta, che era giunta ormai alla penultima tappa (l'ultima si sarebbe svolta l'indomani dalle parti di Sintra), dirigendosi verso il fiume Tejo. Ancora per pochi chilometri lo avrebbe sentito chiamare così: se si fosse spinta un po' più a Est già la dolcezza di quel nome si sarebbe persa di fronte alla sobrietà del Tago, come gli spagnoli usano appellarlo comunemente. Attraversato il Tejo nei pressi di Vila Velha de Ródão, la viaggiatrice si è ritrovata in Alentejo (lo dice la parola stessa: al di là del Tejo).

Vi avranno insegnato che non bisogna prendere decisioni avventate. Che non ci si deve fidare della prima impressione. Che non si può generalizzare. Ma le regole del viaggio sono diverse dalle regole della vita e chi viaggia le decisioni avventate deve prenderle. In quel pezzo di Alentejo che la viaggiatrice ha percorso c'erano 39 gradi e niente fiumi; vento, nemmeno a parlarne. I sugheri stavano là, con i loro tronchi mutilati. Qualche ulivo e i muretti a secco. Tutto era piatto. Le pietre e la terra, gli alberi e le case, il cielo e l'aria: tutto aveva sete. La viaggiatrice non ci ha pensato molto su: ha invertito il senso di marcia ed è tornata indietro. Si è detta: ci tornerò quando non farà tanto caldo. Un altr'anno. Ha quindi seguito di nuovo il Tejo, per convincersi definitivamente che era lì e che segnava davvero un confine, o molti di più.
Quando aveva sete e voglia di sgranchirsi le gambe è apparso un cartello che diceva: Castelo de Almourol. Una di quelle magie che capitano ogni tanto ai viaggiatori. All'interno del sito, mentre ammirava questo monumento medievale scenograficamente posizionato lungo la riva, ha letto che tale castello evoca il ricordo dei templari ed è un emblema del periodo della Reconquista. A quel punto la viaggiatrice, rinfrancata e pacificata, è rientrata nel Ribatejo, ha messo una metaforica pietra sull'Alentejo e si è diretta felicemente a Tomar.

L'arrivo in una città sconosciuta spesso avviene in una buona predisposizione d'animo: il viaggiatore ancora non sa nulla di lei ed è curioso di esplorarla. A volte può capitare che il viaggiatore sia stanco e poco propenso alla nuova conoscenza e che ci metta un po' per entrarci in confidenza. Tomar ha fatto subito una buona impressione alla viaggiatrice. Ha lasciato l'auto in un civile parcheggio multi piano ed è andata a cercare un hotel. L'ufficio del turismo ha reso di buonumore la viaggiatrice, che ne è uscita sorridente dicendosi, Chi avrebbe mai detto che a Tomar ci fosse un Ufficio del turismo così ben organizzato, con delle impiegate così cordiali ed efficienti?
D'altra parte la cittadina ha tutte le carte in regola per fare buona impressione sui viaggiatori di passaggio: le ringhiere di ferro battuto, le finestre, le piastrelle, i cigni, i lampioni, i vasi fioriti, e poi il giardino, il mulino ad acqua, i ponti sul fiume Nabão; ogni cosa trasuda grazia e romanticismo.

Il monumento più importante della città, il Convento di Cristo, è situato su una piccola collina, come tutte le fortificazioni che si rispettino. In particolare qui, a difendere i confini del regno cristiano dall'aggressione dei temibili mori, erano stati, almeno inizialmente, i cavalieri templari.
Oggi, grazie anche all'iscrizione nel patrimonio Unesco, esso attira numerosi torpedoni dalle cui fauci fuoriescono decine e centinaia di turisti riuniti in folti gruppi, con i quali bisogna fare i conti durante la visita mattutina. A parte gli esempi di stile romanico, gotico e rinascimentale, sono in particolare le soluzioni architettoniche e decorative manueline a sorprendere di più: gargoyle, guglie, statue e corde, croci e sfere armillari, coralli, barbe e foglie, giarrettiere e fibbie di pietra. Un trionfo di singolari motivi che, secondo l'azzardata ipotesi del Maestro, viaggiatore a casa sua, non sarebbero stati possibili senza la musa ispiratrice dell'architettura indiana.

TUTTO È VIAGGIO

Ecco la buona filosofia: tutto è viaggio. È viaggio ciò che si vede e ciò che si nasconde, è viaggio ciò che si tocca e ciò che si immagina, è viaggio il fragore delle acque che cadono e questo impercettibile sopore che avviluppa i monti.
(José Saramago, "Viaggio in Portogallo")

Nel primo viaggio in Portogallo ciò che era dispiaciuto maggiormente alla viaggiatrice era stato non poter visitare Sintra. Non che avesse bene idea di come fosse fatta, ma le bastava aver visto una foto di quel palazzo fiabesco rosso e giallo che all'epoca non sapeva, ma ora sì, che si chiama Palácio Nacional da Pena.

Pur cosciente dell'affollamento estivo di quella località, la viaggiatrice ha deciso di trascorrere lì un paio di giorni. La viaggiatrice è stata punita: Sintra il lunedì di Ferragosto era una trappola inestricabile di sensi unici e ingorghi automobilistici, poi ha cominciato a piovere. Ma se fosse stato solo questo, avrebbe rovinato soltanto un'ora del suo umore, considerando che aveva messo in conto queste ed altre piccole disavventure senza importanza.
Il problema era un altro: per due giorni le splendide ville e i lussureggianti giardini, i palazzi signorili e le strade sinuose, tutta la collina su cui sorge questa affascinante località era avvolta nella nebbia. La nuvolaglia aveva un suo fascino fiabesco, ma la viaggiatrice non va tutti i giorni a Sintra e avrebbe preferito riuscire a vedere almeno dove metteva i piedi. Comunque, dopo aver spaziato con lo sguardo sul bosco nebbioso dal bovindo della camera d'albergo, ha indossato qualcosa di pesante e ha raggiunto a piedi São Pedro de Penaferrim; la taverna dove voleva cenare non era aperta al pubblico: quella sera si festeggiava un matrimonio e la viaggiatrice non ha potuto far altro che bere un bicchiere alla salute degli sposi.

Per la visita al Palácio Nacional da Pena e all'annesso Parque la viaggiatrice non è sola, per usare un eufemismo. La collina tra il Castelo dos Mouros e il Palácio da Pena è tutto un serpentone di auto. Descrivere il Palazzo è un'impresa in cui la viaggiatrice non si prenderà la pena di imbarcarsi, d'altra parte nemmeno il maestro Saramago si è azzardato a farlo. Si limiterà a dire che i bastioni e le cupole, i camminamenti e le torri, gli smerli e le arcate, le piastrelle e i pinnacoli, rossi, grigi, gialli, blu, a causa della nebbia apparivano molto più sbiaditi di qualunque fotografia la viaggiatrice avesse mai visto. Nondimeno quella visita le resterà impressa, anche per la suggestiva passeggiata nel Parco pieno di piante esotiche e autoctone, muschio e ponticelli.

Terminata la visita, la viaggiatrice ha attraversato la Serra de Sintra per giungere a Cabo da Roca, il punto più occidentale del continente europeo. Nascosti nella boscaglia ha intravisto altri incantati manieri, come la Quinta da Regaleira e il Palácio de Monserrate. Il Capo era segnalato da un faro, la brughiera si inchinava al forte vento, le creste delle onde si infrangevano con violenza sulle rocce, le giacche a vento si gonfiavano e i giapponesi, incuranti, assumevano pose assurde per farsi fotografare.
Mentre la viaggiatrice, diretta verso la punta più meridionale della penisola di Sintra, costeggiava l'oceano, improvvisamente il fronte nuvoloso si è dissolto, sostituito dal cielo terso: le colline verdi, le dune e i kitesurf si sono illuminati di botto. A Cascais la viaggiatrice si è fermata presso la cosiddetta bocca dell'inferno (che altro non è che un'insenatura rocciosa piena di gente che sta al sole, guarda il mare e ridacchia osservando i pescatori di polpi che danno spettacolo) e ha ignorato ogni altro aspetto della cosiddetta Costa Azzurra portoghese.

TUTTO QUESTO VENTO INTORNO

E siamo piccoli, mediocri viaggiatori soli e tutto questo vento intorno invece... è Lusitania.
(Ivano Fossati, "Lusitania")

Già pronta per lasciare Sintra, la viaggiatrice si è affacciata alla finestra e ha strabuzzato gli occhi. Stentava a riconoscere il luogo dove aveva trascorso quasi 48 ore: il bianco degli intonaci, il blu del cielo, il rosa delle ville brillavano addirittura. Ma visto che l'imperativo del viaggio è che bisogna andare, la viaggiatrice ha imboccato la via che porta al mare. Aveva a disposizione ancora tre notti e poi il sabato nel primo pomeriggio sarebbe dovuta essere all'aeroporto di Porto (i lettori scuseranno questa inevitabile cacofonia). Per andare da Lisbona a Porto bisogna correre parallelamente all'Oceano e sulla strada si ha l'imbarazzo della scelta tra conventi e monasteri, località balneari e cittadine storiche. La viaggiatrice si sarebbe fermata dove il destino avrebbe suggerito.
Intanto la viaggiatrice ha scoperto di essere circondata dai mulini a vento e ne è rimasta sorpresa. La sua semplicistica geografia dei mulini a vento li collocava in Olanda e al limite in Spagna, ma in Portogallo proprio no. E invece mulini antichi, bianchi di calce, con le pale di legno e stracci, alcuni ancora funzionanti. E poi, in taluni casi, affiancati dai loro eredi: le pale eoliche, alte, snelle e più alte dei padri. Nei pressi di Ericeira non si è sottratta alla visita di questo tipico villaggio portoghese in miniatura, che è stato ricostruito a Sobreiro con tanto di mulino e chiesetta.

Il viaggiatore non può vedere tutto: deve operare delle scelte. Obidos, ad esempio, è rimasta sdegnosamente chiusa dentro le sue rinomate mura medievali e non ha fatto nulla per attirare la viaggiatrice, la quale si è diretta invece verso il Parque Natural das Serras de Aire e Candeeiros. Forse sperava in cuor suo di migliorare il fin lì deludente rapporto con la natura portoghese. O forse voleva soltanto non mischiarsi troppo con i turisti. Aveva comunque a portata di mano Nazarè, ex villaggio di pescatori diventata meta turistica, Batalha, nota per il suo straordinario monastero in stile gotico-manuelino, Alcobaça, sede di un famoso monastero medievale, di cui le aveva parlato anche quel motociclista incontrato a Sabugueiro, che le aveva fatto vedere persino la foto sul telefonino, dove lui era in posa, in piedi, e dietro c'era il celebre monumento.
Il destino però ha deciso di farla pernottare a Porto de Mós, una cittadina moderna di circa 25 mila abitanti situata nel distretto di Leiria, nell'Estremadura. All'ufficio del turismo sono state illustrate con dovizia di dettagli le offerte ospitali e escursionistiche della zona. L'anziano receptionist dell'hotel Felipe − momentaneo sostituto di suo figlio, al momento in ferie in Algarve − le ha consegnato le chiavi della camera. La viaggiatrice si è quindi incamminata verso il mulino Miguel, oggi trasformato in un rustico ristorante. Da lì su si vede tutta la cittadina, il castello di antiche origini con le torri maiolicate in verde, l'inizio del parco e, sulle colline dirimpettaie, altri minuscoli mulini.
Al Mulino Miguel la viaggiatrice ha mangiato un'incredibile quantità di cibo spendendo una cifra ridicola. Ma ciò non l'ha sorpresa più di tanto: ormai aveva accumulato una discreta esperienza in fatto di ristoranti portoghesi. Aveva imparato ad esempio che al cliente appena seduto servono degli stuzzichini (petiscos), a base di pane, burro, formaggio e a volte baccalà fritto; che le porzioni sono gigantesche e per questo motivo è possibile ordinarne una media dose; che la carne è immancabile, che sia trippa con fagioli a Porto, o frango (che in italiano non è altro che il pollo), o porco preto (ossia il pregiato maiale nero). E anche dal Mulino Miguel è fuoriuscita barcollando.

Purtroppo, anche l'esperienza escursionistica nel Parque Natural das Serras de Aire e Candeeiros è stata un buco nell'acqua. I sentieri raccomandati erano bruciati dal sole e dagli incendi e i corsi d'acqua rinsecchiti. Solo in seguito ha compreso che qui l'acqua è sotto terra, non sopra. Nel sottosuolo infatti si aprono delle grotte profonde in parte visitabili, come la Grotta di Mira d'Aire, la più grande e una delle sette meraviglie del Portogallo. A chi piace il genere, le grotte sono grandiose (paragonate a ragione ad una cattedrale sotterranea), e i giochi di luce e acqua le rendono ancora più spettacolari. In agosto c'è un sacco di caciara e la spiegazione della guida non si sente quasi per niente per quanto è lunga la fila che percorre le passerelle.
E finalmente è la volta del meraviglioso Mosteiro da Batalha. È circa mezzogiorno, l'orario più propizio per osservare i fasci di luce colorati che il sole, attraversando le vetrate policrome, proietta sul pavimento e sulle colonne. La pietra bianca di Porto de Mós è diventata giallo ocra nel tempo, ma poco ci si fa caso entrando nella splendida cappella gotica dove dimorano eternamente il re Giovanni I e i suoi familiari. Anche qui le decorazioni manueline prevedono simboli marini e si alternano alle slanciature tipiche del gotico flamboyant e del gotico perpendicolare. La Cappella incompiuta rimane a testimonianza che il monastero non venne terminato, mentre la sala capitolare rimanda i visitatori alle ragioni militari della fondazione: due sentinelle stanno di guardia alla tomba del milite ignoto morto nella Prima guerra mondiale.
Il Monastero fu infatti fatto costruire dal Re Giovanni I in segno di ringraziamento per una vittoria militare. Era il 1385. Sulla vicina piana di Aljubarrota si svolse la battaglia decisiva fra le truppe spagnole e quelle portoghesi, in inferiorità numerica rispetto al nemico. La vittoria dei portoghesi sancì l'indipendenza del Portogallo e l'ascesa al trono della dinastia dei d'Avis che regnerà nei due secoli successivi (il periodo di maggior gloria della storia nazionale, quello dei grandi viaggi e della colonizzazione delle terre scoperte).

ALLA PROSSIMA VOLTA

Coisa que gosto é poder partir Sem ter planos
Melhor ainda é poder voltar Quando quero…
(Milton Nascimento, "Encontros e Despedidas")

Jorge, quella sera a Foz Coa, aveva cerchiato sulla cartina della viaggiatrice anche la città di Aveiro. «Solo lì puoi assaggiare gli ovos moles», le aveva detto, aggiungendo che, a suo giudizio, valeva la pena andarci anche solo per questo. Ma non era l'unica ragione per cui la viaggiatrice aveva scelto di fermarsi qui per la sua ultima notte portoghese. La cittadina aveva una sua indubbia comodità, in quanto posizionata a non grande distanza da Porto, sul mare. E sembrava anche graziosa, costruita in riva a una laguna.

Questa cronaca vorrebbe parlare di Aveiro senza citare il fatto che viene definita la Venezia del Portogallo. Ma non può, perché altrimenti non potrebbe dire che è solcata da canali su cui transitano delle barche simili alle gondole (chiamate però moliceiros). Si potrebbe aggiungere che i canali sono fiancheggiati da belle case Art Nouveau e che nel quartiere dei pescatori si possono ammirare basse abitazioni ricoperte da piastrelle colorate. E che fervono attività di pesca e di estrazione del sale.

La scelta della pensão deve fare i conti con il pienone estivo e dunque non soddisfa totalmente la viaggiatrice. E anche sul ristorante ci sarebbe qualcosa da ridire, anche perché a questo punto dei piatti portoghesi la viaggiatrice ne aveva fin sopra i capelli. Però il centro è vivace, gli edifici si specchiano nei canali e ci sono diversi concerti. La viaggiatrice, infine, ha rivolto un pensiero a Jorge e ha assaggiato gli ovos moles: si tratta di involucri di ostia ripieni di tuorlo d'uovo dolce e sono abbastanza buoni.

Prima di ripartire è d'uopo fare una deviazione per Costa Nova, un villaggio di pescatori rimesso a nuovo, situato al riparo dall'Oceano a una ventina di chilometri da Aveiro. Era dall'inizio del viaggio che la viaggiatrice vedeva le caratteristiche casette dipinte con colorate righe verticali riprodotte su cartoline e soprammobili e non poteva ripartire senza averle viste dal vero. È dunque con questa immagine in mente che si è diretta alla volta dell'aeroporto di Porto (vedi sopra), ha sbrigato le pratiche burocratiche ed è decollata.

La viaggiatrice ha ancora dei conti in sospeso con il Portogallo, così non può far altro che dargli un altro arrivederci: Ciao Portogallo! Alla prossima volta!

(agosto 2011)

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