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Robe di Cappadocia

Sono arrivata a Göreme, il cuore della Cappadocia, e – nonostante la bellezza del paesaggio che mi circondava – alla venticinquesima travel agency incontrata in cinque minuti a piedi mi è venuto l’impulso di scapparmene. Però comunque ho continuato a camminare finché ho incontrato questo ragazzo che mi ha chiesto se volevo chiacchierare con lui visto che era venuto a lavorare qui "to improve his english". Poi la foto che mi ha fatto sull'altalena con la lavanda avrebbe gradito che io la pubblicassi su Instagram. Finito il fatto del ragazzo, allontanandomi dal centro, ho proseguito tra questi pinnacoli che emergono da un paesaggio che è un misto tra i sassi di Matera e i calanchi lucani. A un certo punto mi hanno chiamato da una casa scavata nella roccia: A. ha l’abitudine di fermare i turisti che passano dalle sue parti e invitarli a bere un bicchiere di vino e a mangiare per esempio delle ciliegie asprigne o dello yogurt casalingo. Poi io ci sono rimasta almeno due o tre ore con lui e due suoi amici: entrambi lavorano nel turismo mentre A. fa l’addestratore di animali, ma in questi giorni è in ferie. Mi mostra anche il suo cavallo di un anno, l’unico che gli è rimasto, e dei piccioni ammaestrati, che lui si diverte a vedere volare. A un certo punto viene acceso anche un falò visto che le temperature sono precipitate. Poi andiamo in città, che poi non è altro che un agglomerato di alberghi e ristoranti, i quali immancabilmente contengono la parola “cave” (grotta) nel nome. In questo tour serale mi viene offerto un pezzo di lahmacun (la pizza turca) presso l’hotel dove lavora il figlio di A. e anche una çorba di lenticchie presso l’hotel dove lavora uno dei suoi due amici. Questo per dire che a volte sono troppo precipitosa nelle mie reazioni.
Alla fine, sono rimasta cinque giorni a Göreme, dove per mia fortuna avevo trovato una camera in uno dei pochi alloggi senza “cave” (né di nome né di fatto), dotato tra l’altro di un bel giardino, di una graziosa piscina, di un bar e di molte aree di socializzazione. Qui mi hanno anche prenotato un'escursione di un giorno, il giro in mongolfiera e una cena-spettacolo parecchio kitsch. Il resto l’ho visitato in autonomia a piedi o con i mezzi pubblici, alternando questi spostamenti a mezze giornate di relax, indispensabili visto che avevo l’influenza.
Per quanto riguarda l'escursione, dal titolo "Green tour", un pulmino va a prendere i partecipanti ognuno nel proprio cave hotel (tra l'altro c'è chi ha pagato 40 euro, chi 45, chi 50): oltre me, ci sono una ragazza indiana, una macedone che vive a Londra, una coppia di cinesi che vivono in UK, una coppia di indiani e due ragazze di Valencia. Partecipare a questi tour ti permette di visitare comodamente più attrazioni anche lontane, di socializzare e anche di avere una guida che parla inglese e che ti spiega un po' di cose (in questo caso la guida, ovviamente, era di Mardin!). In cambio però, a parte l'aria condizionata polare erogata puntualmente dal pulmino, ti fa sentire impotente e frustrato nel caso in cui ti dovessi imbattere in un matrimonio popolare senza poter scendere a festeggiare con gli invitati (e non lo dico in astratto).
Le prime due tappe sono soste panoramiche, una per ammirare Göreme dall'alto e l'altra la valle dei piccioni (seguita da un'inutile visita a un negozio di gioielli): in questi luoghi apprendiamo dalla guida che il nome Cappadocia deriverebbe dal persiano «terra dei buoni cavalli» (anche se è più filologicamente attendibile l'etimologia "terra bassa", di origine ittita). Inoltre ci viene raccontato come si è formata la Cappadocia, questa terra dalla conformazione geologica unica al mondo, ricca di cavità, grotte e piramidi di terra di origine vulcanica. E infine bisogna citare i piccioni, che a me non hanno mai ispirato simpatia, mentre qua ce ne sono un sacco e storicamente sono considerati molto utili, soprattutto per il potere fertilizzante dei loro escrementi. 
Dopo un lungo tragitto in auto ci aspetta la visita alla città sotterranea di Kaymaklı, articolata su otto livelli uno più profondo dell'altro: di città sotterranee ne sono state scoperte tante nella regione, ma questa a quanto pare è la più grande; molti sono gli enigmi relativi alla loro storia, ma la presenza di chiese al loro interno rende plausibile il fatto che fossero abitate durante il periodo di persecuzione romana contro i primi cristiani. Per pranzo ci spostiamo nell'Ihlara Valley, in particolare a Belisirma, dove ci sono molti tavoli direttamente sul fiume ma per i turisti del tour è previsto un tavolo non sul fiume, con menu fisso e bevande esose. Il trekking nell'attiguo canyon è molto più breve di quanto ci era stato detto, anche se abbastanza piacevole; durante il cammino la guida mi ha detto che andare da sola a Konya poteva essere pericoloso, visto che è una città molto tradizionalista, e anche che la Turchia è piena di rifugiati siriani, afgani, iraniani eccetera e non se ne può più, senza contare la crisi economica, i prezzi che aumentano in continuazione e gli stipendi che restano bassi e infine il Grande Presidente che continua a togliere i diritti. L'ultima tappa è il bellissimo monastero di Selime, scavato nella roccia, e in particolare la sua cattedrale rupestre.
A volteggiare sulle decine e decine di agenzie turistiche e di cave hotel, a Göreme c’è sempre un sacco di polvere e infatti certi camion sono deputati ad innaffiare le strade. Il fatto è che qui il gas di città è arrivato solo l’anno scorso e dopo i lavori non hanno ancora asfaltato le strade, mi dice il tizio che fa le spremute d’arancia. Poi ci tiene a informarmi che fa dieci lavori, iniziando alle tre di mattina con il fatto dei baloon. Sono moltissimi gli uomini di queste parti che si svegliano molto presto la mattina: il business delle mongolfiere è infatti molto fiorente.
Quando sono venuti a prendermi alle 3 e mezza era ancora buio. Nel pulmino c'erano due ragazzi di Gibilterra molto contenti che io non solo conoscessi il loro luogo di origine ma ci fossi anche andata. Loro ci avevano già provato il giorno prima a fare il volo, ma all'ultimo lo avevano annullato per motivi di sicurezza (cosa non infrequente). Per questo si erano rivolti al mercato nero e avevano pagato 100 euro più degli altri per il giro odierno.
Alle sei e mezza, dopo aver morbidamente sorvolato questa valle della Cappadocia piena di calanchi, grotte e camini delle fate, dopo aver visto il sole che sorge e dopo aver bevuto un bicchiere di spumante mischiato allo sciroppo di ciliegie, sono tornata a dormire. Nel viaggio di ritorno ho pensato di essere stata fortunata, anche perché la sera prima avevo visto una stella cadente e inoltre un insetto portafortuna era venuto a darmi un bacio proprio sulla guancia.
In ogni caso, se non ci fossero le foto, sarei convinta di averlo solo sognato.
La Cappadocia ha visto susseguirsi le dominazioni di alcune antiche civiltà (come gli assiri, gli ittiti e i persiani) prima di essere annessa come provincia all'Impero romano. Tra il II e il III secolo si assistette dunque alla diffusione del cristianesimo, come testimoniano le tantissime antiche chiese ancora presenti nella regione. Il museo a cielo aperto di Göreme, per esempio, è un complesso di chiese, cappelle e monasteri scavati nella roccia, dove sono presenti antichissimi affreschi biblici che hanno sfidato impavidamente gli effetti del tempo. 
Pasabag è famosa per i cosiddetti "camini delle fate", sorta di funghi di roccia creati dall'erosione del tufo (anche se è più suggestivo credere che siano state le fate a realizzarli). Per entrare nel sito, a differenza di luoghi simili come la Love valley, bisogna pagare un biglietto e attraversare una galleria commerciale, proprio come in autogrill. A quanto pare, San Simeone lo stilita, che normalmente risiedeva in Siria a nord di Aleppo (molti anni fa visitai il sito con i resti della famosa colonna sulla quale passava le sue giornate), si trasferì qui per un periodo imprecisato, vivendo in un piccolo rifugio in cima a una roccia a forma di cono. Probabilmente si era stufato di tutti quelli che andavano da lui a chiedere consigli e miracoli e si prese un periodo di ferie. Di eremiti che vivevano qui (e in altre valli) ce n’erano molti altri e infatti Pasabag viene anche chiamata valle dei monaci.
Pasabag è collegata a Göreme da un servizio di dolmus (minibus) che in realtà (per quanto economici) tanto comodi non sono, perché non si capisce mai a che ora passeranno e poi si fermano in continuazione per caricare e scaricare persone. Inoltre, quando sono uscita dal sito, e dopo un'attesa di circa 40 minuti sotto il sole, uno ne è passato ma non si è fermato, costringendomi a chiedere un passaggio a un sacco di gente non tanto bendisposta, prima di trovare una coppia che – dopo un lungo momento di incertezza – ha acconsentito.
Per concludere il piccolo excursus storico-religioso, dopo l’anno Mille qui arrivarono i selgiuchidi, islamici, che nel tempo spinsero le popolazioni cristiane verso la costa e costruirono numerosi caravanserragli che fornivano alloggio alle carovane che percorrevano la Via della Seta. Nei secoli che seguirono, l'Anatolia fu teatro di conflitti tra i selgiuchidi, i bizantini e i crociati, fino a che nel XV secolo iniziò la lunga epoca dell’Impero ottomano.
Con il solito dolmus lentissimo che tutto il giorno fa la spola da una parte all’altra, mi reco ad Avanos (piacevole e tranquilla cittadina situata sulle rive del fiume Kizilirmak, poco turistica), e ad Ürgüp, molto più frequentata: essa sorge ai piedi di una scenografica collina, è dotata di molti hotel, negozietti e ristorantini, in uno dei quali mi fermo a mangiare una çorba. Il cameriere mi dice “italians fashion” a significare che ci riconosce subito noi italiani perché ci vestiamo molto bene. Inoltre mi informa che in Cappadocia non c’è il pienone di turisti perché con queste vacanze la gente ha preferito recarsi nelle località di mare della costa occidentale e meridionale. Qui il mio proposito di arrivare ad affacciarmi sul Mediterraneo perde quella poca consistenza che ancora gli restava.
All'ora del tramonto tutti si arrampicano fino al "sunset point" di Göreme e una volta lo faccio anch'io, nonostante abbia poco fiato e ci sia un vento piuttosto fastidioso. Oltre alla splendida vista sul fiabesco paesaggio, in questa stagione ci sono numerosi campi di lavanda in fiore, molto viola e profumati.
Quindi, per un caso fortuito, la sera mi ritrovo a festeggiare Osman, che compie 33 anni, si sposa fra 16 giorni ed è preoccupato per la sua prima notte di nozze. A parte me ci sono tre suoi amici e tutti bevono raki accompagnato da pezzi di melone, cetriolo, noccioline e cose così. Oltre alle sigarette si fuma pure la shisha, a giro. La musica che ascoltiamo da una cassa bluetooth è ovviamente turca e quando chiedo di mettere qualcosa di più allegro dicono che no, con il raki si ascolta musica malinconica. Uno degli amici di Osman più beve e più si avvilisce, dice che non sa mai con il raki come reagisce. A un certo punto, Osman urta con il gomito la shisha, che è di vetro ed è alta mezzo metro, la quale gli cade addosso: dei pezzi di carbone gli ustionano la coscia e lui non si capisce perché si strappa un pezzo di pantaloncino e se lo lega a mo' di fasciatura. Questo avviene subito dopo che lo stesso festeggiato aveva pronunciato le seguenti parole: "Do you believe in covid? I don't believe". Comunque a quel punto barcollando si avviano verso la macchina, ridendo al pensiero di come giustificare il tutto se fossero stati fermati dalla Polis. I festeggiamenti possono ritenersi conclusi.
Nonostante le mie precarie condizioni di salute, alla fine sono riuscita a vedere le attrazioni principali della Cappadocia, anche se ho dovuto rinunciare del tutto ai trekking. Mi mancava soltanto il fiabesco villaggio di Uçhisar, che però ho visto di sera, mentre V. mi accompagnava alla famigerata Turkish night. “Qui ci sono solo hotel per blogger o ricchissimi, non per noi!” commenta il mio autista di fronte ai miei oh di meraviglia.
Poco dopo il nostro arrivo a destinazione, è giunto un autobus da cui sono scese almeno quaranta donne e sporadici uomini. Sfoggiano un’eleganza d’altri tempi, fondata sul religioso principio del colore pastello. Sono georgiani. Altri autobus hanno sfornato comitive di provenienza molto simile, apparentemente, alla prima (ma anche, mi sembra, dell'estremo oriente), le quali si sono man mano accomodate ai tanti tavoli apparecchiati in questa grande grotta della Cappadocia. Immediatamente si sono materializzati dei camerieri che portavano una bottiglia di vino, una di raki e una di vodka, tra cui scegliere. Le danze sono iniziate subito, mentre cercavo – nei piattini presenti sul mio tavolo – qualcosa che non contenesse aglio, cipolla, cetriolo e peperoncino. Questa dozzina di ballerini, metà donne e metà uomini, che si presta alla messinscena, non fanno altro che cambiarsi d’abito a seconda della danza in programma, che potrebbe essere legata alla guerra come all’amore. A un certo punto, dopo l’apparizione di una presunta sposa a cavallo, siamo invitati a seguire in fila indiana uno di loro che ci porta in un cortile dove era stato acceso un falò, la musica continua e quando torniamo dentro ci aspetta uno striminzito spezzatino che alla fine sarà praticamente l’unico piatto della cena oltre gli immangiabili antipasti. Poi appare un derviscio 2.0 che ha la gonna che si illumina mentre gira. E infine il momento tanto atteso: la danzatrice del ventre, che scende dal soffitto dentro a un tubo di vetro. Dopo aver ballato per una decina di minuti, la tipa sceglie cinque maschi promettenti presenti in sala e li utilizza a fini, diciamo così, comici, costringendoli a fare alcune mosse di "belly dance".
Verso le undici V. e sua moglie vengono a prendermi, beviamo un ultimo bicchiere di vino e facciamo due chiacchiere. Le comitive arrivate con i pullman sicuramente si sono divertite, io non tanto. Lei è un’australiana bionda e mi capisce benissimo; non è stato facile sposare un turco che proviene da una famiglia abbastanza tradizionalista, con la mamma e la sorella che indossano il velo (per fortuna, anche se non hanno approvato la scelta, la rispettano). E comunque, la presenza di V. e di sua moglie, che gestiscono la “pansion” fricchettona dove ho alloggiato, ha contribuito non poco al mio benessere durante il soggiorno in Cappadocia.

Racconto di viaggio "COSE TURCHE. Destinazione Cappadocia"

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