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Jungle bells

Da Alleppey partono le migliori crociere sulle backwaters, un fitto intrico di placidi canali che si dipana parallelamente alla costa del Kerala per diverse centinaia di chilometri. Il barcone di giunco che mi accoglie è dotato di un ampio patio nel quale i passeggeri, stravaccati su poltrone e divani, possono godere di quella suprema sensazione di pace, di silenzio, di abbandono a cui probabilmente i keralesi sono abituati da sempre.
Trascorro la giornata di Natale cullata dalle onde, riscaldata dal sole, ipernutrita dal pranzo e dalla cena serviti dai cuochi di bordo. Nell'estasi del momento, non posso fare a meno di pensare ai miei amici e parenti che, sfasati di quattro ore e mezzo, stanno celebrando la santa festività a latitudini molto superiori alla mia. In loro onore, dopo aver dato fondo al riso, al dal, al pesce, alle rondelle di banana fritte e all'intera dotazione di caffè della houseboat, tagliamo solennemente un cubo che un tempo era un panettone Maina.
Lungo le rive dei canali la vita scorre al rallentatore. Moschee, chiese e templi, case e scuole. Mangrovie, banani, palme, ninfee e risaie. Canoe che trasportano merci, houseboat affollate di turisti che fotografano, imbarcazioni colorate occupate da suore che salutano. Pescatori che vendono aragoste blu, bambini che si rincorrono, giovani che camminano con il dhoti sollevato. Chilometri di vestiti stesi ad asciugare, sacchi in bilico sulle teste, pubblicità della Vodafone. E poi, donne che si lavano i capelli, donne che fanno il bucato, donne che salutano, donne che sorridono, donne che stanno sedute a fare niente.
Il panorama cambia colore assecondando il graduale calare del sole, finché non arriva la sera; i corvi, se possibile, sono ancora più numerosi. Il loro piumaggio è così lucido, di un nero quasi metallico, e sono così eleganti con quella loro livrea e quel becco così ben disegnato. Devo confessare che, a dispetto della cattiva fama che li accompagna, la loro presenza non la trovo affatto malaugurante. A meno che non te ritrovi uno nella zuppa. Ora, non è sicurissimo che quello spezzatino (poco speziato, a dire il vero) fosse di corvo e non di pollo (come giurava il cuoco), però quegli ossicini così piccoli e friabili, quel sapore inedito e selvatico e quei borbottii intestinali notturni mi hanno convinto che lo fosse. E anche se tutti i keralesi a cui l'ho chiesto (massaggiatrici, invitati a matrimoni, autisti di tuc-tuc) hanno giurato e spergiurato che il corvo non è un ingrediente contemplato nella cucina locale, e anche se effettivamente quella pietanza non fosse altro che un giovane polletto in fricassea, nessuno mi toglierà dalla testa di aver mangiato un corvo, quella sera.
Il risveglio mattutino è indimenticabile: il sole sta sorgendo dietro ai palmeti e l'acqua è ferma e piena di riflessi. Da lontano, se ci si mette in ascolto, un canto dolcissimo si spande nell'aria. Se devo dire la verità, non sono ancora convintissima che quella melodia quasi impercettibile fosse reale, probabilmente me la stavo soltanto immaginando, visto che è proprio la tipica melodia che verrebbe in mente ammirando quello scenario. Comunque sia, è un vero peccato dover tornare sulla terraferma e salire sul bus che si arrampicherà verso le prime propaggini dei monti Ghati occidentali.