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Bella ciao sotto il ponte di Mostar

Dopo una romantica cena lungo la piccola diramazione della Neretva nei pressi del Ponte Storto, penso sia giusto solennizzare con un cicchetto di rakija questa ultima sera in Bosnia. Al bar socializzo con un gruppo di musicisti folk italiani che mi invitano ad unirmi ad una piccola comitiva multiculturale che nel frattempo si è creata, per andare a suonare sulla spiaggetta sotto il ponte. Tra un brano e l'altro il fisarmonicista mi confessa di saperne troppo poco delle guerre jugoslave e mi prega di parlargliene. Ed è già il secondo giovane viaggiatore che mi fa la stessa richiesta oggi. «Avrei voluto un'insegnante come te» afferma al termine del racconto questo ventenne di Brescia con gli occhi lucidi, prima di provare a mettermi la lingua in bocca.
Delle ragazze dell'Est chiedono "Bandiera rossa", ma non viene eseguita, e invece i tre lombardi attaccano una versione di "Bella ciao" per fisarmonica, clarinetto, chitarra e rakija, che tutti cantiamo a squarciagola, nel cuore della notte, ai piedi del ponte di Mostar illuminato di giallo. Praticamente, la conclusione tipo di un film di Kusturica.

L'indomani un tassista mi accompagna all'aeroporto di Mostar per 8 marchi, ossia circa 4 euro. La donna con gli occhi truccati di nero e dal forte accento campano ce ne aveva chiesti 10, di euro, per portarci dall'aeroporto al centro. Lo dicevo io che c'era qualcosa di ambiguo in lei.
All'aeroporto ritrovo le allegre famiglie numerose per cui questo volo è stato creato, appesantite rispetto al viaggio di andata da un elevato numero di ingombranti madonnine avvolte nella carta di giornale, acquistate a Medjugorje. «Il turismo religioso è quello più redditizio», mi aveva detto Dario durante la visita dell'Erzegovina, «i turisti normali quasi sempre visitano un posto soltanto una volta, nei luoghi di pellegrinaggio si torna più volte.» Non sempre è così, caro Dario. Io per esempio qui ci tornerò. E non per il santuario.

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