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Sevilla, con que pasion te enamorara
Perepepèpepè!!! Anche questo volo Ryanair è arrivato in orario al piccolo aeroporto di Siviglia, capoluogo della comunità autonoma dell'Andalusia. Sembra ancora pomeriggio, ma sono le nove passate quando varco l'ingresso della pensione, deliziosamente andalusa con il suo impluvium tutto piastrellato nei colori del blu, la delicata fontana in pietra centrale e il grazioso portoncino in ferro battuto. Mi accoglie Raul, che solo in seguito scoprirò essere di origine cubana, ingannata dal vizio di mangiarsi tutte le "s" che i cubani condividono con gli andalusi. Dalla terrazza il cielo è rosso sangue dietro i tetti e le palme.
A pochi vicoli di distanza c'è la Carbonería, questo locale dove suonano il flamenco, locale che tutti si affrettano a dire che è "vero" e non turistico, ma tutti quelli che lo dicono sono turisti (pare che sia la fissazione di tutti i turisti dire che sono andati in posti non turistici e lamentarsi invece per quelli troppo turistici).
Boccali di birra e bicchieri di tinto de verano si ammucchiano sui tavoli di legno. Socializzo con questa ragazza spagnola con il nome di un'eroina di Donizetti e con il suo amico romano in visita: al termine del concerto la spumeggiante coppia mi guida tra le offerte culturali della notte sivigliana.
La mia prima meta mattutina la scelgo per il semplice motivo che me l'aveva consigliata la mia amica Giovanna: si tratta di Alameda de Hercules, una piazza che quasi cinquecento anni fa − prima dei lavori − veniva puntualmente inondata dal fiume Guadalquivir. La toponomastica cattolica (Plaza de Jesús de la Pasión, Plaza del Salvador, Las cuatros esquinas de s. Josè, Santa Barbara) mi conduce alla meta tra gli edifici bianchi, gialli e rossi del centro, le grate di ferro battuto nero, le tende di stuoia alle finestre e i teloni enormi che creano ombra sulle vie.
Io non ho capito cosa ci abbia trovato la mia amica in Alameda de Hercules, perché io alle 11 di mattina ci ho trovato una piazza più lunga che larga, due statue collocate su altissimi piedistalli (quella di Ercole, che secondo il mito ha fondato Siviglia, e quella di Giulio Cesare, che restaurò la città di Hispalis, come si chiamava all'epoca), diversi alberi, pochi passanti e delle fontane che partivano direttamente da terra. Poi, le numerose insegne di bar e locali notturni mi fanno dedurre che l'area è frequentata soprattutto di sera.
Proseguendo in direzione dei ponti costruiti in occasione dell'Expo del '92, e poi costeggiando il fiume, ritorno verso il centro. Siccome non voglio ammorbare il lettore con il continuo riferimento alle condizioni climatiche, non spiegherò il motivo delle tende di stuoia, né dei teloni né tanto meno degli impianti di irrigazione di cui sono forniti bar e ristoranti, che spruzzano acqua nebulizzata sui clienti ai tavoli. Né posso spiegare il motivo per cui due ore dopo devo sedermi a uno dei suddetti tavolini a bere un litro d'acqua e già che sto a spiluccare camarones e lumache (Hay caracoles! Annunciano con allegria numerosi locali in centro).
Alla cattedrale era tutta la mattina che ci giravo intorno, senza capire bene dove fosse l'entrata, ma allertata dalla famosa torre campanaria alta più di cento metri chiamata Giralda. Questo campanile stranamente familiare inizialmente non riesco a capire cosa mi ricorda, però poi leggo che mi ricorda il minareto della moschea della Kutubiyya di Marrakech, che fu preso come modello. Anche il termine Giralda mi diceva qualcosa e quello che mi diceva aveva a che fare con Cuba: una copia della statua che sta in cima al campanile si trova sulla torre del Castillo de la Real Fuerza dell'Avana, e mi sembra sia legata ad una leggenda di questa donna che spera di veder tornare il marito che però non tornerà mai più.
In ogni caso, la cattedrale di Siviglia è il terzo edificio religioso più grande al mondo. Le buie gigantesche navate in stile gotico sono cinque: in quella centrale (anche se nella lista delle navate più alte del mondo sta solo al tredicesimo posto) ci sono l'immenso coro barocco, l'altare maggiore e la Cappella reale (che però è chiusa per lavori). E infine c'è l'elaborata tomba di Cristóbal Colón, che rappresenta le quattro regioni storiche della Spagna che portano sulle braccia il catafalco dell'illustre navigatore. In merito alle spoglie di Colombo c'è una disputa aperta, perché esse hanno subito alcune disavventure e ora, per dirla in breve, non si sa se esse si trovino tutte qui a Siviglia, oppure davvero alcuni ossicini siano andati a finire nel monumento costruito appositamente nella Repubblica dominicana.
L'appuntamento è alle sei agli Alcázares Reales. Anche in questa vera e propria meraviglia di arte islamica mi sembra di essere tornata in Marocco, non a caso il primo nucleo di questo palazzo reale risale alla stessa dinastia almohade sotto la quale furono realizzati sia la kasba di Marrakech sia la moschea di Rabat (nonché la giralda/Kutubiyya di cui sopra). I lavori successivi seguirono i dettami dell'architettura mudejar (un mix di elementi islamici-cristiani che avevo già visto alla Aljafería di Saragozza) fino ad arrivare agli elementi gotici introdotti da Carlo V (quello che diceva che sul suo regno non tramontava mai il sole). Nella cappella della Casa de Contratación − location di un mitico incontro tra i re cattolici e Colombo appena tornato dall'America − c'è "La Madonna dei Navigatori", il più vecchio dipinto conosciuto il cui soggetto è la scoperta delle Americhe. Sia il palazzo sia gli immensi giardini sono così incantevoli che se non stai attento rischi di trascorrerci tutta la giornata.
Per la serata agguantiamo i biglietti gratuiti messi a disposizione dalla municipalità di Siviglia per assistere ad un concerto jazz, ospitato in una delle tantissime terrazze da cui si domina la città (e da cui la giralda è davvero vicinissima). Per finire Raul, mentre mi conduce in alcuni locali ad aria condizionata del centro, mi racconta alcune sue interessanti esperienze vissute all'università di ingegneria dell'Avana.
L'Arena de la Real Maestranza di Siviglia, dove si svolgono tuttora le corride, la visito sotto un sole cocente che rende l'enorme cerchio di terra battuta di un giallo abbacinante. Tutto intorno, i più di diecimila posti a sedere hanno prezzi diversi a seconda della presenza o no dell'ambitissima sombra. Il palco del Principe invece resta chiuso se non è presente nessun membro della famiglia reale. Visito il museo che ripercorre l'antichissima storia taurina di Siviglia, ma non mi lascio convincere ad acquistare un biglietto per lo spettacolo della sera.
La Torre dell'oro, che sorveglia il fiume Guadalquivir, risale ai soliti Almohadi; attualmente ospita il Museo Navale, che celebra la storia di Siviglia come porto fluviale, e che ho visitato per il solito motivo: la presenza dell'aria condizionata.
La meta successiva è il bellissimo Parco di María Luisa che, oltre ai giardini veri e propri, ospita alcune grandi opere risalenti all'Esposizione iberoamericana del 1929, in vista della quale furono costruiti i padiglioni espositivi. In particolare in questa occasione fu progettata e realizzata la meravigliosissima Plaza De España, un semicerchio grande circa 50.000 metri quadrati, al centro del quale ci sono un canale navigabile e una fontana. Con 42 gradi tutti i visitatori stanno rintanati sotto i portici o accanto alle ringhiere maiolicate gialle e blu (protette dagli alberi) e nessuno osa avvicinarsi alle panchine decorate con gli stemmi e le mappe delle province spagnole, realizzati in ceramica. Solo ardimentosi gruppetti di turisti dell'estremo oriente si avventurano sui quattro ponticelli, privi di ombra.
Quando riesco ad arrivare al museo delle belle arti lo trovo già cerrado, invece per fortuna il Centro Andaluso d'Arte Contemporanea non solo chiude tardi, ma anzi dalle 19 l'ingresso è gratuito. Attraverso dunque Calle Alfonso XII e Calle Laureano e raggiungo la Isla de la Cartuja, superando l'omonimo ponte. L'isola è compresa tra il canale intitolato ad Alfonso XIII ed il Guadalquivir vero e proprio, più periferico, ed è il quartiere ristrutturato in occasione dell'Expo del '92. A quel punto percorro il lunghissimo Camino de lo Descubrimientos e solo quando imbocco Avenida de Américo Vespucio posso dire di essere quasi arrivata. Il museo è ospitato nella monumentale certosa di Siviglia (che ospitò Colombo in varie occasioni), successivamente convertita in fabbrica di ceramiche e infine in Padiglione Reale dell'Esposizione Universale, che commemorava il quinto centenario della scoperta dell'America.
Sulla via del ritorno, tra grandi arterie di comunicazione e rotondoni deserti, moderni edifici e padiglioni, riesco a raggiungere il quartiere di Triana dove posso finalmente assaggiare il rabo di toro, un piatto adattissimo alle temperature di luglio: si tratta di succulenti bocconcini di grassissima coda dell'animale simbolo della Spagna, accompagnati da patate al forno.
La passeggiata digestiva sul lungofiume, lungi dal regalare un po' di refrigerio, avviene sotto una cappa di umidità stile foresta amazzonica. E anche nel Barrio de Santa Cruz, tra le pittoresche stradine, nonostante sia ormai passata la mezzanotte, non un alito di vento asciuga il sudore sulle facce sfatte dei turisti e dei camerieri.
Racconto di viaggio "LO STRETTO NECESSARIO. ANDALUSIA E GIBILTERRA"