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La terra dei pistacchi

La Turchia ci tiene parecchio ad entrare nell'Unione Europea, ma quelli che contano in Europa ancora non la vogliono perché dicono che non sta rigando sempre dritto. In ogni caso le è permesso già di partecipare ai progetti europei ed è per questo motivo che noi siamo venuti qui.
Istanbul, effettivamente, non era la meta principale di questo viaggio: è stata solo un fugace scalo sulla via che ci portava nell'Anatolia sudorientale, a più di mille chilometri di distanza. Atterrati a tarda ora a Gaziantep, ancora 60 km ci separavano da Kilis. Ivi giunti, abbiamo scoperto con raccapriccio che in città era vietato bere alcolici in pubblico e dunque che nessun bar o ristorante, nemmeno quello dell'hotel, poteva vendere nemmeno una birra.
Il giorno dopo, nel centro storico di Kilis, grossi stormi di uccelli neri solcavano le nuvole grigie mentre ammiravamo le antiche moschee ottomane giallastre, i bovindi e le finestre in legno intarsiato e il cinquecentesco hamam, in fase di restauro. In un locale tipico abbiamo fumato il narghilè e bevuto il tè e il caffè seduti su quei loro cuscinoni imbottiti colorati, mentre allo schermo televisivo di ultima generazione trasmettevano a loop il video di un fuoco acceso; sul tavolino basso vennero poggiate bellissime tazzine e zuccheriere di rame. Ma la maggior parte del tempo lo abbiamo trascorso al ristorante: prima di attaccare l'immancabile kebab locale, bisogna farsi servire almeno dieci piatti diversi di meze accompagnati dal classico pane piatto, squisito. Per finire arriva un dolce che − indipendentemente dalla forma e dall'aspetto − è costituito da pistacchio, miele e pasta Kataifi.
Dopo due giorni di kebab a pranzo e a cena, l'intero mio corpo trasudava effluvi ovini. Per fortuna una provvidenziale gastroenterite è giunta in mio soccorso. Tutto iniziò mentre tornavamo da Gaziantep, a tarda notte. Avevamo trascorso la serata all'ultimo piano di un hotel, in una saletta privata dove dopo quasi 48 ore di astinenza da alcol ci eravamo sentiti in dovere di pareggiare i conti, tracannando ingenti quantità di raki. Nel momento in cui ho cominciato a vomitare nessuno se n'è accorto, tutti dormivano profondamente. Nemmeno l'autista ha mostrato di accorgersi del fatto che ho trascorso metà viaggio con la testa fuori dal finestrino dello scassato minibus, disseminando pezzi di kebab mischiati a raki nell'arida terra dei pistacchi.
Nonostante le apparenze, la causa del mio malore andava cercata fondamentalmente nel freddo umido di Istanbul e solo marginalmente nello straordinario consumo di vettovaglie, seppure anche a pranzo non ci fossimo limitati (non a caso Gaziantep è famosa in tutta la Turchia per i suoi piatti tipici che mostrano influenze arabe, armene e curde).
Ovviamente a Gaziantep non avevamo solo mangiato. Avevamo visitato prima lo zoo e poi il centro storico, sovrastato dalla cittadella, fondata dai romani e poi restaurata da Giustiniano (statue dorate di soldati a difesa della kale ci puntavano il fucile dall'alto). Avevamo trascorso del tempo nel bazar, osservando i fabbri ramai e i calzolai al lavoro e ammirando le piramidi di spezie, i secchi di pistacchi, le ghirlande di peperoncini secchi e le straordinarie pile di simit al sesamo portate in equilibrio sulla testa dai venditori ambulanti.
Nel Museo Zeugma, nuovo di zecca, sono esposti i mosaici rinvenuti e tempestivamente messi in salvo a Belkıs-Zeugma, prima che fosse sommersa per sempre dalla diga di Birecik. Percorrendo le apposite passerelle e affacciandoci dal secondo piano, abbiamo potuto ammirare i resti dei mosaici, delle statue, delle colonne, dei muri perimetrali che appartenevano alle sofisticate ville di questa ricca città romana, fondata sulle rive dell'Eufrate da un generale di Alessandro Magno e in seguito ultimo avamposto dell'Impero (al di là del fiume iniziava il deserto dei Parti, barbari d'Oriente). Coppie di sposi si aggiravano spaesati, mano nella mano, in questo inusuale set fotografico, in pose poco naturali tra mozziconi di colonne, antichi gabinetti e grandiose immagini di aridi panorami montani. Oltre ad Oceano e Teti, Icaro, Dioniso sul carro trainato da leopardi, il pezzo forte della collezione di mosaici è la cosiddetta "Giovane zingara", famosa per lo sguardo penetrante ed enigmatico (talmente enigmatico che secondo alcuni apparterrebbe ad Alessandro Magno).

Galleria fotografica

Racconto di viaggio "KEBAB A COLAZIONE. Da Istanbul al Sud-Est della Turchia" 

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