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LA GRECIA CHE TI ASPETTI

Santorini, inizialmente, avrebbe dovuto rappresentare il dessert di un viaggio estivo di 18 giorni tra Grecia e Albania meridionale. Di questa meta romantica, mi attraeva quella bellezza bianca, blu e rotonda che è lo stereotipo della Grecia (Paese che tra l’altro avevo sempre schifato). Avevo deciso di fare la signorina perbene prenotando un posto letto in cabina nel traghetto notturno che parte dal Pireo, e anche un hotel meno spartano del solito, situato nella splendida cornice di Firostefani, come l’avrebbe definita un bravo presentatore. D’altra parte l’unico motivo per andare a Santorini – si era capito – è la straordinaria bellezza del panorama sulla caldera, dunque valeva la pena evitare di fare la stracciona per una volta e invece alloggiare sul bordo della medesima. Purtroppo una serie di eventi imprevisti mi ha costretto a posticipare così tanto la partenza che quest’isola è diventata il ben misero piatto forte del viaggio.
Arrivando la mattina al porto di Fira, l’isola più grande incombe abbagliante nel blu. Quindi un autobus pubblico sale faticosamente le curve a gomito fino al capoluogo. 
L’esperienza imperdibile da fare a Santorini l’ho fatta immediatamente e senza premeditazione. Raggiunta a piedi Firostefani e lasciato il bagaglio in hotel, due passi ed ero alle scenografiche Tre campane. Da lì, una forza misteriosa mi ha spinto a proseguire quasi in trance lungo il bordo della caldera sul sentiero pedonale che si dispiega in direzione Imerovigli. I turisti in questo tratto extra luxury sono rintanati nella loro microterrazza bianchissima a bordo di minuscole piscine affacciate sul blu mitico, in soluzioni abitative che non tengono in minimo conto l’esistenza della privacy. Nessuna meraviglia che tutti questi orientali vengano qui a sposarsi: brunette dagli occhi a mandorla in abito bianco, ospiti in eleganti tailleurini colorati in posa davanti agli archi di calce bianca, fotografi acrobati sulle cupole blu.
Man mano che si procede, la natura brulla comincia a prevalere sul paesaggio umano, il venticello cala, il sole dà prova della sua latitudine, ed è inevitabile effettuare sempre più soste per bere e riposarsi presso sporadiche chiesette circondate dal nulla. 
Dopo circa quattro ore, sono giunta a Oia, il gioiellino di Santorini, dove sono certa di meritarmi una grande birra gelata in un bar con vista mozzafiato. A causa del gran caldo Oia è semivuota e anche per questo straordinariamente bella. Anche qui costosissime terrazzine per turisti di lusso abbaglianti di calce e ornate di maestose bouganville, con il valore aggiunto dei mulini a vento sullo sfondo.
All’ora del tramonto non è una malvagia idea trovarsi tra le straducole e le chiese arancioni di Pyrgos, un villaggio in cima a una collina a sud di Fira da dove si vede il mare. Attraverso una breve passeggiata tra i vigneti rasoterra tipici del luogo si può raggiungere una tappa obbligata di Santorini: la Santo Wines Winery, illustre azienda produttrice dei vini dove, alla numerosa clientela, vengono proposti per la degustazione vari calici in ordine di corposità accompagnati da diverse varietà di formaggi. I tavoli sono ovviamente affacciati sulla caldera che pian piano viene inghiottita dalle tenebre. I fuochi d’artificio comunicano ai presenti che anche qui è in corso una festa di matrimonio.
Il centro di Fira è evitabilissimo: giusto il tempo di prendere uno spiedino di kebab e prenotare una gita in barca e mi avvio verso la mia amata Firostefani, dove il panorama è commovente anche di notte.
Senza contare, l'indomani, la colazione sulla terrazza dell’hotel, che resterà tra le esperienze più indimenticabili di tutti i tempi nonostante i millemila nodi del vento da nord.
La destinazione odierna è Akrotiri-Red beach, nella parte sudoccidentale dell’isola, rapidamente raggiungibile in autobus.
Il sito archeologico di Akrotiri è uno dei più importanti delle Cicladi, pubblicizzato come “la Pompei dell’Egeo” poiché la città fu interessata da una portentosa eruzione vulcanica che l’ha conservata per secoli sotto la cenere e il materiale lavico, consentendo agli archeologi a partire dagli anni Sessanta di rinvenire moltissimi reperti - ma anche di scoprire che gli akrotiresi la sapevano lunga in fatto di ingegneria urbana, tanto è vero che alcune case erano dotate di acqua corrente e fogna.
Questa è stata una delle più grandi catastrofi dell’epoca storica nel Mediterraneo, colpevole secondo alcuni addirittura della fine della civiltà minoica, ma a quanto pare altri cataclismi precedenti avevano distrutto l’insediamento, che era infatti stato ricostruito varie volte, l’ultima delle quali probabilmente solo pochi mesi prima del grande evento del XVII secolo a. C. A differenza di quanto accaduto a Pompei, non è stato ritrovato nessun corpo, probabilmente perché gli abitanti ebbero tutto il tempo per smammare, portando con sé anche i loro beni più preziosi.
Ciononostante, al sito archeologico rinuncio senza rimpianti, perché mi avevano detto che non ne vale assolutamente la pena: le informazioni sono scarse e le visite guidate inesistenti, per cui il visitatore medio non capisce niente di quell’ammasso di pietre che giace sotto alla moderna struttura; senza considerare il caldo tremendo e dulcis in fundo i 12 euro – immotivati, a questo punto – di biglietto.
Giunti a destinazione, invece di smadonnare sotto al sole sul sentiero che conduce alla spiaggia rossa (come fanno tanti ignari compagni di autobus), mi dirigo direttamente alla vicina caletta da cui partono le barche che per la modica cifra di 5 euro fanno la spola continua tra le tre spiagge del promontorio. La rossa Red beach è molto fotogenica quanto affollata e la evito accuratamente. La nera Black beach è dotata di lido attrezzato pseudo-trendy di cui utilizzo solo la toilette. La bianca White beach è minuscola ma dotata di apprezzabili falesie simili a quelle del Gargano: l’unico problemino è che la barca ti fa scendere lontano dalla costa e per i diversamente alti non è agevolissimo evitare che la borsa si bagni (a meno che non si materializzi un prestante giovane di colore alto minimo uno e novanta che presta soccorso, come è capitato a me). In ogni caso, i bagni sono molto refrigeranti nonostante gli odiosi ciottoli, ma non è certo per questo che io o ad esempio queste ragazze siciliane (con cui ci siamo scambiate uno sguardo carico di significati sollevando le sopracciglia) ci saremmo sciroppate tutto il viaggio per venire fino a Santorini. Tornata sulla terraferma è un vero piacere pranzare ad un tavolino in bilico sul mare e fare il bagno tuffandosi direttamente dalla sedia.
Verso le sette mi lascio convincere a prendere il bus e andare a Oia per vedere il fottutissimo tramonto (nondimeno spacciato come l’esperienza più immancabile da fare a Santorini): per raggiungere la rinomata terrazza dei tramonti c’è una sola viuzza larga al massimo 2 metri mentre le persone ivi giunte sono alcune centinaia (una buona parte convogliata là da tutta l’isola tramite tour organizzati che si chiamano “Tramonto a Oia”). Quelli che già non hanno preso posto sulla terrazza (schiacciati come sardine sotto a una tettoia di smartphone, bastoni per selfie e macchine fotografiche) rischiano di restare imbottigliati a pochi passi dall'agognata meta. Un inferno. Come dio vuole, scomparso il maledetto sole dietro l’orizzonte, la maggior parte della gente se ne va e si può cenare in santa pace in una delle taverne defilate rispetto alla via centrale.
L’appuntamento è al porto vecchio di Fira alle 10. Per fortuna mi sono mossa per tempo, visto che per arrivarci bisogna percorrere una lunghissima mulattiera che scende dall’alto di Fira fino al mare, in una serie infinita di tornanti invasi da centinaia di muli adibiti al trasporto di cose e persone, i quali come se non bastasse hanno ricoperto i gradoni dei loro escrementi.
Mi aspetta la gita in barca nella caldera, che si formò al termine dell’imponente eruzione di cui sopra, quando il vulcano collassò e sprofondò nel mare (e qua è un attimo pensare al mito platonico di Atlantide, l’isola che sarebbe stata sommersa "in un singolo giorno e notte di disgrazia" per volere di Poseidone). L’isola circolare di un tempo è quindi diventata un arcipelago, costituito oggi dalle due piccole isole vulcaniche di Nea Kameni e Palea Kameni, da Therasia, l’unica abitata, e dallo scoglio di Aspronisi. A quanto pare nessuno vieta che nel futuro la caldera si riempirà di nuovo di magma facendo nascere nuove isole. Tutte queste informazioni ce le dà questa ragazza che ci fa da guida sulla nera Nea Kameni, dove ci aspetta un lungo cammino tra i crateri, uno o due dei quali ancora attivi. La seconda tappa prevede che ci si tuffi in mare fino a raggiungere le puzzolenti sorgenti di zolfo (hot springs) che trasformeranno un costume da bagno immacolato in un inservibile straccetto marrone da buttare via. E infine si sbarca all’isola di Therasia dove possiamo trascorrere alcune ore spensierate mangiando in una delle piacevoli taverne che invadono la costa e facendo bagni nell'acqua trasparente e finalmente priva di ciottoli.
Per l’ultima notte mi sposto a Kamari, la Torre Canne di Santorini, dove effettivamente ci sta l’unica vera spiaggia dell’isola (più bella anche di Perissa, Perivolos e Monolithos, a giudizio di chi ci è stato), seppur anche qui composta tutta di fastidiosi ciottoli. Sulla lunghissima costa, delimitata dalla parete della collina rocciosa che la separa da Perissa, si susseguono decine di lidi attrezzati, ognuno con il suo ristorantino sul lungomare, un po’ più in alto. Basta un colpo d’occhio per capire che qui fanno base i turisti che non si possono permettere di alloggiare sul bordo della caldera. Certo venire qui quando hai a pochi chilometri la stupendezza di Firostefani e Oia è davvero un peccato, però il posto è tranquillo, i prezzi più bassi e i negozietti di paccottiglia inguardabile non sono certo peggio di quelli di Fira. 
Purtroppo si è levato un vento da nord molto forte per cui non è cosa né mangiare sul mare né fare il bagno il giorno dopo. Ma non è l’unico motivo per cui devo rinunciare al mio programma balneare: nonostante l’aeroporto sia accanto alla spiaggia, infatti, per arrivarci con un mezzo pubblico bisogna tornare a Fira e da lì prendere un altro autobus. Ne approfitto allora per visitare il nuovo e moderno Museo della Thera preistorica del capoluogo, dove si possono ammirare i bellissimi affreschi rinvenuti ad Akrotiri, tra i più antichi esempi di pittura decorativa di tutta Europa. 
E con questo mi preparo a lunghe attese nel microscopico (e affollatissimo) aeroporto giocattolo di Santorini.

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