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Varanasi by night

E poi finalmente raggiungo il ghat Manikarnika, il più grande di Varanasi, che è già buio e tutta l'enorme gradinata si presenta né più né meno che come l'inferno. Qui ogni giorno vengono bruciati qualcosa come 200 o 300 cadaveri ed è ovvio che i lavori fervono senza sosta. Tonnellate di ciocchi di legna attendono di essere utilizzate e sono ammucchiate sulle barche o per terra, centinaia di persone aspettano il loro turno per lavare il loro parente nel fiume e poi sistemarlo nella pira tutto impacchettato di arancione. I barbieri intanto radono e rapano a zero il parente che avrà il privilegio di accendere il falò, usando rigorosamente un tizzone staccato dal fuoco eterno – che poi uno dei parenti per poco non mi ustionava col suo pezzo di fuoco eterno mentre scendeva le scale. Nel buio solo le fiamme delle pire crematorie fanno luce, sparse sui vari gradoni del ghat a seconda della casta a cui i morti appartenevano in vita. Anche il piano più alto è affollato, l'unico utilizzabile durante il monsone, quando il livello del fiume sale notevolmente. I parenti sono vestiti di bianco, i morti di arancione, tutto il resto sfuma nel nero in attesa che i cadaveri diventino cenere e che le ossa che non bruciano siano gettate nel fiume, ossa che andranno a fare compagnia ai corpi di lebbrosi, bambini, donne incinte ed animali che non possono essere cremati e che quindi vengono abbandonati interi nelle acque del fiume sacro. Solo la mattina dopo i lavoratori del gigantesco crematorio (tutti appartenenti alla casta degli intoccabili) andranno a recuperare l'oro che il fuoco non è riuscito a mangiarsi.

Racconto di viaggio "UN VIAGGIO DA LECCARSI I BAFFI. Un altro Capodanno in India"