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In viaggio senza notifiche
Eccomi qua, sono una dei duemila turisti che nel 2024 hanno viaggiato in Eritrea, collocandola al non invidiabile quinto posto della classifica dei Paesi meno visitati al mondo. Il mio aereo, proveniente dal Cairo e atterrato ad Asmara nel cuore della notte, è pieno di eritrei della diaspora che tornano a casa per le vacanze di Natale: altri bianchi non ce ne sono. L’aeroporto è aperto solo tre giorni alla settimana, in cui sono concentrati gli sporadici voli che collegano l'Eritrea con Dubai, Istanbul e poco altro (la compagnia Ethiopian Airlines tre mesi fa ha cancellato tutte le tratte).
La fila per il controllo passaporti e visti è molto lenta, ma mi viene spiegata subito la ragione: i ragazzi che ci lavorano sicuramente non andavano molto bene a scuola. In questo Paese infatti l'ultimo anno del percorso di istruzione deve essere svolto presso un centro di reclutamento militare situato a 280 km da Asmara. In questa accademia (già attenzionata dagli osservatori internazionali per abusi e torture) ogni anno tra gli 11 mila e i 15 mila studenti seguono un primo addestramento militare, seguito dal servizio civile: solo chi ha una buona media svolgerà quest'ultimo presso uffici governativi o ambasciate, gli altri in luoghi meno di prestigio come questo aeroporto, o molto peggio.
Le valigie sono accatastate senza ordine in una grande sala scarsamente illuminata. Quelle provenienti da Milano non sono arrivate – evento così prevedibile che a Roma mi ero tenuta stretta il mio bagaglio a mano quando un'impiegata della compagnia aerea ha insistito per farmelo imbarcare. Il "duty free" è uno spartano magazzino dove si stagliano imponenti muraglie di scatoloni di pasta Barilla, olio Coppini, birra Heineken, tutti prodotti provenienti dagli Emirati Arabi o altri Paesi vicini, poiché con l'Europa vige un ferreo embargo.
Il nostro hotel è dotato di un bar/ristorante al chiuso e di alcuni tavolini all’aperto, ha molti comodi divani e due grandi schermi, uno sintonizzato perennemente su Al Jazeera e l’altro prevalentemente dedicato alle partite di calcio, ma – soprattutto la mattina – anche ai documentari sugli animali selvaggi. Diversi ospiti sono clienti fissi della caffetteria dell'albergo e nel corso dei giorni in cui ho pernottato qui sono diventati familiari come i divani grigi, le notizie che scorrono senza volume sul teleschermo, la foto incorniciata del Presidente, gli orologi delle più importanti città del mondo con gli orari tutti sbagliati.
Per esempio c'è questa donna sempre molto accappottata con cappello e sciarpa, che ha vissuto 47 anni in Germania. La sua storia è che il marito tedesco, già forte bevitore, prima era diventato novax e poi era entrato in un gruppo di neonazisti: fu in quel periodo che cominciò a maltrattarla, incoraggiando anche il suo entourage del quartiere a tormentarla e minacciarla in vari modi, finché lei non ha deciso di divorziare e tornare in Eritrea. E ora, ogni volta che la incontro ripete la stessa frase: "Tedeschi cattivi, italiani cuore grande".
Poi c’è l’avvocato Mikele, un distinto signore con i capelli bianchi e i baffi che sorbisce il suo “makiato” pieno fino all'orlo. Ai suoi tempi si studiava anche italiano a scuola, ma lui non lo ha più praticato e dunque conversiamo in inglese (tutte le persone istruite lo parlano abbastanza bene perché è in questa lingua che si tengono le lezioni dalle superiori in poi). "Perché non possiamo essere amici noi e l'Italia?" mi fa Mikele "Se non ci sono gli accordi non possiamo importare niente da voi...". Quindi mi racconta speranzoso che l'anno scorso il Presidente Isaias Afewerki è venuto a Roma per incontrare la Meloni. In quell'occasione si è parlato di programmi di investimento, ma anche ad esempio degli ascari (i soldati eritrei arruolati forzatamente dall'Italia), che secondo Isaias – molti lo chiamano così, visto che i cognomi nell'onomastica eritrina non esistono – possono diventare un ponte per la cooperazione tra i due Paesi, se solo il governo italiano si decidesse ad aprire gli archivi.
In Eritrea gli stranieri non possono acquistare una SIM card, che è riservata ai residenti, e comunque internet mobile è assente. Negli internet point e in alcuni alberghi si può acquistare un'ora di connessione, ma non è detto che funzioni nel vero senso del termine (di certo non si può usare Whatsapp, che è proprio vietato). La disconnessione forzata rende arduo un viaggio in solitaria, ma dà la possibilità di immergersi pienamente nella vita eritrea, proprio come un tempo, quando in viaggio staccavi davvero da tutto ed entravi nelle storie del Paese, come quelle di Mikele, della donna freddolosa o dell'asmarino che da piccolo fu adottato da una famiglia romana ricca sfondata.
La notte del nostro arrivo è andata via l'elettricità, ma al mattino è tutto in regola. Mi vengono serviti rapidamente un'omelette e un succo di guava; le comande relative al settore caffetteria accumulano invece sempre un certo ritardo, forse a causa delle ragazze che stanno sempre a chiacchierare.
Racconto di viaggio completo "DOLCE VITA ERITREA"