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Asmara, la piccola Roma
Asmara fu occupata dall'Italia dopo Assab e Massaua e nel 1897, per via del suo clima favorevole, fu scelta come nuova capitale. Oltre 50 anni di presenza coloniale hanno lasciato tracce indelebili sul territorio e sugli stili di vita eritrei, e anche i coloni, quando si sono dedicati alla modernizzazione di Asmara, ci hanno tenuto a riprodurre in terra africana l'ambiente più italiano possibile. Per questo ancora oggi la città ci appare così familiare, con le insegne in italiano (Bar Zilli, Farmacia centrale, Dentista), i barbieri, i gelatai, l'ufficio postale, le vecchie FIAT, i campanili, i capannoni industriali abbandonati, le scritte sui tombini (Acquedotto di Asmara - Fonderia Montini - Brescia). Asmara è "un esempio eccezionale di primo modernismo urbano dell'inizio del ventesimo secolo e della sua applicazione in un contesto africano" (come si legge nella dichiarazione dell'UNESCO), dove troviamo un incredibile numero di opere architettoniche di pregio. "Quando gli italiani sono arrivati hanno avuto una grandissima libertà di costruire. Mentre in Italia c'erano dei vincoli alla realizzazione di opere e palazzi, qui avevano come un foglio bianco su cui potevano sbizzarrirsi", mi ha detto Phil, l'antropologo sagace del Museo nazionale. Fra i primi edifici realizzati si annoverano la cattedrale in stile romanico lombardo e il teatro dell'Opera, che come tale non viene più usato da anni, mentre il suo foyer è oggi un frequentato bar affacciato sulla centralissima Harnet Avenue (il vecchio Corso Mussolini). La maggior parte delle opere architettoniche iconiche di Asmara furono però realizzate dopo la conquista dell'Etiopia: la ex stazione di servizio Fiat Tagliero, un edificio in stile futurista a forma di aeroplano dotato di due specie di ali in cemento non sostenute da niente, su cui si può camminare; il Cinema Roma, oggi più che altro usato come bar, mentre nella sala cinematografica proiettano le partite di calcio; la Casa del Fascio (ora municipio) in stile littorio, con i "fasci" che fino al 1941 decoravano la torre; il Cinema Impero, considerato uno degli esempi più emblematici in stile art déco. Inoltre in città sono presenti diverse ville in stile "coloniale italiano", alcune di esse attualmente sedi di ambasciate o residenze di diplomatici.
Nel cimitero italiano di Asmara riposano numerosi soldati caduti eroicamente nell'adempimento del dovere, tra cui un "tenente prode e leale, padre integerrimo e camerata cordiale", una "medaglia d'oro con 17 vittorie aeree che raggiunse nel cielo degli eroi il padre caduto sul Carso", un "combattente nella grande guerra in Tripolitana e per la conquista dell'impero ferito e decorato", un "caduto sulla via del dovere all'alba dell'era coloniale nostra". Ma ci sono soprattutto civili, chi sepolto in una cappella di famiglia chi in una tomba singola come questa su cui è realizzato un tronco d'albero spezzato in due da un fulmine. Troviamo qui i resti dell'uomo che "visse nell'onestà e nella modestia null'altro desiderando che l'adempimento della rettitudine", di quello che "in questa terra a lui tanto cara dedicò per la grandezza della patria studi profondi", di colui il quale "nella maliosa terra d'Affrica venne con i primi vessilli d'Italia", dell'italiano che diede all'Eritrea "l'audacia nella guerra e nella pace il lavoro fecondo", del defunto che è "•ato in Firenze e •orto in Asmara" perché alcune lettere si sono staccate.
Nella "piccola Roma" si trovano facilmente anche gli archivi del "Corriere Eritreo" degli anni della colonia, dove avrei trascorso giorni interi a leggere le notizie della storia e soprattutto la piccola cronaca quotidiana di un tempo che fu (che fu anche nostro). Questo piccolo tesoro è presente ad esempio nell'albergo Italia (gioiello dell'architettura italiana ed elegante set per foto nuziali) e presso l'istituto di cultura Casa degli italiani (dove hanno finalmente riavviato i corsi di lingua).
Il viaggio nel tempo è reso più verosimile dai molti anacronismi dell'Eritrea odierna: poiché bancomat e carte di credito non funzionano, si paga in contanti con banconote lacere; nel famoso bowling di Asmara i birilli abbattuti vengono riposizionati manualmente, i punti si scrivono su un foglio di carta, i giovani giocano alla Playstation e i più anziani giocano a boccette o a stecca; e soprattutto dovunque, sensazione ben strana, ben pochi stanno con il cellulare in mano.
Ritroviamo la nostra amata Italia non solo nella retorica antica e negli edifici d'epoca, ma anche nella lingua. Nei bar la gente beve deliziosi makiati e cappuccini, nei ristoranti si mangiano la pizza e la pasta, ma l'italiano ha regalato molte altre parole al tigrino: finestra, porta, tavola, martello, cemento, municipio, biro, forchetta – ma non cucchiaio, che si dice "manca" (anch'essa in realtà è una parola italiana: secondo una storiella che mi è stata raccontata cominciarono ad usarla quando una governante indigena fraintese le parole del suo datore di lavoro italiano, il quale non voleva insegnarle come si dicesse cucchiaio, bensì voleva dirle che quella posata, appunto, mancava). Fino a tre anni fa c'era ad Asmara una prestigiosa scuola italiana, ma il governo eritreo l'ha chiusa insieme a tutti gli istituti privati e stranieri, creando indignazione sia nel nostro Paese sia tra le migliaia di studenti eritrei, anche giovanissimi, che la frequentavano.
In un "cocktail lounge" molto frequentato durante il week-end ho conosciuto due ragazze ventenni che hanno imparato la nostra lingua alla scuola italiana, mentre adesso studiano arti e scienze sociali al College che avevamo visto ad Adi Keyh. Quando ho chiesto ad un avventore molto socievole come mai le ragazze che vedevo nel locale – a differenza dei maschi – fossero così giovani, mi ha detto che i ragazzi stanno tutti al militare, mentre le donne un po' più grandi non escono perché stanno a casa con i figli. Lui – ci ha tenuto a dire, cercando di abbracciarmi – non è così conservatore, infatti sua moglie lavora e certe sere anche lei esce con le amiche. Questo è l'unico posto dell'Eritrea dove ho visto fumare le sigarette elettroniche, che pensavo non esistessero proprio (l'autista che mi ha accompagnato all'aeroporto poi mi ha detto con aria di sufficienza che questo bar lui non lo frequenta perché ci vanno solo i figli di papà). Infine qui ho conosciuto un ragazzo di 27 anni, non ancora sposato, il cui più grande sogno è viaggiare per il mondo; in particolare ci terrebbe a visitare il Colosseo, perché vuole capire come è possibile che le persone morivano per far divertire gli altri. Quando gli ho sussurrato con tono vagamente interrogativo che ora non è un'opzione quella di viaggiare, ha ribattuto: “No, però... Inshallah! I governi non durano per sempre”.
Racconto di viaggio completo "DOLCE VITA ERITREA"