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Mardin, il balcone sulla Mesopotamia

Per una complessa serie di ragioni, alle 4 di mattina ci troviamo alla periferia di Mardin, presso la nuova stazione degli autobus. Chiusa. Per fortuna la luna piena rischiara il piazzale e la stazione vera e propria, entrambi deserti se non fosse per molti volatili urlanti e per un unico essere umano, che ci chiama un taxi. E meno male che ci siamo svegliate in tempo, altrimenti l’autobus ci avrebbe fatto scendere direttamente al capolinea: Cizre, l’ultima città del Kurdistan turco prima del confine con la Siria. Un anno fa l’avremmo trovata in preda alle devastazioni orchestrate dal governo contro i terroristi del PKK, ma adesso l’intera regione vive un periodo di tregua – ciò non toglie che, durante la notte, l’autobus sia stato fermato più volte agli inquietanti posti di blocco disseminati sulla strada.
Sebbene sia la settimana di Pasqua, c’è una camera libera in questo suggestivo hotel, ricavato da una residenza del 1200, nel centro storico di Mardin. Trattare con il receptionist è come al solito un’esperienza surreale, poiché ignora persino quel minimo di inglese utile a dare un nome a quello che sarebbe il suo pane quotidiano (camera, letti, colazione, prezzo). D’altra parte è un anno che quasi tutti i siti di prenotazione alberghiera sono bloccati nel paese, dopo che l’associazione delle agenzie di viaggi turche ha fatto loro causa per concorrenza sleale. Per inciso, anche wikipedia non funziona, mentre gli altri siti inaccessibili a ridosso del tentato golpe sono di nuovo disponibili.
In tarda mattinata i meravigliosi palazzi color miele di Mardin risplendono al sole con i loro merletti di pietra. Deliziosi localini e negozietti tappezzano la via principale, e sembra addirittura che ci siano altri turisti. I minareti e i campanili fanno capolino dal tortuoso labirinto di stradine, le case in pietra si ammassano a gradoni lungo il fianco della collina e poi, se si imboccano i vicoli laterali o si sale sulle terrazze, lo sguardo è libero di spaziare sulla sconfinata, verdissima pianura mesopotamica che ci circonda.
La sede del Museo di Mardin è un pregevole edificio di fine Ottocento ottimamente restaurato ed espone una collezione piccola ma ben allestita, che riguarda alcune civiltà tra le più antiche del mondo. Si organizzano molti laboratori per bambini e infatti una classe sta giusto uscendo quando noi arriviamo: ogni scolaro tiene bene in vista uno stendardo appena dipinto per farlo asciugare.
Nella via parallela a quella principale, tra i portici in pietra, si dipana il bazar. Un anziano signore, il cui viso meriterebbe molto più di questa semplice cronaca, ci invita a sedere su uno sgabello di fortuna e a bere il tè di fronte alla sua bottega, tra i sacchi di tabacco e varia chincaglieria. “Qui tutti i popoli convivono pacificamente: curdi, yazidi, turchi, cristiani, arabi." Si sforza di affermare in inglese suo figlio. "I love Isa (Gesù)” aggiunge, prima di regalarci un opuscolo in inglese sull'Islam, scovato chissà dove. Sulle pareti all'interno, le foto antiche del padre e del fratello, con bellissimi baffi ottomani. Mi sembra di essere in Siria: la stessa dolcezza dei sorrisi, gli stessi occhi buoni, le scritte in arabo, la curiosità di conoscere l’altro anche se non se ne condivide la lingua.

A Erzurum ci avevano detto che i curdi continuano a rompere le scatole, ma non ne avrebbero più motivo: ormai da anni hanno gli stessi diritti dei turchi, senza contare che l’ex presidente del consiglio era curdo e che molti sono parlamentari. “E poi non è vero che vogliono uno stato tutto per sé – aveva eccepito qualcuno – anzi, questo è il desiderio delle grandi potenze, che così avrebbero a che fare con un paese molto più debole da cui prendere il petrolio.”
Qui nel Kurdistan la musica è molto diversa: “Io vorrei parlare, vorrei scrivere ma non posso” ci sta dicendo questo agiato ed elegante commerciante. Stiamo bevendo l’ennesimo çay in una delle meravigliose terrazze di Mardin, affacciati sul verdissimo oceano mesopotamico, e ci sta illustrando la composizione etnica e religiosa dei villaggi vicini. “Qui la maggior parte dei voti li prende il Partito democratico dei popoli, che si batte per i diritti della minoranza curda, ma i sindaci di molti comuni adesso sono del partito del Grande Presidente – ci racconta – perché i legittimi vincitori delle elezioni sono stati ritenuti terroristi e rimossi dall’incarico. Anche io faccio parte dell’HDP, ma se lo dico posso passare i guai. Anzi a dire il vero sono già stato in galera per aver protestato, ai tempi in cui studiavo all’università sulla costa occidentale.” Da un paio di anni infatti la campagna del governo contro i curdi si è intensificata, da quando l’HDP, prendendo molti voti alle elezioni, ha superato l’elevata soglia di sbarramento necessaria per entrare in parlamento e ha sottratto molti consensi al partito del Grande Presidente. Per ottenere l'approvazione dei nazionalisti la potente propaganda governativa ha preso di mira tutti i curdi, praticamente raggruppati in un unico calderone di “terroristi” e nemici dello Stato: non solo il Pkk e il Tak (i Falchi della libertà del Kurdistan, autori di diversi recenti attentati), ma anche i curdi siriani del PYD-YPG e infine l'HDP stesso. Sono dunque partite indagini non solo contro i parlamentari, i funzionari, i sindaci, ma anche contro i semplici attivisti dell'HDP, accusati di avere rapporti con il PKK. “La Turchia non è una democrazia – sintetizza il nostro nuovo amico – e neanche gli insegnanti possono esprimersi liberamente contro il governo, se no perdono il lavoro”.
Il titolare dell’albergo, comparso per la prima volta la mattina seguente e per fortuna non totalmente digiuno di inglese, è così gentile da darci una camera da quattro letti nonostante fossimo solo in due. In quanto al prezzo, ci lascia la libertà di deciderlo noi. Stupito dal fatto che gli abbiamo proposto una cifra superiore a quella della camera doppia, e anche preoccupato dal fatto che possiamo permettercela (figuriamoci, 40 euro in due!), si offre di accompagnarci in macchina alla Kasimiye madrasah, che risale alla fine del 1400 e che lui ritiene l’attrattiva imperdibile di Mardin. Il portale scolpito, le due cupole che sormontano le tombe di Kasım Paşa e di sua sorella, il cortile circondato da un portico colonnato, la piscina centrale sono magnifici, ma la vera meraviglia è lo spettacolo intorno alla madrasa: siamo nel clou della fioritura dei tulipani e le porzioni rosse, gialle, rosa, bianche compongono un quadro indimenticabile sotto il cielo blu. Intorno lo sconfinato paesaggio collinoso brilla sotto ai cumuli bianchissimi. “Vedete quella zona lì, dove ora c’è una sola casa? È da lì che viene mio padre; negli anni ha fatto fortuna e ha comprato tutta quella terra.” Ci dice il proprietario dell’hotel indicando una vasta fetta di panorama, prima di risalire in macchina.

Naturalmente anche a Mardin ci sono dei luoghi di culto siriaco-cattolico: caso vuole che l’indomani sia la domenica di Pasqua, così possiamo accertarcene personalmente recandoci alla messa nella Chiesa dei Quaranta Martiri. Come già mi era capitato di notare in Siria, i fedeli sono abbigliati in maniera molto poco spirituale: profonde scollature, gonne aderenti, tacchi vertiginosi, gioielli appariscenti, bambini in frac e bambine vestite da principesse con giacchini di pelliccia. Anche il sacerdote indossa un prezioso abito colorato, con una colomba bianca ricamata dietro il collo. Alle pareti i quadri, bellissimi e inquietanti, hanno qualcosa di etiope. Tranne l’omelia che è in turco, il resto della funzione viene recitata in un dialetto dell’aramaico; al momento della comunione, le persone in fila danno un bacio al grande libro sacro e poi mangiano alcune briciole di pane. Infine all'uscita vengono distribuite delle ciambelle al sesamo ancora calde.
Mi piange il cuore a lasciare Mardin in questa dolcissima domenica primaverile, mentre le campane suonano e il sole rende ancora più biscottati gli antichissimi palazzi medievali. Ci facciamo incartare un quadro che raffigura Şahmeran, affascinante creatura mitica metà donna e metà serpente, e raggiungiamo in fretta l'aeroporto, dove scopriamo che il volo è in solenne ritardo.

Racconto di viaggio "PIDE E TULIPANI. Primavera in Anatolia orientale" 

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