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Welcome to the kingdom of Swaziland

Alla dogana di Oshoek c'è una enorme parete color giallo limone con scritto "Welcome to the Kingdom of Swaziland". Storte e non allineate, al muro sono appese tre foto incorniciate: una ritrae il re (vestito con un pareo sulle tonalità del rosso annodato sulla spalla, una specie di bandana legata sul bicipite sinistro e una collana con due ciondoli); l'altra la mamma del re quando era giovane (con una specie di scialle rigido bianco e nero e una fascia dorata in testa, ornata di piuma); l'ultima il primo ministro (normale, con giacca e cravatta).
Le funzionarie doganali scoppiano a ridere quando, rispondendo alla loro domanda, pronuncio il nome del parco dove stiamo andando "miluein" invece di "mhillihuane". Continuano a sbellicarsi anche mentre mi timbrano il passaporto. L'impiegata dell'attiguo ufficio del turismo, quando le domandiamo se il re è sposato, ci guarda perplessa rispondendo in un sussurro: «Ha quattordici mogli». Questa, a quanto mi risulta, dovrebbe essere l'unica monarchia assoluta in tutto il continente africano.
In Swaziland (che dal 2018 ha preso il nome di eSwatini) c'è un nebbione pauroso mentre ci dirigiamo al Mlilwane Wildlife Sanctuary, la più antica area protetta del Paese. Il nostro alloggio è una tradizionale capanna zulu ad alveare, una delle 14 messe in cerchio in una piazzola che ricorda i villaggi tradizionali, dove ti aspetti da un momento all'altro la comparsa teatrale dello stregone e del capovillaggio mezzo nudo che esce dalla capanna più bella, pronti per un sacrificio rituale nel quale noi, popolo di Lubumba, in preda a qualche sostanza lisergica e alla musica ipnotica delle percussioni tribali, soccomberemo. Noi però non soccombiamo affatto perché nella finta capanna zulu c'è l'elettricità e il letto con doppio materasso, la teiera e pure la saponetta sull'asciugamano fresco di bucato, e persino il bagno in muratura con la doccia e l'acqua calda.
A differenza del popolo di Lubumba, non dobbiamo procacciarci del cibo uccidendo facoceri e impala, ma possiamo andare tranquillamente a cena all'Hippo Haunt, il ristorante del parco, ubicato dentro ad una palafitta. L'unica difficoltà è camminare al buio sotto la pioggia scrosciante, ma non è una grandissima difficoltà. Ciò che ci preoccupa maggiormente è come sarà il tempo l'indomani, per cui chiediamo agli indigeni se la pioggia continuerà, come se loro lo potessero sapere. Alzano le spalle, infatti.
Il giorno dopo, grazie ai riti propiziatori a base di birra Black Label, splende il sole. La luce è magnifica per fotografare le zebre, gli gnu e i facoceri che brucano nel verde brillante. I partecipanti possono scegliere di percorrere il parco a piedi oppure in bicicletta (chi opta per il trekking vedrà un coccodrillo sull'argine del fiume; gli altri no). A seguire facciamo una piccola sosta al mercato di Manzini, dove i mozambicani vendono batik, bamboline di pezza e oggetti realizzati dagli Ndebele con le perline colorate, a prezzi molto inferiori a quelli a cui li vendono in tutto il Sudafrica.

Racconto di viaggio "UN VIAGGIO IN CAPO AL MONDO. Un inverno estivo in Sudafrica" 

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