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Precipitazioni sparse a Montevideo

Sono arrivata a Montevideo con molto ritardo a causa del traffico di rientro dal giorno festivo e poi sono stata quasi un’ora ad aspettare l’autobus, mentre molti di quelli intorno a me chiamavano Uber e uno dopo l'altro scomparivano in una vettura sempre diversa. Se avessi controllato prima sull'apposita app, avrei conosciuto in anticipo l’orario del mio autobus, che infatti è puntualmente arrivato a mezzanotte e mezza: il conducente ha la barba grigia lunga fino al petto e ascolta musica arabic a un volume sconsiderato.
Alla reception del bed & breakfast un giovane in calzoncini parecchio succinti e canottiera retata mi ha mostrato la camera, situata in un appartamento anni ‘40 pieno di oggetti retrò, situato nella ciudad vieja proprio di fronte al teatro. La carta da parati sarebbe piaciuta al regista Wes Anderson, mentre l'oggetto da muro a forma di cascata, illuminata e con cinguettio di uccellini in sottofondo, è così brutto che quasi quasi mi piace. Sul comodino "Ruf der Wildnis", la versione tedesca dell’"Ultimo dei mohicani" di Jack London. Anche qui la tavoletta del cesso è imbottita, ma ormai ci ho fatto l'abitudine.

Anche se quasi metà della popolazione uruguayana vive nell'area metropolitana della capitale, in questi giorni non sembra proprio, perché qui i primi di gennaio sono un po' il nostro Ferragosto e sono tutti in vacanza. Il clima di Montevideo è mediterraneo, molto simile al nostro, ma oggi – pur essendo piena estate – le temperature sono precipitate e c'è una pioggia scrosciante. La cupezza meteorologica rende ancora più evidente la decadenza di questa Palermo sudamericana.
Nel centro storico sono sparsi diversi musei come il Museo della migrazione, che non poteva mancare nella capitale di un Paese popolato per quasi il 90% da europei. Più del 40% degli abitanti del Paese è di origine italiana e ancora oggi la comunità italiana viene tenuta in grande considerazione, come si evince ad esempio da alcune pietanze tipiche come la salsa caruso o la fainà. Inoltre la nostra lingua è ancora molto diffusa (grazie anche al fatto che è materia di insegnamento nelle scuole) e ha influenzato il dialetto locale. Dopo tanto parlare di migranti che arrivano nel nostro Paese, mi fa un certo effetto trovarmi dall'altra parte del mondo a guardare documenti di identità di uomini piemontesi di un secolo fa.
Nella prima metà dell'Ottocento molti patrioti italo-uruguaiani aderirono al movimento politico di Giuseppe Garibaldi, che visse qui e partecipò alle guerre per l'indipendenza. In sua memoria in tutta la regione rioplatense ci sono statue, monumenti, vie, piazze, ospedali a lui intitolati. Qui a Montevideo inoltre c'è la sua casa, che sulla carta farebbe parte del Museo Storico Nazionale, ma nella realtà è sempre chiusa, come mi conferma l'anziano tabaccaio di fronte al portone sprangato, il quale l’ha vista aprire solo quando venne in visita Sandro Pertini – che, ricordiamolo, è stato Presidente della Repubblica fino al 1985.
Tra i tanti altri musei presenti nella città vecchia, c'è il Museo de Arte Precolombino e Indígena, dove sono invitata ad un viaggio nel tempo fino a 15000 anni fa, quando i primi gruppi umani giunsero nel continente americano attraversando lo stretto di Bering, che in quel periodo era terraferma. Le popolazioni indigene di questa zona sono state quasi del tutto sterminate dalle malattie portate dagli europei e dalla tratta degli schiavisti portoghesi del Brasile, fino al momento culminante della "Matanza del Salsipuedes" (la strage del si salvi chi può), quando nell'aprile del 1831 le truppe governative uruguayane attaccarono gli indigeni Charrúas, facendo 40 morti e 300 prigionieri. Oggi i discendenti dei popoli precolombiani rappresentano una percentuale davvero irrisoria della popolazione uruguayana.
Ai musei (così come al teatro) si accede gratuitamente o a prezzi accessibili a tutti, una scelta di civiltà per diffondere la cultura, e questo me lo conferma Rodrigo, guida turistica che ci sta portando a spasso in questo walking tour della città. "Montevideo è la città con una maggiore qualità della vita, come l'intero Uruguay è il paese con il maggior reddito pro capite di tutta l'America Latina." ci spiega. "Con il Frente Amplio al potere, si sono susseguiti 16 anni di crescita ininterrotta e oggi per la prima volta il peso uruguayo vale più di quello argentino. I prezzi sono alti perché le imposte sono elevate, però in compenso ci sono molti servizi gratuiti, come la scuola e la sanità."
Per quanto riguarda le libertà civili e le conquiste sociali l'Uruguay è sempre stato un precursore e Rodrigo ce ne snocciola il lungo elenco: dalla giornata lavorativa di 8 ore al divorzio, dal voto alle donne all'istruzione gratuita e obbligatoria per tutti, dal matrimonio civile alla separazione fra Stato e Chiesa, fino ad arrivare alla legalizzazione delle unioni omosessuali e della produzione e coltivazione privata di cannabis nel 2013. L'Uruguay infatti è stato anche il primo paese del mondo a legalizzare la marijuana, prevedendo tre possibilità di consumo: il club cannabico, l'acquisto in farmacia e la coltivazione in casa (opzioni previste soltanto per i residenti). L'obiettivo di fermare il mercato del narcotraffico finora è riuscito solo parzialmente in quanto – secondo l'opinione comune – le farmacie sono troppo poche e il THC presente nel prodotto in vendita è troppo basso, ma si tratta di un importante passo avanti. Insomma, il Paese rimane su posizioni conservatrici solo sul tema dell'aborto, che comunque è proibito in quasi tutto il continente.

Racconto di viaggio "CERCO L'ESTATE TUTTO L'ANNO. Uruguay, un campo da football sull'Atlantico"