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Verso il Danubio

Dalla stazione nord di Bucarest avevo preso il treno per Orşova. Fuori dal finestrino, scorrevano infiniti campi di mais, grano e girasoli; dentro, l'aria condizionata andava e veniva. All'ultimo momento, il ragazzo strabico seduto di fronte a me (che, nonostante le apparenze, era un professore di economia che parlava un ottimo inglese) mi aveva consigliato di scendere − invece che a Orşova − a Drobeta-Turnu Severin, che secondo lui presentava una maggiore disponibilità di alloggi.
In effetti in questa cittadina sonnacchiosa, situata sulle sponde del Danubio a pochi passi dal confine con la Serbia, non c'è quasi niente da visitare (il museo delle Porte di Ferro è chiuso per lavori) e non c'è nessun tipo di servizio turistico, ma per qualche insondabile ragione c'è un'incredibile quantità di hotel, pensioni e bed & breakfast. L'hotel Continental, rimasto sostanzialmente identico dagli anni Sessanta, ha 112 camere, ma non merita i trenta euro che mi chiedono; così alloggio in questo alberghetto senza pretese dove vengo catapultata in un film ambientato all'epoca del comunismo. La sorridente titolare sta stirando davanti al televisore.
Severin ci sono le rovine del Ponte di Traiano e della fortezza romana, un bel teatro restaurato, una fontana moderna molto elaborata e una torre dell'acqua al centro di un incrocio. Stanno rifacendo le strade grazie ai soldi dell'Unione Europea e molta musica balcanica proviene dalle autoradio. L'unico ristorante tipico, La Pappa, chiude alle 19, quindi devo accontentarmi di mangiare un'orrenda pizza col ketchup. Nessuno sa nulla della navigazione sul Danubio.
La sera bevo una birra in compagnia di questo ingegnere del posto. «I admire the Serbs» mi fa lui «You know, noi rumeni abbiamo sempre chinato la testa, abbiamo accettato tutto, mentre loro sono brave, coraggiosi, basta vedere come hanno resistito durante la guerra degli anni Novanta. Certo, a volte sono troppo nazionalisti, ma sempre meglio che essere passivi come noi». E io penso ai tappezzieri, ai falegnami, ai carpentieri rumeni che lavoravano notte e giorno nel Palazzo del Parlamento.
L'ingegnere mi racconta di alcuni “giochi di prestigio” effettuati dal sindaco con i finanziamenti europei, mi comunica che qui la gente è tranquilla mentre a Bucarest corrono troppo, mi confida che le moldave sono tutte bitch a causa della loro povertà e infine naturalmente mi confessa la sua triste condizione personale, ossia che suo figlio ormai è grande e vive lontano, mentre con la moglie si sono separati molti anni addietro. Quando mi ha proposto di accompagnarmi in auto a visitare la centrale idroelettrica sono le dieci passate e mi sono vista costretta a declinare l'invito che non mi sembra promettere nulla di buono.
Pago la birra media (costa 65 centesimi), salgo in camera e scopro che nel mio albergo si è stanziata una famiglia che non ha l'abitudine di chiudere la porta della stanza. Mentre vado in bagno, intravedo il capofamiglia in canottiera e pancia prominente che guarda la televisione seduto sul letto. Il film continua.

Al mattino noto un giovanotto sovrappeso col cappellino che dà dei soldi alla nuova tenutaria, più seria e permanentata di quella della sera prima. Mentre scendo incrocio una ragazza coi capelli rossi che aveva seguito il ragazzo sulle scale. Aveva ragione l'ingegnere: è un hotel a ore.
Sono tornata all'hotel Continental perché è l'unica speranza per trovare qualcuno che può aiutarmi nella mia benedetta impresa di fare un giro in barca sul Danubio tra Romania e Serbia (mia fissazione da quando avevo visto la foto delle Porte di ferro sul libro di geografia).
Mi accoglie Petre, receptionist vecchio stile, gentile ed efficiente. Conversiamo, gli prometto una cartolina da Bari, lui contatta un suo amico tassista. La cifra che il tassista spara al telefono è così alta che immediatamente rifiuto, cominciando ad organizzare mentalmente il piano B: Băile Herculani, le terme, l'hotel consigliato dalla vicina di treno del professore strabico, l'incontro con la mamma di Simona (il medico con cui avevo trascorso la prima sera a Bucarest). Poi però arriva Mirel. Mirel sorride ed è carino. Mirel parla italiano. E, soprattutto, Mirel abbassa la richiesta economica. Partiamo.

Costeggiamo il Danubio e passiamo davanti alla mostruosa centrale idroelettrica voluta da Ceauşescu: di là c'è la Serbia con tutti i suoi coraggiosissimi abitanti e le sigarette di contrabbando. Intanto Mirel mi racconta di quando lavorava in Italia, prima come corriere e poi nell'agricoltura, e di suo fratello che vive ancora a Verona con la moglie e trasporta medicine. Finalmente giungiamo nel punto dove partono le gite in barca più economiche: «Mica come a Orşova che ti fanno pagare un occhio della testa!» Siamo vicino alla colossale statua di Decebalo (l'ultimo re della Dacia), scavata nella roccia e rimasta incompiuta perché il milione di dollari speso dal finanziatore non era − evidentemente − sufficiente.
Salgo in barca con questo conducente che, dopo aver fatto il muratore ad Almeria, morto di nostalgia è tornato a casa. «Come facevo a dejar todo esto?» mi fa indicando col braccio il fiume e le montagne che lo incorniciano. Visitiamo anche due grotte, io e questa famiglia di Iaşi: nella seconda erano di stanza i soldati austriaci al tempo della guerra contro i turchi. Alcuni canoisti, partiti dalla Germania, stanno compiendo la loro impresa di giungere al delta.
Mirel mi ha aspettato all'imbarco, vicino ai negozi di souvenir. Mentre mangio una ciorba de burta (zuppa di trippa), ammiro il fiume e giuro che, prima o poi, ci rivedremo.

Racconto di viaggio"FRUMOASĂ ROMÂNIA?"

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