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LA BALLATA DELLA "NOCHE" TRISTE
Ritorno dal Messico in doppi settenari
Stanotte non si dorme. Se torni dall'America
la differenza è enorme. Maldita Terra sferica!
Mi tornano alla mente i tanti luoghi esotici,
ma sveglia sto ugualmente (non traggo effetti ipnotici)
a ricordare in versi, al modo di Gozzano
che ne scrisse diversi col metro martelliano:
e forse se anch'io penso in doppi settenari
si deve allo scompenso di troppi fusi orari.
Pioveva quella noche del Millecinquecento:
Tenochtitlàn, feroce, fermò il nemico lento.
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Trascorsi cento lustri pioveva anche quel dì
sui cittadini industri di México: così
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il dio dell'acquazzone, Tlaloc, a piene mani
ricambia devozione e sacrifici umani.
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Teotihuacan è un lago, diluvia di gran lena,
proseguirà, non pago, tutta la noche buena,
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però ai defeños piace, tra un po' nasce Gesù,
gli porta un po' di pace e il pavo nel menu.
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Da quella notte trista passò meno di un anno
e infine la conquista gli iberici la fanno;
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è lì che prese il via la storia coloniale
e nacque la malìa che ancor oggi ci assale.
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L'Europa s'innestò nel grande regno azteco;
la mezcla cominciò, produsse vasta eco.
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L'argento e l'oro vanno di Spagna nei forzieri,
in cambio le indie fanno bebè un po' meno neri.
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Si ergon cattedrali a Puebla, Tuxtla, Oaxaca;
gli altar sacrificali nessuno se li caca.
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Gesù spodesta presto tabù e divinità,
un uomo molto mesto va al posto del dio Chaac.
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Il Padre nostro insegnan ferventi i gesuiti
e gli indios non disdegnan di apprender questi riti.
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La Virgen Guadalupe appare a tal Juan Diego
in cima ad una rupe (che è vero non lo nego),
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da tanti è venerata in tutta la nazione
ed è raffigurata con verde vestizione;
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San Juda che protegge l'arte del commerciante
una moneta regge e ha il capo fiammeggiante.
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Morbillo, scarlattina, la ruota ed il metallo,
e poi la razza equina: che America da sballo!
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Ma armi e malattie portate dalla Spagna
lasciano delle scie di corpi là in campagna,
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Bartolomè si indigna: "E siate più clementi!
Mangiatevi una piña, basta maltrattamenti!"
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México, D. F.
Partii di lunedì, a México diretta:
un viaggio questo qui da far sola soletta.
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All'alba già mi sveglio, sto nella Capitale;
non son mai stata meglio, mi reco in Cattedrale.
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Il tempo sembra incerto, non sento l'altitudine.
Il Zócalo è deserto (non è sua consuetudine),
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la metropolitana di Messico città
è invece una fiumana (non tutti ci si sta).
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Nel treno poco high-tech, con pena me ne vado
fino a Chapultepec, dell'arte l'eldorado.
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Percorso in senso logico Paseo della Reforma,
l'ingresso allo Zoologico riceve la mia orma:
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dei pappagalli pigri, tucani e altri pennuti,
giaguari, panda e tigri: non tutti sono muti.
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Intanto i voladores intorno a un alto palo,
per quanto un po' seniores, ci fanno un bel regalo:
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legati ad una corda volteggiano nell'aria.
La danza ci ricorda che l'acqua è necessaria,
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si supplica la pioggia (un dono molto ambito):
su questo forse poggia l'origine del rito.
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Ma il cuore del Paseo, di tutta la gran via,
è il Nazional Museo dell'Antropologia:
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geniali statuette profuse a larga manica,
simpatiche vignette (creatività pre-ispanica)
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dall'epoca tolteca allo splendor dei maya.
Oh che pinacoteca! prima della mannaia.
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Tre secoli di Spagna non hanno tuttavia
gli usi della montagna spazzato tutti via;
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vicino al Mayor tempio i danzator piumati
si muovono, ad esempio, con ritmi scatenati.
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In plaza Garibaldi attendono i mariachi,
allegri e un po' spavaldi, che arrivino i seguaci.
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E infine al ristorante non so cosa ordinare:
è tutto un po' piccante. Mi sento d'avvampare!
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Seduta a questa mesa di un restaurante lindo
bevendo una cerveza a questo viaggio brindo.
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Oaxaca
Ho preso la corriera, lasciando la città,
son sulla carretera che a meridione va.
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È il giorno di Natale, il popolo festeggia
e intanto un bus locale tra i cactus si destreggia.
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In calle Noche Triste si trova il gaio ostello;
Oaxaca, a prime viste, è un posto proprio bello.
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Nell'andador turistico ci sta proprio di tutto,
un certo afflato artistico redime pure il brutto,
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son tutte le facciate dipinte a intense tinte,
finestre con le grate: le case sembran finte.
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La piazza principale, che Zócalo si chiama,
è il sito abituale di chi giustizia brama:
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quarantatré studenti scomparsi in un agguato?
Striscioni dissidenti accusano lo Stato.
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Dovunque si protesta, il popolo è arrabbiato;
l'orrore manifesta di esser manipolato.
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Ma noi non fummo fatti per viver come bruti:
dall'arte siamo attratti, per questo siam venuti.
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Museo del Palazzo, delle fotografie,
e poi (con questo andazzo) delle culture e etnie.
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Museo de arte prehispanico de México “Tamayo”:
propone in modo organico di statue un centinaio,
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comunica ai turisti in modo non frenetico
che quegli antichi artisti avevan senso estetico.
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L'iglesia San Domenico con splendido ex convento
risulta fotogenico anche al più disattento.
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E non ho menzionato in questi molti versi
usanze, artigianato, costumi più diversi.
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Si vendono al mercado tamales e tortitas,
il mole colorado, pomelos, manzanitas,
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soggetti incastonati in lamine di latta,
tappeti colorati, la classica pignatta,
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vasi di terracotta e animaletti in legno
(l'offerta è molto ghiotta: son fatti con impegno),
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i celebri sombreri, amache, cioccolato,
peperoncini neri: muy típico il mercato!
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Insomma, in conclusione, 'sta Oaxaca coloniale
di tutta la regione è il fulcro culturale,
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ma pure tutto intorno non è per niente brutto,
non basta solo un giorno per visitare tutto.
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Il panorama incanta, percorro con gran gana
la via Centonovanta (o Panamericana).
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Mi avvio verso il cipresso più grande del pianeta;
El Tule è il nome d'esso (c'è folla in questa meta).
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È più di tutti largo, è quadrimillenario:
lo afferma, sin embargo, quel Sacks nel suo Diario.
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A Teotitlán si fanno tappeti artigianali
usando - senza danno - colori vegetali.
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Al sito zapoteco noto per i mosaici
(a Mitla, ossia) mi reco: i resti son arcaici.
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Se poi vi è congeniale, a Hierve el Agua andate:
è roccia naturale, ma sembrano cascate.
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Sorgiva l'acqua fresca, con calcio (il carbonato),
bollendo par che esca, lascia il sedimentato.
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È purificatorio nuotare nei laghetti
in cima al promontorio, han comprovati effetti.
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Su un piccolo altopian vicino alla città
compare Monte Albán che ha tante qualità:
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ci sono scalinate, il gioco della palla,
bassorilievi, date, nell'erba tutta gialla.
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Rovine zapoteche resiston con tenacia
(o addirittura olmeche) sotto la grande acacia.
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Salendo in alta quota, il clima è secco e fino;
penso alla storia nota dell'Italo Calvino:
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secondo quel gran vate, il sangue che zampilla
di vittime immolate quassù tuttora brilla.
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Degusto il celestial liquore distillato
dall'agave, il mezcal, da insetti accompagnato.
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La moda oaxaqueña – tra tutte le ricette -
che più di tutte impegna? Mangiar le cavallette.
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Di sera un bus mi aspetta che nella notte viaggia:
mi duole - che disdetta! - non esser stata in spiaggia.
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Chiapas
Tra differenti rotte, Robinia predilige
il pullman che di notte in Chiapas si dirige.
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Mi avvio con poco esborso da Tuxtla (il terminal)
verso Chiapa de Corzo (è l'alba, poco mal).
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Decisa a visitare il canyon Sumidero
con passo militare vado all'imbarcadero.
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La folla di turisti su grosse lance sale:
siamo i protagonisti del traffico fluviale.
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Tra iguana e coccodrilli la gola si dispiega,
si levano alti strilli (tranquilli, non si annega).
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La barca fa inversione di fronte alla gran diga,
va in accelerazione. La gita è stata figa.
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Discesa dal natante, salgo su un colectivo
volto verso Levante. San Cristóbal arrivo!
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La luce che riflette 'sto splendido paese
la voglia già mi mette di rimanerci un mese.
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Passeggio per le vie diritte e acciottolate:
squisite mercanzie, botteghe colorate,
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l'orchestra vecchio stile al centro della piazza.
Mi siedo sul sedile di fronte alla terrazza:
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lo storico edificio sul lato occidental
è il più importante Ufficio (quello municipal);
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l'albero di Natale, tra tante luci accese,
la gialla cattedrale sovrasta questo mese.
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E poi musei, festoni, la chiesa panoramica,
turisti fricchettoni: ma che città dinamica!
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Però il più gran valore di questo posto vivo
lo trovi nel folclore del popolo nativo.
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Son tutti qui al mercato per vender (stretti stretti)
prodotto coltivato esposto sui banchetti
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oppure per comprare del cibo assai modesto.
Mi fanno entusiasmare e il tempo passa lesto.
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Ignorano i tacchini che poco ancor vivranno:
faranno brutte fini (domani è Capodanno).
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La sera del trentuno si brinda col mezcal,
è il posto più opportuno: sono a San Cristobàl!
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Su splendidi altopiani intorno alla città
risiedon tipi strani, di antica civiltà:
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ve n'è molte migliaia, sono di etnia tzotzil,
discendono dai maya e hanno un bizzarro stil.
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Nel primo dei villaggi, dal nome San Juan,
si cambiano gli ingaggi, gran festa tutti fan.
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Indossan gonne e tuniche di lana grezza a ciuffi,
'ste mise davvero uniche li rendon molto buffi.
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In chiesa poi succedono dei riti sconcertanti:
liquori forti bevono e bibite frizzanti;
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un bimbo sta, malato, tra aghi di pino e cera,
un gallo è strangolato dall'abil curandera.
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A San Lorenzo city la storia è sempre quella:
si praticano i riti, si beve a manovella.
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Gli uomini a ballare in chiesa (c'è un concerto),
le donne a cucinare la cena lì all'aperto.
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Qui la cittadinanza vestiti a fiori indossa,
sfoggia con eleganza ricami in tinta rossa.
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Se invece te ne vai diretto a nord oriente,
il clima cambia assai, la selva è più fiorente.
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Agua Azul, Misol-Ha son mete gettonate
dove il turista va se ama le cascate.
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Qui dello zapatismo ci son degli esemplari
che a strade e ecoturismo si dicono contrari;
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hanno il passamontagna, seguono una missione:
abbasso la sciampagna, no globalizzazione!
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Palenque è una figata: per ottocento anni
è stata abbandonata, per questo ha pochi danni;
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un decimo è svelato del sito originale,
il resto sta celato nel bosco tropicale.
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Pakal, il gran re maya, riposa eternamente
in cripta molto gaia nel tempio più eminente,
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la lapide scolpita del sire raffigura
il tronco della vita. “Ma è un ufo!”, c'è chi giura.
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È tempo ormai di andare, ti dico muchas gracias,
mi hai dato gioie rare. Arrivederci Chiapas!
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Puebla
S'appressa ormai la fine di questo intenso viaggio,
consulto le cartine e a Puebla do un assaggio.
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Il suo impianto urbanistico è a forma di scacchiera,
il panorama artistico è una sorpresa vera,
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le chiese son parecchie (mi dicono settanta),
non sono catapecchie, ma ciò che proprio incanta
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è la gran Cattedrale: il suo profilo allieta
(e ciò non è casuale) una cartamoneta.
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Nella piazza centrale, tra sciuscià e palloncini,
c'è neve artificiale (ci giocano i bambini);
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qui ogni cinque maggio si tengon canti e balli:
ricordano il coraggio di aver battuto i Galli.
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È piena di memorie questa città fighetta
descritta nelle storie di Ángeles Mastretta.
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Nel Millenovecento (il Dieci è l'anno esatto)
parte il sollevamento contro Porfirio fatto;
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tra i revolucionaros antirielezionisti
i tre Serdán hermanos furon protagonisti.
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La casa in via Sei Oriente fu campo di battaglia
(si vedon chiaramente i colpi di mitraglia),
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oggi è museo lo stabile: la ricca esposizione
narra l'avvio mirabile della rivoluzione.
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Invece altri palazzi son bene conservati,
presentan bei terrazzi e muri piastrellati.
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Le sfilze di maioliche su tutte le pareti
delle chiese cattoliche piacevano anche ai preti;
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anche le acquasantiere esposte nei mercati,
i piatti e le teiere di blu son decorati.
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E la gastronomia? Canditi, chile, mole,
creati in sacrestia, solletican le gole.
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Cantanti e musicisti suonano la chitarra
al barrio degli artisti (la trova è un po' tamarra).
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Davanti a questo immobile (teatro comunale)
risplende rossa e nobile la croce, per Natale;
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del Mexico la ics icona è diventata:
un simbolo del mix di gente variegata.
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Volver
Come d'autunno sta sull'albero la foglia,
così oggi sono qua, domani controvoglia
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sarò di nuovo a Bari: mi riempiono la mente
questi pensieri amari, mentre velocemente
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torno nel settentrione. Ci sono due vulcani
di grande dimensione che dicono: “Rimani”,
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ma un volo già m'attende per ricondurmi a casa,
alle ovvie mie faccende da cui qua sono evasa.
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Dopo due settimane riecco la Capitale:
la mia stanchezza è immane, lei è rimasta uguale;
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riecco i poliziotti riuniti in capannelli
(pare che sian corrotti, che usin manganelli).
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Trascorso mezzo mese da quando l'ho lasciata,
io molte cose ho apprese, ma lei non è cambiata.
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Non sono stata statica: conosco un poco il sud,
son diventata pratica di spezie e di street food,
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di ex-voto, di mercati, di chiese e di fontane,
di dolci colorati, di tacos e altro pane;
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di gente addormentata all'ombra sulla strada,
di quella affaccendata in ciò che più gli aggrada.
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Ho visto differenze tra ricchi e poveretti:
chi vive di apparenze, chi spulcia i cassonetti;
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non sono quadri finti, bensì è la vita vera
ritratta nei dipinti murali di Rivera.
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Ho ravvisato fiori, vestiti, idee regalo
dai vividi colori che amava Frida Kahlo,
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i cieli blu cobalto di sfondo ai monumenti
che sembrano di smalto, per quanto son lucenti.
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Dovunque quel profumo di granoturco (o mais):
se ne fa un gran consumo, ma questo ormai lo sai.
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L'intreccio di culture è frutto di un pasticcio
ma ha tante sfumature, è il bello del meticcio:
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gli scheletri e le croci, i maya e gli spagnoli
si fusero veloci, scambiandosi anche i ruoli.
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E tu, popolazione, che ogni cammino affolli,
vado all'aerostazione: fammi passare, ho il trolley.
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Che notte questa notte, non troverò riposo,
ma cosa me ne fotte: il conto è vantaggioso.
Ancora un poco veglio: Hasta la vista Messico!
Per raccontarti al meglio ho scelto bene il lessico
e ho rievocato il viaggio usando alessandrini,
porgendo un chiaro omaggio persino a Pasolini.
Fra un po' mi devo alzare, ma sai com'è romantico?
Mi sembrerà di stare ancora oltre l'Atlantico.