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Nella Valle di Tlacolula

Oaxaca De Juárez, il capoluogo di provincia, sorge alla confluenza delle valli centrali. Nonostante si trovi a sud del Tropico del Cancro (grossomodo sul diciassettesimo parallelo), l'altitudine superiore ai 1500 metri rende il suo clima non troppo afoso, gradevolissimo.
Per addentrarmi nella Valle di Tlacolula, opto subito per una gita organizzata muy barata. Queste escursioni sono un'ottima possibilità per conoscere gente nuova ma allo stesso tempo sono un azzardo: non sai mai con chi dovrai trascorrere la giornata e i ritmi potrebbero essere troppo serrati, ma a quanto pare è l'unica maniera per raggiungere Hierve el Agua. Alle nove sono già in agenzia e vengo inserita in un gruppo abbastanza grande, da smistare in due auto. Sin da subito noto che avremmo avuto il tempo di fare tutto con molto agio, godendoci pienamente la giornata in un bel gruppo di persone affabili e felici, tra cui eleggo da subito due vice-genitori di Monterrey.
Imbocchiamo allegramente la Carretera 190 o Panamericana, porzione del sistema di strade che attraversa quasi tutto il continente, dall'Alaska al Cile. Il paesaggio è assolato e arido, punteggiato da fichi d'India, agavi, cereus e jacaranda. La prima tappa è El Tule, uno degli alberi più grandi del pianeta. Questo cipresso di Montezuma, oltre ad essere enorme (in confronto la chiesa che gli sta accanto sembra un modellino), è anche molto antico e – a giudicare dal casino di gente – molto visitato; tutte le guide indicano indefesse i diversi punti del suo tronco dove (con molta immaginazione) pare di vedere animali e oggetti scolpiti nel legno. Certo, la visita a El Gigante non mi scatena la stessa straordinaria ammirazione che produsse nel neurologo e scrittore britannico Oliver Sacks e, prima ancora, nel naturalista, esploratore e botanico tedesco Alexander von Humboldt, ma in ogni caso fa decisamente impressione pensare che “lui” era già là minimo da mille anni quando arrivarono gli spagnoli.
Subito dopo, attraverso una strada sterrata lunga e tortuosa, ci direzioniamo lentamente verso Hierve el Agua. Oltre al biglietto d'ingresso ufficiale, siamo obbligati a pagare un pedaggio agli abitanti dei villaggi di San Lorenzo Albarradas e San Isidro Roaguia: l'autista ci spiega che ciò accade perché lo stato dell'Oaxaca non investe i soldi sborsati dai turisti per migliorare le condizioni di vita degli abitanti della zona, che restano tuttora misere. In questa remota regione arida l'attrazione turistica consiste in due speroni di roccia che si innalzano sopra alla valle: grazie ai sedimenti lasciati dall'acqua ricca di minerali, si sono modellati nei secoli a forma di cascate, come prodigiose stalattiti. L'acqua sgorgata dalle sorgenti, prima di scivolare via, forma delle piscine naturali turchesi nelle quali molte persone stanno spensieratamente sguazzando, sperando nei promessi effetti curativi. Non vi fate ingannare dal nome: l'acqua non "hierve" ("bolle") veramente e dunque non è propriamente calda.
Il luogo è molto affascinante e il panorama suggestivo; dicono che anche dalla cascata più grande (che si vede in lontananza, raggiungibile tramite un sentiero) si goda una spettacolare vista, ma io non lo saprò mai perché i miei vice-genitori hanno pensato bene di offrirmi una birra. Comunque se mai ci tornerò lo spettacolo sarà ancora più bello perché il processo di deposito continua incessantemente e le cascate pietrificate diventeranno sempre più imponenti.
A questo punto ci aspetta Mitla, un sito archeologico zapoteco noto per i mosaici ancora ben conservati. Queste piccole pietre incastonate insieme compongono complessi disegni geometrici, che ricordarono a Oliver Sacks quelle allucinazioni che possono colpire gli uomini “durante gli stati di assideramento, di perdita dei sensi, d'intossicazione oppure di emicrania”. In occasione della sua visita a Mitla, il noto neurologo e divulgatore si chiese se queste cosiddette “costanti formali allucinatorie universali” (magari indotte dal consumo di funghi allucinogeni) potessero aver influenzato le forme d'arte geometriche di questa come di altre culture. Dell'antico centro religioso sopravvivono ancora due gruppi principali di edifici e altri piccoli resti sparsi, mentre una buona parte di ciò che è stato distrutto nel 1500 dagli spagnoli è stato usato per costruire l'adiacente chiesa di San Pablo.
E quindi tutti al ristorante a mangiare tortillas, enchiladas, tacos e affini, accompagnati da abbondante birra Negra Modelo, con una calma serafica, come se non fossero già le cinque di pomeriggio e non dovessimo visitare ancora i laboratori di tappeti di Teotitlán del Valle e la fabbrica di mezcal.
Stavolta sono io ad avere fretta, perché avevo prenotato un biglietto per lo spettacolo di Guelaguetza all'hotel Camino Real alle 9. Inutile dire che alle 10, dopo aver appreso le antichissime tecniche zapoteche per la tintura naturale dei tappeti fatti a mano (in particolare quella ottenuta dalla cocciniglia) e dopo aver seguito tutti i passaggi del tradizionale processo di produzione del mezcal (assaggiando persino un pezzo di agave putrefatto), stiamo beatamente bevendo il diciassettesimo cicchetto (a quel punto eravamo passati dal mezcal puro a quello aromatizzato alla frutta) e sgranocchiando cavallette fritte piccanti; e che allo spettacolo di balli tradizionali non ci sono mai andata, visto che siamo tornati verso le 11, abbastanza borrachos e con circa quattro ore di ritardo sulla tabella di marcia.

Racconto di viaggio "VADO AL MASSIMO, VADO IN MESSICO"