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I feticci di Lomè

All'alba la nostra spedizione di mosche bianche già vaga nei paraggi dell'umida costa del Golfo di Guinea, dopo una notte trascorsa per metà nello spartano aeroporto di Casablanca e per metà nel poco accogliente aereo della Royal Air Maroc.
Consumata la colazione sotto una magnifica palma del viaggiatore nel giardino dell'hotel Central di Lomè (collocato in una delle strade di terra rossa e sabbia vicine al mare), ci dirigiamo al mercato dei feticci vudù, nel quartiere di Akodessewa. La squallida location ci accoglie con un fetore nauseabondo e, come se non bastasse, su una bancarella riconosco subito con raccapriccio delle teste di cane imbalsamate. E non è ancora niente: sui banchetti e sulle stuoie per terra sono ammassati ossa e crani di ogni genere di animale, teste o intere carcasse mummificate di scimmie, gatti, pipistrelli, topi, coccodrilli, serpenti, camaleonti e uccelli di ogni specie, pelli di diverse dimensioni tese ad essiccare.
Tutte queste carogne rappresentano gli ingredienti con i quali i féticheurs predispongono i rituali vudù: a quanto pare, sbriciolando parti di animale sapientemente selezionate si ricava l'ingrediente base per miracolose tisane o unguenti da strofinare sul paziente. Secondo questa antichissima religione, ancora molto accreditata da queste parti, ogni infermità sia fisica sia morale può essere guarita in questo modo, basta saper scegliere bene quale animale triturare.
Successivamente ci portano presso i vari “uffici” dei guérisseur, per mostrarci alcuni gri-gri meno schifosi ma comunque utili a risolvere i piccoli problemi della vita di tutti i giorni: il primo è un piccolo contenitore di legno ─ definito telefòn ─ dentro al quale bisogna parlare elencando i vari mezzi di trasporto per cui invochiamo immunità durante il nostro viaggio, chiudendo subito dopo il tappo; seguono altri oggetti che servono ad esempio a far cadere ai tuoi piedi senza alcuno sforzo la persona che ami, oppure a regalarti la tanto agognata virilità. Tutti questi talismani hanno dimensioni minime adatte persino al bagaglio a mano e possono essere acquistati in loco.

Nel pomeriggio andiamo a visitare il famoso mercato del venerdì di Vogan (che però, a causa del Natale, questa settimana è stato anticipato al giovedì), facendo conoscenza con le famigerate strade togolesi piene di carcasse di camion e auto abbandonate lungo la strada, infausto avvertimento per noi yovò appena arrivati. I prodotti sono esposti sulla terra rossa e sotto enormi manghi e acacie: cesti, vasi di terracotta, infradito di gomma, bacinelle smaltate colme di olio di palma (il cosiddetto huile rouge), ferraglia vudù, pesce essiccato, igname, galline e faraone vive, saponi sferici, baguette, misteriose zuppe calde nelle pentole di alluminio. Ma mi faccio anche una prima idea di ciò che si può portare sulla testa: banani pressoché interi, sacchi di carbone, stuoie arrotolate, vassoi pieni di piatti, bacinelle stracolme di buste, intere bancarelle di scarpe, smalti, detersivi, tessuti, decorazioni natalizie. Le donne, in questo esercizio di equilibrio, procedono con un passo sinuoso e ancheggiante, mentre alcune di quelle sedute indossano un copricapo piatto a tesa molto larga, di paglia, che fa ombra sugli abiti coloratissimi. Peccato che la maggior parte di loro non vuole essere fotografata oppure chiede, inizialmente senza molto garbo, dell'argent.

All'ora del tramonto sono in un bar sulla spiaggia di Lomè a sorseggiare beatamente una birra Eku gelata. In sottofondo musica africana ritmata ad altissimo volume. Sulla sabbia scura dei ragazzi giocano a calcio, mentre vicino alla riva le barche di legno dipinte a colori vivaci riposano con il loro carico di reti da pesca. Di tutti quelli che cazzeggiavano qui la mattina (chi si insaponava, chi dormiva sotto gli alberi, chi vendeva prodotti trasportati sulla testa) ne sono rimasti pochi. Non ci sono più nemmeno i pescatori che effettuavano una specie di tiro alla fune, simmetrici rispetto all'analogo gruppetto che a grande distanza tirava l'altro capo della rete. E comunque ci hanno fatto segno di non andarci in quella direzione: è pericoloso a quest'ora. Il sole pallido che si intravedeva nel cielo opaco precipita velocemente verso l'orizzonte, mentre dall'altra parte è già spuntata la luna, tra le palme. Così di primo acchito stento a credere che il Togo sia il paese meno felice del mondo, come riferisce il World Happiness Report dell'ONU del 2015.

Racconto di viaggio "PICCOLI ANTROPOLOGI CRESCONO. Viaggio on the road in Togo e Benin"