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Shabbat a Gerusalemme

L’accoglienza ricevuta appena sbarcati in un posto nuovo spesso dà al viaggio quell'impronta insostituibile che avrà. All'aeroporto Ben Gurion i controlli in ingresso sono stati inaspettatamente veloci e appena sono uscita ho scambiato qualche battuta con un tassista che mi ha fatto morire dal ridere. E poi sul sherut per Gerusalemme c'era un logorroico passeggero che ha intrattenuto piacevolmente me e alcuni attempati turisti americani per tutto il viaggio. Sem lavora coi francescani, vive gran parte dell'anno a Città del Messico e parla correntemente ebraico, arabo, spagnolo, inglese e francese. Dopo che tutti gli altri sono scesi alla loro destinazione, l'autista ha aumentato il volume della musica araba e mi ha detto che gli ebrei guidano malissimo perché sono troppo prudenti e hanno paura di tutto. Infine sono scesa anch'io, molto colpita dallo spirito di fratellanza che ho percepito.
Una volta fatto il check-in in ostello, sono uscita a cercare qualcosa da mangiare. Il giovedì in Israele è un po' il nostro venerdì: è pieno di gente in giro. Per le strade o davanti alle case private sono piazzati questi candelabri in vari materiali e dimensioni, con le lampadine parzialmente accese. Io pensavo fosse la famosa menorah, ossia il simbolo più famoso della religione ebraica, invece la menorah ha sette bracci, mentre questo candelabro che vedo ovunque ha due bracci in più e si chiama chanukkiah: viene infatti utilizzato durante la festività di Hanukkah, che è iniziata qualche giorno fa e finirà il 26 dicembre. La cosiddetta festa delle luci ricorda il nuovo altare nel Tempio di Gerusalemme e, pur non essendo una delle principali festività ebraiche, ultimamente ha acquisito più importanza perché cade negli stessi giorni del Natale.
Il dolce tipico della festa è un bombolone che si chiama sufganiyah e che, siccome è fritto, ricorda l'olio consacrato che teneva in vita la luce del Tempio: esso mi viene offerto nel classico pub irlandese, dove conosco un certo Avi che lavora in un concessionario di auto e adora viaggiare in Italia. La sua famiglia proviene dall'Etiopia, come si evince facilmente osservando i suoi lineamenti, ma lui non ha mai pensato di mettere piede nella terra dei suoi antenati. Avi il 31 dicembre poi mi ha invitata al suo compleanno, sempre al pub irlandese, ma io ero a Tel Aviv.
Già dopo la mia prima sera a Gerusalemme ovest mi sono resa facilmente conto dei prezzi esosi di bar e ristoranti, che alla fine costituiranno la fetta più sostanziosa delle mie spese di viaggio. Per quanto riguarda l'alloggio invece, a Gerusalemme ho dormito tre notti in un capsule hotel nel quartiere occidentale, non comodissimo ma molto economico e ben posizionato, e due in una camera singola nella guesthouse della chiesa siriaco ortodossa St Thomas, che costa non molto di più dell’ostello e si trova anch'esso in un punto strategico, vicino alla porta di Damasco.

È venerdì mattina a Gerusalemme ovest. Fra poche ore inizierà lo Shabbat e le attività fervono concitate. Al mercato Mahane Yehuda i turisti si mescolano ai locali e c’è una baraonda di gente che sgomitando osserva la merce esposta e fa acquisti, ma anche che mangia e beve ascoltando musica ad alto volume stipata nei tanti minuscoli localini. Fra poche ore il mercato chiuderà e i più religiosi si riposeranno per 24 ore, così come si fermeranno i mezzi pubblici in questa città grande e complicata. Ma adesso è il momento di sbrigarsi a fare tutto in tempo, il traffico è impazzito e i clacson insistenti.
Quando vado al quartiere ultra-ortodosso di Mea She’arim è quasi l’ora di pranzo e sono abbastanza certa di trovarmi sul set di una serie di Netflix. Il dress code è quello tipico di uno shtetl dell'Europa orientale del primo Novecento: gli uomini hanno la barba, abiti d'epoca neri e grandi cappelli, le donne indossano gonne lunghe fino al pavimento e sono accompagnate da molti bambini elegantissimi. Qui la crescita demografica è molto elevata (cosa che giustamente terrorizza una parte della popolazione israeliana) e la lingua più diffusa nelle strade è lo yiddish. Un grande striscione è rabbioso nei confronti di noi visitatori che indossiamo un abbigliamento poco consono, io ad esempio indosso dei pantaloni e anche se non sono per niente attillati sicuramente non sono ben vista dalla popolazione del luogo, anche perché sto usando lo smartphone per orientarmi e ogni tanto ne approfitto per scattare qualche foto a sgamo.
La old city di Gerusalemme misura appena un chilometro quadrato ed è suddivisa in quattro quartieri che attraverserò a piedi con un altro Avi: un ebreo non praticante, naturalmente, altrimenti non avrebbe potuto lavorare in questo pomeriggio nuvoloso di fine dicembre. Siamo in 7 per questo free walking tour e l’appuntamento è alla porta di Jaffa, una delle sei porte fatte costruire da Solimano il Magnifico. Avi ci informa che il percorso attraverso questa porta è fatto a zig zag perché serviva a rallentare la carica di eventuali forze nemiche, mentre l’apertura attraverso la quale passa oggi la strada fu realizzata nel 1898 in occasione della visita del Kaiser Guglielmo II. Song, un ragazzo coreano che era anche lui nel gruppo, poi mi ha fatto notare che queste cose erano scritte nella pagina di Wikipedia.
Il quartiere ebraico lo riconosci dalle menorah e dai candelabri per Hanukkah, di tutte le fogge e dimensioni, e anche dagli abiti della festa e dall'atteggiamento rilassato delle persone, ma di venerdì pomeriggio non c’è molto da visitare poiché tutte le sinagoghe sono chiuse. 
Nel quartiere armeno invece è una giornata come le altre e mancano due giorni a Natale. Esso è abitato da solo cinquecento persone e si sviluppa attorno alla cattedrale di San Giacomo che, secondo la tradizione, custodisce la testa di San Giacomo il Maggiore – cosa di cui non posso accertarmi poiché la chiesa apre soltanto la mattina presto, per la messa. Quando arriviamo al monastero di San Marco, Avi annuncia che secondo i cristiani qui sorgeva l'abitazione dell’evangelista Marco, dove en passant avrebbe avuto luogo l'ultima cena, ma non si può entrare perché stanno facendo le prove per la parata dei boy scout.
La maggior parte dei visitatori stranieri è concentrata nel quartiere cristiano, dove sono allestiti dei mercatini di Natale, con vin brulé e molti cappelli natalizi. L'attrazione principale è la Basilica del Santo Sepolcro, una delle mete di pellegrinaggio più importanti del mondo (quando i turchi vietarono di andarci scoppiarono le Crociate, per dire). Fu la madre dell’imperatore Costantino a decidere di far costruire la chiesa in questo luogo (che nel quarto secolo era abbandonato e situato fuori dalle mura), poiché secondo la tradizione era qui che Gesù fu crocifisso. Costei (A.K.A. sant'Elena) scoprì una croce lignea che è diventata una reliquia fino ad essere letteralmente smembrata dai pellegrini del passato e infatti oggi non esiste più. La reliquia più prestigiosa è invece ancora presente vicino all'ingresso e si tratta della pietra dell'unzione, che ricorda il posto in cui il corpo di Gesù sarebbe stato preparato per la sepoltura, sulla quale pure i pellegrini odierni versano olio e sfregano un fazzoletto. 
Sgomitando tra orde di visitatori, saliamo la scala sulla destra ed entriamo nella Cappella del Calvario, dove si trovano la decima e l’undicesima stazione della Via Crucis, mentre le altre stazioni sono distribuite negli altri ambienti; la più frequentata si trova nella cappella greco-ortodossa e ospita il luogo della crocifissione di Gesù: a quanto pare, è possibile toccare un pezzo di vera e propria roccia del Calvario attraverso un buco realizzato nell'altare soprastante, ma non ho nessuna voglia di fare la fila.
Il quartiere musulmano è quello più grande e popoloso, ma oggi non c'è molto casino perché è venerdì, il giorno di festa islamico che come ogni settimana apre il long weekend delle fedi monoteiste. Passiamo e ripassiamo tra le bancarelle del suq, tra resti di fontane mamelucche, bancarelle di succhi di frutta e grandi immagini della Mecca, fino ad arrivare al checkpoint che conduce all'ingresso dell'area ebraica del Western Wall.
Il cosiddetto Muro del Pianto, o Kotel, è il luogo di devozione preferito dal popolo ebraico e sarebbe in pratica ciò che resta del Secondo Tempio, quello distrutto nel 70 d.C. dai romani. Il venerdì al tramonto, quando inizia lo Shabbat, dicono che sia il momento ideale per andarci. L'area vicina al muro è divisa in due zone: la più piccola è riservata alle donne e la più grande agli uomini. I fedeli recitano versetti, oscillano avanti e indietro sui talloni, chinano la testa, ogni tanto toccano o addirittura baciano queste pietre vecchie due millenni, alcuni cantano o ballano. Molti hanno un libro in mano e più o meno tutti infilano i bigliettini con le preghiere negli spazi tra un blocco di pietra e l'altro. Non mancano i giovanissimi in abiti militari e armi a tracolla, che stanno naturalmente svolgendo il servizio di leva che qua dura minimo due anni e riguarda sia i maschi che le femmine. Forse a qualcuno questa presenza continua e diffusa di ragazzi dotati di mitra potrà dare sicurezza, ma a me non è piaciuta moltissimo. 
Avi ci dice che se vediamo altri fotografare possiamo farlo anche noi, altrimenti non è rispettoso nei confronti dei fedeli. Io vedo altri che fotografano e lo faccio anch'io, ma poi vengo redarguita da un controllore e capisco che anche gli altri stavano fotografando pure se non potevano.

Di sabato molti bar e ristoranti restano aperti, ma la maggior parte delle attrazioni storico-culturali di Gerusalemme sono chiuse; è dunque il giorno ideale per visitare l’Israel museum, soprattutto se si tratta di una giornata di pioggia copiosa e continua. Poiché i mezzi pubblici non circolano, per raggiungere il museo devo percorrere una mezz'oretta di cammino. Nelle strade c’è un silenzio inquietante e alcuni gruppi di ebrei ortodossi passeggiano lentamente, alcuni con un libro in mano: in particolare ha colpito la mia attenzione un anziano che contemporaneamente legge e cammina, posizionato esattamente al centro della strada deserta. Nonostante google maps, ho difficoltà a trovare la strada e così mi confronto con un gruppetto di tedeschi: anche loro sembrano perplessi mentre camminano come rabdomanti con lo smartphone in mano. Con uno di loro, che in questo periodo sta studiando all'università di Tel Aviv, scambio qualche riflessione sull'importanza della lettura nella cultura ebraica e su quanto ciò abbia contribuito a sfornare persone di successo: "Lo sai che gli ebrei costituiscono solo lo 0,2% della popolazione mondiale, ma hanno vinto il 27% dei Nobel assegnati per la chimica, la fisica, la medicina e l’economia?"
Il Museo di Israele, finanziato da filantropi ebrei miliardari di tutto il mondo, è uno dei musei più grandi del mondo. Nelle innumerevoli sale al coperto troviamo straordinarie collezioni di reperti archeologici, oggetti rituali ed etnografici ebraici (comprese intere sinagoghe provenienti da varie località del mondo), famosissime opere d'arte moderna e contemporanea. Le mostre temporanee sono pure numerose: "The Burning Sea" di Sigalit Landau, ad esempio, presenta una selezione di sculture incrostate di sale del Mar Morto, "Adornment" è dedicata ai gioielli e alla decorazione del corpo in epoca preistorica, un'altra mostra è dedicata alle bambole "sposa" che preparavano le preadolescenti per il matrimonio, e così via. Infine nel grande giardino panoramico sono disseminate molte statue e opere d'arte (compresi gli alberi di ferro di Ai Weiwei), mentre i Rotoli del Mar Morto sono custoditi nel cosiddetto Santuario del libro, vicino al quale c'è una ricostruzione in miniatura di Gerusalemme all'epoca del Secondo Tempio.
Dopo molte ore trascorse nel museo, mi sono avviata verso la città vecchia e a un certo punto mi sono fermata a stuzzicare qualcosa in un ristorante yemenita. Quando ho provato ad accendermi una sigaretta, uno dei camerieri mi ha comunicato che dovevo aspettare la fine dello Shabbat: "Mancano 4 minuti alle 17:21, se mi aspetti fumiamo insieme". 
A quel punto sono tornata al Muro del pianto, dove ora che è finito lo Shabbat l'atmosfera è molto più rilassata, infatti non ci sono più i vigilanti che ti impediscono di fotografare. Inoltre è in corso un concerto di piano (brutto), ma siccome hanno collocato il palco nell'ala maschile, le donne cercano di sbirciare stando sulle punte, nel loro lato. Non è un caso che molti chiedano di farla finita con questa anacronistica divisione di genere nel campo della preghiera. 
Alla televisione italiana fra un po' andrà in onda il concerto del Volo in diretta da Gerusalemme, mentre io percorro Via Mamilla, la strada dei negozi, alla ricerca di un nuovo caricatore per la macchina fotografica, pensando che sarei potuta essere in ogni parte del mondo e non avrei notato la differenza.
Anche se è la vigilia di Natale, nessuno se ne avvede al di fuori del quartiere cristiano, così mi mangio un anonimo trancio di pizza e poi assisto a un gradevole concerto rock in un pub per vecchi metallari. Penso a Sem, che sul sherut per Gerusalemme mi aveva detto che i cristiani rappresentano una percentuale sempre più infima della popolazione e se continua così andrà a finire che le chiese diventeranno dei semplici musei. 

Finalmente l'ultima giornata a Gerusalemme è limpida e assolata. Verso le nove di mattina dunque attraverso il suq e mi dirigo piena di entusiasmo alla spianata delle moschee, uno dei luoghi più contesi del mondo. Essa infatti ospita due degli edifici più sacri dell’Islam, ma è venerata anche dagli ebrei e dai cristiani perché qui sorgevano il Primo e il Secondo Tempio, dove si svolsero anche vari episodi della vita pubblica di Gesù. Dal 1994 la spianata (come tutti i siti musulmani di Gerusalemme) è gestita dalla Giordania, ma Israele continua a occuparsi della sua sicurezza: l’accesso ai palestinesi, ad esempio, è consentito solo in occasione delle festività islamiche. Pochi giorni dopo la mia visita, ha deciso di andarci anche un ministro del governo israeliano, con un atto talmente provocatorio che la scorsa volta che accadde un episodio simile scoppiò la seconda intifada. 
Sapendo che è visitabile soltanto poche ore al giorno, ero pronta a fare una lunga fila, ma stranamente non c’è nessuno ad attraversare il ponte di legno situato accanto al Muro del Pianto. Per prima appare la Moschea Al Aqsa, un enorme luogo di culto che sorge nel punto in cui secondo i crociati si trovava il Primo Tempio: per questo all'epoca è stata prima la residenza dei re di Gerusalemme e poi dei Cavalieri Templari, che da qui prendono il nome. Subito dopo sono pronta per lo spettacolo degli spettacoli: la Cupola della Roccia, una calotta dorata che spicca sull'azzurro del cielo, che sormonta una base ottagonale decorata con tutte le sfumature del turchese. Sulla roccia che si trova dentro l'edificio accadde più di un evento sorprendente: secondo gli ebrei Abramo stava per sacrificare il figlio Isacco quando un provvidenziale angelo mandato da Dio lo bloccò dandogli un ariete sostitutivo, mentre per i musulmani Maometto vi lasciò un’impronta col piede quando salì al cielo. Riconvertita per breve tempo in chiesa ai tempi delle Crociate, tornò a essere una moschea nel XII secolo sotto Saladino, mentre oggi è un santuario in cui nessuno può entrare. Accanto c'è la Cupola della Catena, dagli stessi colori della sorella maggiore, dove secondo la leggenda il re Salomone fece appendere una catena che fungeva da macchina della verità, visto che chi avesse mentito mentre la impugnava sarebbe stato colpito da un fulmine. Poco distante ci sono il Sabil di Qaitbay, una struttura a tre piani costruita dagli egiziani, e le Bilance delle Anime, archi in pietra chiamati così perché i musulmani credono che qui verranno pesate le anime dei morti. Esco dalla Porta dei Mercanti di Cotone e attraverso il mercato risalente all'epoca dei Mamelucchi per tornare al punto di partenza: armi giocattolo sono in vendita accanto al classico soldato israeliano armato.

Racconto di viaggio "LA LA HOLY LAND. Natale in Israele e Palestina"